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sabato 16 maggio 2015

GIOCAVO SOTTO UN SALICE PIANGENTE

Nascosto dietro un palazzo, c'era un piccolo rigoglioso giardino, dove un manto d'erba verde e morbida cresceva ben curata. Era un giardino silenzioso, casa di uccelletti tondi e canterini, al centro del quale si trovava un bellissimo salice piangente, le cui morbide e folte fronde ricadevano, languide e suadenti, sull' erba. Giocavo lì, nascosta dalle fronde del salice, in quella casa verde che mi nascondeva agli occhi del mondo.

Solo il venticello sapeva che c'ero io lì sotto, fra le verdi pareti del saggio salice, nelle quali i raggi di un antico sole primaverile si affacciavano indiscreti e forse un po' sfacciati a curiosare. Era un semplice riparo quello che il salice mi offriva, e mentre intenta nei miei giochi, mi muovevo nel suo abbraccio, lui parlava sobriamente, dondolando in un quasi impercettibile fruscio, gli eleganti rami le cui lanceolate foglie abbracciavano il tappeto erboso.


Era una solitudine meditativa la mia, lontana da rumori stridenti della vita intorno, solitudine in cui i sensi non avevano ragion d'essere, perchè inutili orpelli di un equilibrio ben più alto, dove unica protagonista ricettiva era la sensitività dell'anima. I miei giochi non avevano bisogno di oggetti, era la mente che creava ogni cosa, nello stile e in tono con la capanna verde che m'accoglieva benigna.

Fra le radici nodose sedevo volentieri, quasi a ritirarmi nell'incavo del suo tronco e immergermi nel lento scorrere della sua linfa, compenetrandomi del suo essere, respirando il suo sapere, non domande, non risposte.

Era un magico solipsismo il nostro, radicato nella sua corteccia, compenetrato nel mio io più profondo. Poi un giorno, un'anima stanca si addormentò per sempre ai suoi piedi e nulla fu come prima. Il salice non potè più ospitarmi, nè più parlò, lo guardavo di lontano e mi sembrava in altro mondo.

Qualche anno dopo qualcuno decise di tagliarlo, non ricordo più perchè, ricordo che mi fece male, ne udii la sofferenza, gli ultimi echi della sua voce che dal mozzo tronco si spargevano intorno. Dopo più di trent'anni ci son passata ieri in quel giardino, e ho guardato là, dove stava il salice nulla più è cresciuto, solo l'erba verde resiste ancora. Mi son fermata solo un attimo e ho ancora udito quella sofferenza.

2 commenti:

  1. Mi piace tanto il concetto di solipsism che regna sin dall'inizio del racconto. Più che lasolitudine è il modo di vedere che fa diventare tutto magico, tutto perfetto.
    Grazie per questi minuti di gioia e riposo.

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  2. Anch'io passo spesso dove c'era il "mio" prato e adesso c'è un edificio con quattro appartamenti. E provo sensazioni analoghe a quelle che hai descritto.

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Silvia

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