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venerdì 23 ottobre 2015

In camera caritatis

Questo è un motto di origine medioevale, che come si può notare si può tradurre letteralmente. Ma è naturale che abbia anche un significato traslato altrimenti non si tratterebbe di latino e relativi orpelli filosofico interpretativi.

In camera caritatis: nella camera della carità. Espressione di origine medioevale che identificava la camera con il luogo in cui si gestiva il potere e caritatis il modo bonario con cui esso veniva esercitato. In ogni caso identificava  un posto dove nessuno potesse sentire.  Per questo motivo il detto è spesso usato in relazione ad un rimprovero che vuole essere esposto solo all'interessato

 L'espressione viene anche usata quando si vuole confidare qualcosa che non deve però diventare di dominio pubblico; se una persona afferma: "in camera caritatis, questo l'ho fatto io", significa che effettivamente ha fatto quella cosa, ma negherà ufficialmente con tutta forza di averla fatta.



venerdì 18 luglio 2014

Baccalà | Parole e verbi in disuso

BACCALA': come sia potuto succedere che dal primitivo significato di merluzzo essiccato e conservato sotto sale si sia arrivati, in Toscana, a chiamare BACCALA' un miscredente, un ateo, è un po' misterioso. Secondo qualcuno, l'etimologia sarebbe da attribuirsi al "baccalaureato o baccelliere, "licenziato in legge che già coronavasi con alloro fornito di bàcchere. Questi baccellieri filosofavano a lor posta, e il volgo gli teneva come saggi sì ma alquanto miscredenti" (così il Pirro Giacchi).

Il conte Fossombroni
E' abbastanza logico, invece, l'accostamento scherzoso che i vecchi Pisani facevano fra il baccalà secco e inteccherito con la giubba a coda delle guardie municipali di un tempo.
Baccalà a Siena, è il rimprovero, la ramanzina. In Versilia si usa dire, sempre col significato di indifferente in materia di fede, baccalàre. "E' un baccalàare che non crede gnanco nel pan che mangia".

La "baccalaràta", ossia un pranzo fatto esclusivamentedi baccalà, usava una volta specialmente nel Pisano dopo una cerimonia funebre. A questo proposito, e a proposito del baccalà cibo plebeo e snob al tempo stesso, è noto in Toscana il sonetto che il conte Vittorio Fossombroni, primo ministro dle Granducato nel 1815 e grande estimatore della buona tavola, scrisse quattro ore appena prima di morire:
Lodi chi vuole il dentice, l'ombrina,
lo storion, l'aligusta, il tonno, il ragno;
e quanti pesci son nel fiume, o stagno,
e quanti vengon mai dalla marina.
Io dico che è vivanda peregrina
il pesce baccalà ch'èstato in bagno,
perchè del buon nasello egli è compagno
e molto nel sapor gli s'avvicina.
o ch'egli a lento fuoco sia lasciato
perchè lesso divenga, io nol condanno,
o che sia fritto, avver d'erbetta ornato,
solo posso asserir, lungi da inganno,
che fatto in cento guise è sempre grato
e buono è il baccalà per tutto l'anno.
E di lì a poco l'ineffabile conte rimaneva secco come un baccalà.

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