Dovevo camminare, questo aveva detto la terapista, se volevo recuperare la sensibilità alla gamba, se non volevo aumentare le possibilità di perderla. Così cercavo di trascinarla, pur non sentendola, insieme all'altra, con la sensazione di cadere ad ogni passo, con la sensazione che non reggesse.
Non la sentivo, era come anestetizzata. La schiena mi faceva male. Ma camminavo, sul lungo mare, lentamente, guardando di fronte a me, ascoltando la parte del corpo che non collaborava. Camminavo, parlando al mio piede e al mio polpaccio, chiedendo loro di riacquisire la sensibilità perduta, parlavo alla schiena che urlava tagliente il suo dolore e che spezzava il mio corpo in due.
Ma andavo avanti; sul lungo mare non c'era quasi nessuno, e ne ero felice, così evitavo che gli sguardi delle persone fissassero il mio handicap. Tirava vento, il cielo era grigio, solo uno spruzzo di luce sull'isola d'Elba.
Sentivo la fatica, il dolore, ma andavo avanti. Avevo messo gli occhiali scuri perché non si leggessero sul mio volto le smorfie della tensione.
Ero quasi arrivata al limite ultimo del lungo mare, laggiù in fondo, dove la strada asfaltata lascia il posto alla campagna, e lì, distrutta, mi sono seduta un attimo per riprendere fiato. Era freddo, ma ero sudata fradicia. Di fronte a me i bungalows del villaggio turistico ancora chiusi e immersi nel in quel surreale silenzio tipico dei villaggi fantasma, accanto, un boschetto che da anni ospita una colonia felina.
E proprio lì, ecco apparire tre gatti che, sereni, felpatamente passeggiavano.
Amo osservare i felini, il loro universo misterioso mi incanta. I loro occhi magnetici osservano il lato nascosto delle cose, e mi ipnotizzano, i loro movimenti fluidi ed armoniosi, mai scomposti, mi fanno pensare all'armonia del cosmo.
Dal gruppetto dei tre mici, se ne è staccato uno che, venendomi incontro, mi ha miagolato il suo pensiero, a cui io ho prontamente risposto, dandogli la buonasera. Il micio mi è saltato in collo, guardandomi con i suoi occhioni verdi, cui faceva da contorno un naso color confetto. Le sue fusa erano così forti che mi hanno fatto da mantra, entrando nella mia mente, spegnendo tutto.
Si è acciambellato sul mio grembo attaccandosi il più possibile alla mia pancia, mentre io mi beavo di quell'improvviso massaggio mentale, carezzando il pelo tigrato e morbido e scaricando tutta la mia elettricità. Sono rimasta in trance, dimenticandomi anche della gamba e della schiena, tanto potente era il mantra delle fusa del mio "selvatico" salvatore.
Non mi sarei staccata da lì per nessun motivo, RRRR RRRRR RRRRR, e la mia psiche era staccata dai sensi del corpo.
Si stava facendo buio, e io dovevo tornare a casa, la strada del ritorno era lunga e molto faticosa. Il micio ha intuito, come solo i felini sanno fare, del resto Allah creò il gatto perché l'uomo potesse accarezzare un piccolo leone; mi ha guardata con i suoi occhioni verdi, socchiudendoli leggermente: aveva capito. L'ho accarezzato in mezzo alle orecchie, e dalla sua bocca è uscito un tenerissimo musicale MIAO.
L'ho stretto ancora un momento e poi l'ho messo delicatamente giù. Mi sono alzata con fatica e lui è rimasto a guardarmi per un istante. Ho ripreso la strada verso casa trascinando la mia gamba e lui è sparito nel folto del boschetto.
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