Dolcefforte |
Carlo Betocchi, con l'acquolina in bocca, parla del Dolcefforte: "Vuol le più fini stoviglie, le porcellane perlacee, al suo indolente sdraiarsi; e sferra l'occhio che lo ammira, all'olfatto che se ne compiaccia, cinesemente sornione tinte, odori, e fumisterie del più eccellente periodo della pitura di Primo Conti, quand'era futurista. Zucchero, aceto e cioccolata: anzi, "indica canna" e... "scegli il buon cioccolatte, ande tributi ti dà il guatimaltese e il caribbèo": e canditi di Ceylon, e pinoli di bosco allevati tra resine solitarie, e uvetta di Madera: e sul bordo del sugo densissimo appare l'orlo solare dell'olio, limpido come topazio. Mirabilia, a vedersi, che è ricchezza e potenza del più bello immaginar surrealista: da cui spunta, infatti, qua e là, il macabro bianco dell'ossa, e il salvatico della carne del lepre. E ti par di sentire, lontani, echeggiare non sai che corni bonari di caccia, e ti perdi in un arazzo, dove vaghi e sei solo, di lorenesi anticaglie, di verde Toscana. Ma l'aceto t'avventa alla gola, come l'odor del forteto di Maremma (o pittori, o scrittori nostrali), tra l'abbaìo di segugi e tanfo di cinghiali. O eroe buongustaio accampato alle bianche tovaglie: rammentati allora di come tra il lampo dei denti ti sappia rapire la magica nube, la venere negra del cioccolato; e il tuo succulento piacere, con lei, nell'alcova segreta del tuo palato. E non sei più quel che sei. Su un piatto di dolcefforte veleggi difatti, o mio etrusco toscano, fra riluttanze ed incerti crudeli a un paese ch'è solo di luxe, calme e voluptè".
Ciao Silvia, ma la ricetta? La foto é della lepre?
RispondiElimina