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venerdì 20 maggio 2016

Mosciame, un cibo antico dei marinai

MOSCIAME: era un cibo antichissimo, molto viareggino, ormai diffuso soltanto fra la gente di mare: quindi è inutile cercarlo nei negozi e meno che mai nei libri di ricette gastronomiche. Si tratta di strisce di delfino seccate al sole: strisce, non fette. Una volta fatto si presenta come un rotolo di tabacco da masticare, bruno nerastro con venature rossicce, forma tondeggiante con un diametro di circa venti millimetri e lunghezza varia, fino a cinquanta centimetri. I marinai e la gente di costa lo masticavano allo stato grezzo, per meglio gustare il sapore forte di pesce e di mare. La "morte" del mosciame è l'insalata. Bastava affettarlo sottilissimo e condire con l'olio d'oliva, aceto e pepe. Ottimo antipasto e anche cena, con pomodoro quasi maturo o con fagioli lessi o con le due cose insieme.

Mosciame di tonno

Ma come facevano a procurarselo questo "mosciame"? Il marinaio, appena ucciso il delfino lo riduceva subito a strisce nel senso della lunghezza, seguendo le nervature. Tutto il delfino era buono, mail petto e il ventre erano le parti prelibate. Le strisce ottenute, lavate con acqua di mare, venivano messe in salamoia per un giorno: formato il primo strato sul fondo di un recipiente lo si copre di sale e via via così per gli strati successivi.

Poi, senza lavarle, le strisce venivano legate una sotto l'altra ed esposte al sole: per sei- sette giorni d'estate, otto- dieci in autunno. Una volta seccato a puntino, il "mosciame" doveva risultare duro, ma non legnoso; da potersi mordere, insomma. E se uno non era marinaio? Il delfino si poteva trovare sul mercato: si sceglieva il ventre, se possibile, e lo si faceva tagliare a strisce. Il pesciaiolo capiva immediatamente che si voleva fare il mosciame.


giovedì 19 maggio 2016

Mondo, morso del ciuco, morto io morto i' gatto, murare a secco, nachero

Mondo, morso del ciuco, morto io morto i'gatto, murare a secco, nachero, altri interessanti modi di esprimersi, facenti parte del vernacolo pisano, senese, fiorentino, insomma, del parlar toscano a tutto tondo.


MONDO: ottimo surrogato della divinità in caso di imprecazione per evitare la bestemmia. L'assoluta libertà di offendere il mondo favorisce la fioritura di espressioni pittoresche, alcune delle quali usate da poeti e letterati, dal "mondo frate" del Lazzeroni (poeta in vernacolo pisano) al "mondo urinale" del Fucini


MORSO DEL CIUCO: sarebbe il pizzicotto dato con cinque dita, ma è anche sinonimo di ristrettezze economiche e, nel senese, di delusione

MORTO IO, MORTO I' GATTO: come dire: "io non conto nulla, non ho importanza"

MURARE A SECCO: quando si mangia senza bere

NACHERO: nano. I fiorentini chiamano "nachera" anche la persona tarchiata, con le gambe storte, e non necessariamente sana


mercoledì 18 maggio 2016

Mira cuore, mi s'è allentato un punto, moccolone, mommolo

Mira cuore, mi s'è allentato un punto, moccolone, mommolo, altri detti toscani nati per rafforzare una negazione, per dire che si ha fame, per definire un bimbo noioso e per dare il nome ad un dolcetto pisano.


MIRA CUORE: delizioso modo senese per dire di no e per rafforzare una negazione: niente affatto; ma sinceramente, a cuore aperto (mirare, sempre in senese, significa guardare)

MI S'E' ALLENTATO UN PUNTO: "mi è venuta fame". Fenomeno che si verifica in genere a metà mattina e a metà pomeriggio


MOCCOLONE: variante toscana di "moccioso" per definire il ragazzetto pretenzioso

Fiorin di canna:
e tutti i moccoloni voglion donna;
non han finito di poppar la mamma

MOMMOLO: è un dolcetto pisano, o almeno così lo chiamano a Pisa, dato che si tratta semplicemente di una normale ciambellina fritta e inzuccherata. E' parente del "sommommolo", che però ha la cittadinanza fiorentina


martedì 17 maggio 2016

Minchione, minestra e lesso, mi par millanni

Minchione, minestra e lesso, mi par millanni altri motti toscani che descrivono la creduloneria, un pranzo frugale, il non veder l'ora di....


MINCHIONE: è un esempio di quanto un modo di dire possa mutare di significato da una località all'altra della stessa regione: a Firenze, "minchione" indica una persona stupida, credulona, balorda; nella zona del Monte Amiata lo stesso "minchione" è lo spuntino che gli operai fanno a mezza mattina. E non risulta che fra la popolazione dell'Amiatino ci siano abitudini cannibalesche.


MINESTRA E LESSO: sinonimo di pranzo frugale. Più frugale ancora: "minestra e rizzati". Diceva una vecchia filastrocca di un laudator temporis acti  toscano:

'A tempi de' Medici
si mangiava pe' sedici;
'a tempi de' Lorena
colazione, desinare e cena;
e oggi co' i' progresso 
un po' di minestra e un po' di lesso

MI PAR MILLANNI: non vedo l'ora. E' singolare che quando la stessa espressione viene usata in riferimento a cose passate "pare" non è troncato: "mi pare millanni che non l'ho vista"


lunedì 16 maggio 2016

Mezzina, mezzo e mezzo, mi ci farei di ane, mi fa rosa

Mezzina, mezzo e mezzo, mici farei di 'ane, mi fa rosa, particolari modi di dire per descrivere altrettante situazioni particolari.


MEZZINA: brocca, recipiente di rame per attingere acqua dal pozzo o dalla fonte. Un tempo, nelle campagne toscane, avere la "mezzina" bella lucida e senza ammaccature era il blasone della brava massaia e della donna di casa. Diceva uno stornello mugellese:

"Io malesco le donne piccine
che vanno a pigliar l'acqua, e non son buone:
 le rompon tutti i culi alle mezzine"

Evidentemente perchè nel portarle non possono sollevarle abbastanza da terra, e perciò sarebbero da maledire ("malesco"), nel senso di disprezzare, naturalmente


MEZZO E MEZZO: sentirsi mezzo e messo significa stare non del tutto bene, avere qualche disturbo ma non grave

 MI CI FAREI DI 'ANE: "picchierei la testa nel mnuro, dalla rabbia; mi ci arrabbierei". Espressione livornese di dispetto quando non si riesce a far qualcosa o non se ne viene a capo; ma quel "di 'ane" assomiglia tanto a una bestemmia

MI FA ROSA: mi prude; mi pizzica. A Montcatini. In altre zone, ròsia, da rosicare: "ave' lla ròsia ne' denti" (Pisa)



venerdì 13 maggio 2016

Meglio Palaia

Meglio Palaia, un' espressione da molti conosciuta, ma che ha una sua storia e origine ben precisa legata ad un capitano di ventura.


MEGLIO PALAIA: esclamazione usata quando le cose vanno di male in peggio. Qualcuno dice anche, con lo stesso significato, "peggio Palaia!". Palaia è anche un paese toscano, ma nessuno sa con esattezza perché sia potuto entrare in un modo di dire tanto diffuso. Le versioni più probabili, comunque, almeno per il "peggio Palaia!", sono due.

Quando il capitano di ventura Niccolò Piccinino, nel secolo XV, saccheggiò la zona pisana, il paese che ne soffrì maggiormente fu Palaia; cosicchè un magistrato di quel tempo, facendo una relazione sui danni e passando in rassegna i vari luoghi devastati avrebbe aggiunto come commento: "Ma peggio Palaia!".


Secondo altri il detto è da attribuire al granduca Leopoldo II che durante una visita nel Pisano, giunto a Ponsacco, paese allora malfamato per i numerosi furti che vi si commettevano, avrebbe incitato il cocchiere a frustare i cavalli per allontanarsi al più presto. Lo stesso avrebbe fatto a Partino, luogo anch'esso malfamato, e finalmente a Palaia sarebbe uscito nell'esclamazione "peggio Palaia!" perchè il posto aveva una fama anche peggiore di Ponsacco e Partino.



giovedì 12 maggio 2016

Marina, marina torba, marmato, marmotta, matta, matuffi

Marina, marina torba, marmato, marmotta, matta, matuffi..fra significati reconditi e rimandi alla gastronomia locale, ecco altri buffe espressioni toscane.


MARINA: quando nelle zone del monte Amiata e anche nel Valdarno si sente un boato sotterraneo, cupo e sordo, si dice che "è la marina"

MARINA TORBA: espressione ispirata, evidentemente, dal gergo marinaresco, significa "aria di burrasca" quando qualcuno è arrabbiato o semplicemente di cattivo umore

MARMATO: freddo come il marmo. Si usa quasi sempre unitamente a "diaccio: diaccio marmato"


MARMOTTA: raffreddore. La somiglianza del roditore, grasso, pigro e infagotato di pelo rossastro con la persona infagottata nella lana e intontita a causa del reffreddore è piuttosto curiosa. Infatti, "marmotta" è uno di quei modi di dire familiari che tendono a sdrammatizzare malanni e seccature ironizzando bonariamente

MATTA: nel gergo dei macellai è la testa di vitella o di agnello dalla quale è stato tolto il cervello: perciò matta

MATUFFI: piatto della Versilia: consiste in bocconi di polenta conditi, come la pastasciutta, con sugo e formaggio


mercoledì 11 maggio 2016

Magna e bei, mangia l'ovo, manutengolo, mar d'occhio

Magna e bei, mangia l'ovo 'n culo alla gallina, manutengolo, mar d'occhio..alcune eespressioni o modi di dire possono anche apparire coloriti o forti, ma fanno pur sempre parte del nostro patrimonio culturale.


MAGNA E BEI: nome composto (mangia e bevi) che indica, o meglio, indicava, una pasta dolce di forma incavata e nella quale si versava un po' di liquore, in genere rosolio. Era una vecchia e semplice ghiottoneria da fiera di paese o di fuoriporta. Ora è rimasto come modo di dire applicabile, per esempio, al cocomero. La stessa chicca o "confortino" in Lucchesia la chiamavano, e forse da qualche parte la chiamano ancora, "guscetto".

MANGIA L'OVO 'N CULO ALLA GALLINA: spendere il denaro che non si è ancora guadagnato


MANUTENGOLO: contrariamente al significato in lingua ("chi tiene in mano ed ècomlice di ladri e malfattori") in dialetto fiorentino significa, prima scherzosamente e poi non più, il corrimano che a lato delle scale serve ad appoggiare la mano e per aiutarsi a salire.

MAR D'OCCHIO: è il malocchio. Lo "levano" certe donnine, ce ne sono ancora, lasciando cadere una goccia d'olio in un piatto dove sia stata versata un po' d'acqua: se la goccia si spande, bagnano un dito in quell'acqua unta e fanno il segno della croce sulla fronte del paziente affetto da melfizio, pronunciando la formula: "Col nome di Gesù e di Maria, se tu hai 'i  mar d'occhio ti vada via". Se invece la goccia d'olio caduta nel piatto non si dissolve nell'acqua è segno inequivocabile che non si trtta di un caso di malocchio. Ma la donnina va ricompensata lo stesso, altrimenti, da quel preciso istante un "mar d'occhio"  autentico è garantito: c'è infatti un altro modo di dire, in Toscana, che suona così: "Viaggio fatto, messa avuta"

lunedì 9 maggio 2016

Luttare, macchiaiolo, mache si gira, maestà, ma fa la onia, maggiante

Luttare, macchiaiolo, ma che si gira, maestà..strane parole o modi per definire la durata di una cosa o una persona becera, insomma come al solito c'è sempre da imparare.


LUTTARE: ad Arezzo e nel contado aretino prende il significato di durare. "Questo vestito mia ha luttato assai"

MACCHIAIOLO: nulla a che veder con la pittura: è il ragazzo insolente, becero, zotico. Ma nel modo di dire non manca una certa simpatia, perchè nellarusticità del "macchiaiolo" (da macchia, ovviamente) e nella sua scontrosità c'è un fondamento di indipendenza più che di vera cattiveria

MA CHE SI GIRA: espressione fra la sorpresa e il disappunto: "ma si scherza!"


MAESTA': in lucchesia le maestà sono i tabernacoli con immagini sacre posti ai lati delle strade, spessso a una crocevia. Le maestà delle zone montane sono quasi sempre vere e proprie cappellette aperte a tutti per riparo dalle intemperie. Anche "marginetta", forse da immaginetta

MA FA' LA 'ONIA?: ma vuoi scherzare? ('onia, sta per conia). Modo di dire pisano e liveornese. Conia è la burla, la celia

MAGGIANTE: in Versilia è uno che chiacchiera molto, che la sa lunga. Deriva da Maggio, il noto spettacolo storico, cavalleresco e religioso del teatro popolare che si rappresenta all'aperto dal mese di maggio in poi in quasi tutta la Versilia, in buona parte della LUcchesia e nel Massese

sabato 7 maggio 2016

Levarsi la sete col prosciutto, buo alla rovescia, bua dell'orate, libecciata

Levarsi la sete col prosciutto, levassi 'or buo alla rovescia, bua dell'orate...sono tutti modi di dire particolarmente coloriti e di effetto per descrivere altrettanti stati d'animo

LEVARSI LA SETE COL PROSCIUTTO: per cocciutaggine, fare qualcosa che torna a proprio danno; soffrire senza motivo. Peggio che togliersi una voglia a caro prezzo, perchè è assurdo pensare che il prosciutto possa calmare la sete.

LEVASSI 'OR BUO ALLA ROVESCIA: alzarsi dal letto di malumore: è in dialetto pisano, ma l'espresione è comunissima in tutta la Toscana


LEVATO E POSTO: completamente a spese altrui

L'HAI TROVATA LA BUA DELL'ORATE: lo dicono a Livorno a chi ha un posto ben retribuito e senza bisogno di affaticarsi tanto. Cioè l'hai trovata la miniera d'oro

LIBECCIATA: severa ramanzina e, anche, scarica di botte. "Gli ho dato una libecciata che se la rammenta per un pezzo", "la Libecciata" è un noto complesso musicale folcloristico di Viareggio

LILCA, PELCA, MOLCA; PIGLIA LA PELCA E METTILA IN TALCA: filastrocca impietosa per prendere in giro chi è affetto dalla "lisca", la pronuncia difettosa, cioè, della lettera "S"

venerdì 6 maggio 2016

Levare i' grillo

Levare i' grillo, un tipico detto fiorentino dalle origini veramente particolari: una festa 


LEVARE I' GRILLO: a Firenze (il detto è fiorentino) non vuol dire, come sembrerebbe evidente, stanare il grillo dal suo buco nel terreno, ma andare di buon mattino nel parco delle Cascine a far merenda sui prati, megli ose in lieta brigata. Questo succede ogni anno nel giorno dell'Ascensione e i "grilli canterini" ne fanno le spese: chiusi in gabbiuzze, unico conforto una mezza foglia d'insalata, sono acquistati a migliaia per i bambini (ai quali, notoriamente, fanno ribrezzo, neri e grossi come sono quelli cosiddetti "di razza") e per le ragazze da marito (con allusione din troppo lampante". Dalle Cascine le gabbiuzze sciamano per tutta la città: sui balconi e alle finestre, in capo a qualche giorno tutti igrilli muoiono miseramente, per buona pace loro e di quella del vicinato.


Il grillo a dispetto del modo di dire che lo fa passare per allegrone e gaudente ("Vispo cpme un grillo"), è un personaggio piuttosto tragico della mitologia popolare. A chi non stringe il cuore la famosa canzoncina che viene dalla campagna pistoiese?

Pòero grillo 'n un campo di lino
la formicuzza ghie ne chie'un filino.
Risponde grillo: D'i che te vo fare?-
Scuffie e camicie; mi vogghio maritare.
Risponde grillo: I' ti pigghierò io-
La formicuzza: Ne so' content'anch'io.
Ghi arria grillo pe' mettegghi l'anello
e' casca 'n terra e si romp'i' cervello.
La formicuzza v'a chiamà i' dottore.
Pòero grillo! Ghi hàe un gran malore.
Cuando ghi arria, arria di là da i' porto,
vienne la nova che grillo ghi era morto.
La formicuzza e' si buttò n' su i' letto
co' carcagni de' piedi e' si battea i' petto.


mercoledì 4 maggio 2016

Lavativo, lecchino, l'è maghera, lerfia, le su cose

Lavativo, lecchino, l'è maghera, lerfia, ha le su cose. I primi due modi di dire li avrete già sentiti o usati per gli altri non vi resta che leggere e poi riciclarli al momento opportuno


LAVATIVO: non sempre è una purga salutare, ma in senso metaforico è un cattivo affare. "m'ha dato una lavativo" dice chi è stato truffato; e naturalmente s'ingenga di contraccambiare alla prima occasione. Da qui l'altro modo di dire, sempre rimanendo in chiave intestinale metaforica, "Lavativo preso e reso", usato anche quando si ricambia una visita poco gradita o una pseudo cortesia.

LECCHINO: sciocco, lezioso. Lo dicono a Pisa e in Lucchesia. Termine dialettale conosciutissimo, se non altro per quel famoso sonetto di renato Fucini in cui Nèri e Cecco si scambiano le impressioni, disastrose, sulla Divina Commedia. E' intitolato "Dante", e finisce così:

O che 'un s'è messo a dì, questo lecchìno
che Pisa è 'r vitueprio della gente!


L'E' MAGHERA: esclamazione fiorentina che alla lettera significa: "E' magra!". Si usa per definire una cosa misera o un affare che non offre utili. "Quest'anno l'è maghera con le pesche", cioè un'annata poco propizia alle pesche

LERFIA: è la bocca scontenta, a Pisa e a Lucca, e anche la donna dall'espressione "di traverso", "a bucoscontento". A Livorno LERFIE sono le labbra, specialmente quelle piuttosto grosse

LE SU COSE: le mestruazioni. "Ha le su cose". Però si  dice anche, scherzosamente, di chi è di cattivo umore, uomo o donna


martedì 3 maggio 2016

Lascivo, la si rigiri, lassa fa perse la moglie, latta, lausdeo

Lascivo, la si rigiri l'ha perso i'fiocco, lassa fa' perse la moglie...altri divertenti e allusivi detti toscani tutti da scoprire


LASCIVO: in dialetto si può essere lascivi senza essere impudichi: infatti è un modo di dire usato per corrivo, uno che lascia correre, e anche generoso.

LA SI RIGIRI, L'HA PERSO I' FIOCCO: espressione canzonatoria paesana che i giovanotti gridano qualche volta dietro alle ragazze che passano eleganti e sculettanti

LASSA FA' PERSE LA MOGLIE: modi di dire pisano adatto a chi ha troppa indulgenza

Capannori

LA TOPA DI CAPANNORI: era l'orologio del campanile di Capannori, paese a sette chilometri da Lucca, che aveva il quadrante con un'allusiva forma ovale. E' un vecchio detto del quale si ha testimonianza anche nell'epistolario di Giacomo Puccini. Ora l'orologio è rotondo, castigatamente derattizzato

LATTA: è una manata sul cappello. Ha come derivato "LATTONE" e può considerarsi sinonimo di ZUPPA



LAUSDEO: esclamazione soddisfatta, finalmente!


lunedì 2 maggio 2016

La pesca del Giunti, la poi segnà ner buo al gatto, ,'arzo nn'è bello, lasciarsi scoscendere

La pesca del Giunti, la poi segnà ner buo ar gatto, l'arzo nn'è bello, disse quel rospo, lasciarsi scoscendere sono tutti straordinari modi di dire nati da altrettante situazioni particolari, tutte da scoprire.


LA PESCA DEL GIUNTI: cioè "acqua fino ai coglioni e pesci punti". E' un modo di dire proverbiale per prendere in giro i pescatori che tornano a casa con le mani vuote

LA POI SEGNA' NER BUO AR GATTO: la prevedibile difficoltà di convincere il gatto a sottoporsi a un'operazione del genere dà l'idea della cosa eccezionale, che avviene raramente. E' un modo di dire analogo a "segnarla con carbon bianco", ma quanto più efficace! Molto diffuso a Livorno

L'ARZO NN'E' BELLO, DISSE QUEL ROSPO: in genere si sottintende il resto della frase che precisa la circostanza, e cioè: "quando vide il contadino che auzzava un palo". Si dice nel Casentino per indicare una faccenda che promette male, come appunto dovette intuire il rospo vedendo il contadino che appuntava il palo per infilzarlo.

LASCIARSI SCOSCENDERE: cedere, lasciarsi persuadere






domenica 1 maggio 2016

La donna è come il maiale un si buttavia nulla, lamentarsi di gamba sana, lapotta, lampredotto, la novella dello stento

Oggi una carrellata di detti davvero interessanti, sulla donna, sul lampredotto, sulla novella dello stento....

LA DONNA E' COME IL MAIALE UN SI BUTTA VIA NULLA: è un modo di dire proverbiale livornese; grassoccio, sì, ma fondamentalmente ottimista

LAMENTARSI DI GAMBA SANA: lamentarsi senza motivo; essere incontentabili

LAMPOTTA: scherzosamente, e con malizia, in luogo di lampeggiare. Anzi, il modo di dire completo sarebbe: "Lapotta e piovicazzola"

Lampredotto

LAMPREDOTTO: è l'intestino del bue. Un tempo specialità povera delle  osterie fiorentine, come la trippa è diventato una ghiottoneria, o quasi, del neorealismo culinario

LA NOVELLA DELLO STENTO: è un discorso o una questione monotona, interminabile, che non finisce mai. Il modo di dire deriva da un vecchio giochetto irritante inventato dalle nonne per quando i nipotinichiedevano con insistenza un'altra novella, magari la ventesima della giornata, e le povere vecchie non sapevano cosa raccontare. Così attaccavano, ipocritamente invitanti: "La novella dello stanto che dura tanto tempo e non finisce mai, se vuoi che tela dica te la dirò". "Sì" rispondeva  felice il bambino. E la nonna, malvagiamente: "Nonsi dice di sì alla novella dello stento che dura tanto tempo e non finisce mai!". "No" si correggeva precipitosamente la creatura. E la nonnetta, implacabile: "Non si dice di no alla novella...." e così via fino a quando finiva la pazienza del bambino e il fiato della nonna. Perchè, una volta, non usava usava uccidere le persone anziane,specialmente in famiglia.


venerdì 29 aprile 2016

Labbrata, lacca, lacchezzo, la corpa morì fanciulla, l'acqua bollita le donne le pela

Come ben sapete ci sono tanti modi per dire schiaffo..oggi ne abbiamo due, tipicamente toscani, ma parleremo anche di un modo diverso per dire raggiro e altro ancora

LABBRATA: l'esattezza sarebbe un manrovescio, ovvero uno schiaffo tirato sulla bocca col dorso della mano; ma non fa differenza, soprattutto per chi la riceve, se anche quando arriva su una guancia e con la palma della mano la chiamano lo stesso LABBRATA

LACCA: sberla. Sembrerebbe onomatopeico, ma forse deriva dalla coscia di quadrupede, anca e, per estensione, letteraria e anatomica, natica umana. In Lucchesia significa anche mancia e ricompensa sottobanco


LACCHEZZO: raggiro; imbroglio; combinazione

LA CORPA MORI' FANCIULLA: "Perchè nissuni la voleva" aggiungono in qualche località della costa tirrenica dove questo modo di dire proverbiale è molto diffuso

L'ACQUA BOLLITA LE DONNE LE PELA: si dice scherzosamente quando ci si scotta. E si può continuare: "E se l'è di quella bona pela le donne e gli uomini ancora". Una cantilena con la quale nel PIsano le mamme addormentavano i bambini dice:

Lallarallera, lallarallera
l'acqua bollita le donne le pela
e le pela sul groppone
o cche donne pillaccherone.
Se son belle le pela mezze
Se son brutte le pela tutte

giovedì 28 aprile 2016

In quantunque, in senna, intrafinefatta, intruglia, in un fondo di letto, invinata (con ricetta incorporata)

Provate anche voi a fare l'intruglia o l'invinata....prima che qualche famoso chef le riproponga come piatto speciale in qualche inarrivabile risotrante

IN QUANTUNQUE: in etichetta

IN SENNA: sull'orlo; in cima; in fuori. Lo dicono in certe zone pisane e a Empoli

INTRAFINEFATTA: immediatamente

INTRUGLIA: è un piatto gustoso, molto popolano, nelle zone interne della Versilia; roba da contadini e da montanari, ma non ci sarebbe da stupirsi che, grazie anche alla curiosità per il suo nome poco invitante, prima o poi apparisse nel menù di qualche tipico ristorante turistico alla moda. Ecco la composizione: acqua sale, cipolla, sedano, peperone, fagioli neri, cavolo lombarello, olio d'oliva o cotenna di maiale, farina gialla.

Intruglia

IN UN FONDO DI LETTO: quando uno è malato cronico o paralizzato da tempo è in un fondo di letto

INVINATA: energetico usato nell'Alta Versilia per i giorni più freddi dell'inverno, magari dopo cena, a veglia attorno al focolare: far cuocere farina dolce di castagne dentro il vino un po' allungato con acqua, tenendo l'impasto molto tenero.




mercoledì 27 aprile 2016

Incazzissi, in che mo, incimurrito, inculata, in filo, ingazzurrire

Dalle parole tronche ai termini sartoriali: gli infiniti usi del vecchio italiano

INCAZZISSI: innamorarsi pazzamente

IN CHE MO'?: letteralmente "in che modo? Ma nei dialetti lungo la fascia tirrenica significa: perchè? per quale motivo? "In che mo' un sei ito a la scuola?". In altre zone della Toscana si usa "in che maniera?" e sempre con l ostesso significato interrogativo di : Perchè?


INCIMURRITO: raffreddato. Da cimurro, che pur essendo una malattia che colcpisce cani e cavalli, nel linguaggio familiare indica anche il raffreddore delle persone

INCULATA: grave danno, perdita di denaro a causa di un impbroglio. "Ho preso un'inculata di diecimila lire"; "m'ha inculato di mezzo milione"

IN FILO: pronto; disposto. Stare in filo viene spesso usato in senso ironico: "Gli è stato in filo a piglià moglie!", come dire che l'ha fatta la sua a sposarsi

INGAZZURRIRE: invogliare di qualcosa. A Pisa c'è un altro modo di dire cha significato analogo: "Mette e dento 'n frega".

martedì 26 aprile 2016

In barba di micio, in bernecche, incappellata, incavolata

Dagli atteggiamenti degli animali, alle ubriacature, ai piatti tipici...motti e detti traggono ispirazione da tutto

IN BARBA DI MICIO: oziando, senza far nulla. Dice il Rigutini e Fanfani: "Stare agiatamente e quasi pavoneggiandosi a suo agio, come fa il gatto satollo, che se ne sta seduto, leccandosi ogni tanto i baffi"

IN BERNECCHE: un po' ubriaco; sbronzo, ma non in modo sconcio. Secondo il Giacchi deriverebbe da "bernesco", perchè "apesso gli avvinazzati scherzano e cianciano lietamente". Dice il Camaiti in Parva selecta:
Vogliono dir ch'io sono un crapulone,
perchè amo il Chianti e adoro le bistecche;
ma non mi busco mail l'indigestione
e nessuno mia hamai visto in bernecche 


INCAPPELLATA: raffreddore, costipazione. "Prendere una incappellata"

INCAVOLATA: non è, come i pochi toscani sospeterebbero, un'arabbaitura, dal gergale "incavolarsi" eufemistico di "incazzzarsi" e, quindi, "incazzzatura". A Serrevezza e a PIetrasanta, in Versilia , si chiama INCAVOLATA la minestra tradizionale nella quale, oltre alla farina di granoturco, alla salvia, al lardo e ai fagioli freschi, entra il cavolo nero



domenica 24 aprile 2016

I' baccelli

Chi non conosce il Lunario toscano più famoso? Ma non solo Lunario...

I' BACCELLI: è il Lunario toscano per antonomasia. Il suo vero nome è "Sesto Cajo Baccelli, fratello maggiore di Settimio Cajo Baccelli nipote del celebre Rutilio Benincasa Astronomo-Cabalista soprannominato Lo Strologo di Brozzi" (Brozzi è una località alla periferia di Firenze).

Ormai quasi centenario (il suo stesso nome fa molto campagnolo, ma in Toscana, si badi bene, i BACCELLI sono sempre e soltanto le fave fresche) e I' BACCELLI conserva gelosamente il formato, la veste e la formula tradizionali, la vecchia copertina azzurra e le sestine-apologo che ogni anno trattano gli argomenti della morale attuale. Merita un esempio:

Una mattina, lazandosi, il buon Dio
gli Arcangeli chiamò presso il suo soglio
e disse loro: "Qui comando io;
è legge sacrosanta ciò che voglio;
annunciate perciò nomine domini
che onesti d'ora in po saranno gli uomini".
..........

Che meraviglia! Tutto il mondo in festa!
Sulle labbra di tutti un bel sorriso.
Non si vedeva più una faccia mesta.
Sparve l'inferno e apparve il paradiso...
Ma poi, pian piano, un pochettin per volta,
cominciò il malcontento e la rivolta.
Insorsero per primi i sindacati
in nome di miliardi di operai;
poi questurini, giudici, avvocati
aduti a un tratto nei più neri guai
a causa del benefico trapasso
che li aveva mandati tutti a spasso.
Chi facea, per esempio, serrature,
chiavi, inferriate, porte o casseforti
si ridusse in sì tristi congiunture
da venir con la fame ai ferri corti;
e per sanar la disoccupazione
non bastò più la cassa integrazione.
"Lo vedete? dicean gli ex farabutti,
anche noi si serviva bene o male
al lavoro e al benessere di tutti
nel progresso economico e sociale!"
E pretesero che la brava gente
dovesse aiutarli finanziariamente.
 


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