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lunedì 22 giugno 2015

La madragora, pianta magica - parte prima

La radice di mandragora ricorda la forma del corpo umano, come un pupazzetto, con la testa, le braccia e le gambe. Gli antichi infatti erano convinti addirittura di poterne ditinguere il genere: cioè maschio o femmina. Ma la Mandragora officinalis (più precisamente Atropa mandragora come dice Linneo, Atropa che deriva dal nome di una delle parche Atropo che recideva il filo della vita, per la sua velenosità), per questo suo aspetto umanoide ha scatenato la fantasia degli uomini nei secoli, che le hanno attribuito virtù magiche e medicinali: analgesiche, sedative, narcotiche e anche afrodisiache.


Ne parla anche la Bibbia, in particolare in Genesi: “Rachele richiese a Lia la radice di mandragora per ottenere la fecondità”. Secondo una fantasiosa teoria la mandragora sarebbe nata nel Giardino dell’Eden: i primi Esseri umani non sarebbero stati che giganti mandragore sensitive; essi avrebbero poi mantenuto per sempre intimi rapporti con la Pianta Madre specie per quanto riguarda l’aspetto delle sue radici. Ad Ecate, dea delle tenebre, legata ad Artemide-Diana, era sacra.

Proprio per queste sue caratteristiche antropomorfe si credeva che come le persone, avesse qualità umane, una in special modo: quella di soffrire terribilmente quando la si estirpava. E per punire chi cercava di eradicarla, essa si vendicava procurandogli, con i suoi “veleni”, la pazzia o la morte. Ma l'uomo è ingenoso e ha trovato il modo per aggirare l'ostacolo: come praticare tre profondi cerchi con un coltello nella terra intorno alle radici, guardare verso oriente e pronunciare una formula magica mentre la estirpava di colpo. Ma v’era anche un altro metodo, questa volta "infallibile": l’uomo legava il capo di una corda alla base della pianta e l’altro capo al collo di un cane (doveva essere nero!), tenuto per un certo tempo a digiuno; indi, volgendo lo sguardo verso la luna e possibilmente suonando uno zufolo, egli mostrava da una certa distanza al cane un pezzo di carne. Nel tentativo istintivo di afferrarlo, con il collo il cane tirava di scatto la corda che lo legava alla base della pianta,estirpandola. I latrati del cane coprivano ovviamente “i gemiti di dolore” della povera mandragora. Coglierla non era quindi da tutti.

Ma coloro che conoscevano la mandragora in maniera infallibile erano naturalmente i maghi e le streghe che non solo la coglievano di notte nei cimiteri (specie di campagna), ai margini dei patiboli o ai piedi degli impiccati, ma conoscevano anche tanti altri segreti per non farla soffrire e per non subire i suoi influssi negativi: guai, per esempio, mettersi “controvento” e aspirare i suoi effluvi mortali, o non cantare nel frattempo strofette (magari a sfondo erotico). Essendo una pianta potenzialmente ambivalente nei suoi rapporti con l’Essere umano, essa poteva sia guarire la mente e il corpo, come anche portarlo alla perdizione: sia donargli il sonno ristoratore che provocargli la pazzia; sia proteggerlo contro il veleno dei serpenti che ucciderlo senza pietà; oppure lenire il dolore, o (in forti dosi) produrre allucinazioni e deliri.


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