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mercoledì 15 luglio 2015

La Stella di Betlemme, il fiore di Bach per chi è particolarmente angosciato

Ornithogalum umbellatum (quanto adoro i nomi delle piante in latino) o  Stella di Betlemme fa parte della famiglia delle Liliacee (come le cipolle e l’aglio); il suo fiore verde e bianco sboccia ad aprile/maggio ed è caratterizzato da una stella regolare a sei punte (come quella di Davide), che gli permette di uscire fuori nel prato quando c’è il sole ed anche senza acqua nel terreno.

E’ conosciuto anche come la “stella di latte d’orata”, e secondo la tradizione  questi fiori formavano la corona attorno al capo di Gesù. La parola chiave che caratterizza questo rimedio è “il trauma”, e la tipologia delle persone a cui si addice, sono afflitte da uno shock recente, ma anche antico del quale ancora ne subisce le conseguenze, poichè la ferita del trauma è sanguinante nell’anima e nel corpo, con manifestazioni e disturbi psicosomatici.


Bach definì questi caratteri: “… Per coloro che si trovano in uno stato di grande angoscia a causa di situazioni che, in un dato periodo, hanno provocato tanta infelicità: lo shock di una cattiva notizia, la perdita di una persona cara, lo spavento per un incidente e altri eventi simili. Questo rimedio porta sollievo a chi rifiuta il conforto degli altri… ”. E' adatto a chi  è spesso in uno stato di stordimento interiore e chiuso in se stesso, per questo apporta un grande recupero inteso come beneficio, ammorbidisce pertanto l’anima, il dolore della ferita che ancora si sente, quindi porta recupero sottile, ma fondamentale.

Scioglie i blocchi sia fisici che psicologici che emotivi, ritrovando se stessi e neutralizzando gli effetti negativi di un shock già nel quotidiano elaborando costruttivamente le situazioni.
 • Emozioni iniziali (prima di prendere il fiore): Postumi di un trauma
 • Emozioni evolutive (dopo aver assunto il fiore): Risoluzione, consolazione, l’attenuazione del dolore e l’elaborazione (del lutto, incidenti, maltrattamenti, perdita, parto,aborto, shock vari, etc.).

Ecco come Bach ne definisce le qualità: “… il rimedio consolatore, che conforta l’anima e placa e mitiga il dolore e la preoccupazione… ”. Star of Bethelehem è indicato per coloro che si trovano in uno stato di grande angoscia a causa di situazioni che, in un dato periodo, hanno provocato tanta infelicità.

Questo sblocca le energie stagnanti, riesce a far fluire le emozioni e far affrontare il dolore senza reprimerlo a chi specialmente rifiuta il conforto dagli altri. E’ un fiore adatto alle malattie psicosomatiche, per una crisi d’asma provocata dallo stress, per l’insonnia, per l’amenorrea e le gravidanze isteriche, spesso questi soggetti manifestano anche disturbi forti come mal di gola a causa della tensione. Prezioso per chi si trova in uno stato d’animo anestetizzato e forzato, per chi è quindi bloccato nel crescere e nel fare esperienza, che vuole però disintossicarsi e intraprendere il proprio cammino con armonia.

martedì 29 aprile 2014

Il misterioso Bloop | Varie

In una raccolta di novelle di Italo Calvino che ho a casa, c'è una splendida novella intitolata La sposa sirena. Le leggende sulle sirene sono spesso associate ai marinai, ma esse affondano le loro origini nella notte dei tempi. Persino in una grotta di arenaria in Egitto vi sono rappresentazioni molto antiche  delle sirene, infatti sulle pareti della caverna sono disegnate creature umane con la coda, equipaggiate con lance e reti. 
Ma torniamo ai nostri giorni. Durante l’estate del 1997, il NOAA, grazie ad un idrofono equatoriale, registrò più volte un suono misterioso proveniente dagli abissi dell’Oceano Pacifico. Il suono aumentava rapidamente in frequenza per circa un minuto, ed era di ampiezza sufficiente per essere ascoltato dai sensori ad una distanza di oltre 5.000 chilometri. Questo strano suono – denominato “The Bloop” – è, come afferma il NOAA – di origine sconosciuta. Secondo alcuni, questo suono potrebbe essere la prova dell’esistenza di una specie sottomarina sconosciuta.

Paul Robertson, un ex dipendente del NOAA, nel 2007 stava indagando su inspiegabili spiaggiamenti di massa delle balene. Durante l'esame dei campioni di tessuto dei corpi di alcune balene, i ricercatori compresero che i mammiferi erano stati danneggiati da sonar particolarmente potenti, utilizzati in diverse parti del mondo in occasione di esercitazioni navali, giungendo alla conclusione che l’inquinamento acustico marino è un fenomeno che in questi ultimi anni ha avuto un grande incremento. Questo significa che le nuove tecnologie sonar utilizzate  per mappare il fondo dell’oceano e per individuare  bersagli sottomarini, emette vibrazioni sonore percettibili fino a centinaia di chilometri di distanza. Quando specie sensibili, come balene o delfini, si trovano vicine alla fonte di emissione del rumore, subiscono un vero e proprio trauma, che le spinge a fuggire. Fuga che risulta loro fatale quando è diretta verso la superficie del mare. In base allo studio fatto, si è concluso che l’impatto di media frequenza di un sonar militare sull’udito di una balena, è equivalente a quello di un motore di jet al decollo sull’udito di un essere umano che si trovi a tre metri di distanza da esso. Perciò  è a causa delle onde sonore emesse dai sonar che i mammiferi marini, nel tentativo di sfuggire alla raffica di queste onde eccessivamente potenti,  si spingono in acque troppo basse per sostenere le loro dimensioni enormi, finendo per arenarsi. Per cercare di dimostrare questa teoria, Robertson e il suo team si servirono delle registrazioni di un idrofono di profondità. Fu proprio in quelle registrazioni che ascoltarono la prima volta il “bloop”. Grazie ad un software audio, i ricercatori riuscirono ad isolare il suono di una creatura sconosciuta mescolata con i suoni delle balene e dei delfini. Dopo più accurate analisi, i ricercatori ebbero l’impressione che queste creature sconosciute comunicassero con i mammiferi, forse con l’intento di salvarli dal rumore del sonar.  Qualche settimana dopo, ci fu un altro spiaggiamento di massa in Sud Africa. Anche in quella zona vennero registrati suoni simili sui dispositivi utilizzati dai ricercatori. Robertson e il suo team vi si recarono per indagare. Proprio qui furono ritrovati i resti di una creatura sconosciuta all’interno dello stomaco di un enorme squalo bianco. Durante l'esame dello squalo, i ricercatori osservarono una sorta di pugnale infilzato nel lato della bocca dello squalo. Come poteva un pugnale essere conficcato proprio in quel punto? Una volta tirate fuori tutte le parte dallo stomaco dello squalo, cominciarono a studiare attentamente i resti per capire di cosa di trattasse. All’interno trovarono la testa della creatura, una mano quasi completa, un lungo osso tipo coda-pinna. Inoltre, i ricercatori trovarono anche uno strano strumento con un buco, un perfetto astuccio per il coltello ricavato forse, dalla spina dorsale di qualche grosso pesce. Ma chi aveva potuto produrre un oggetto simile? Alcuni dei ricercatori si convinsero di trovarsi di fronte ad una sorta di “ominide acquatico intelligente”, una sirena? Dunque tutte le misteriose lance e coltelli trovati nei corpi di numerosi pesci nell’oceano, cominciavano ad avere un senso. Purtroppo, mentre il team di Robertson si apprestava a tornare negli Stati Uniti, i militari americani confiscarono i resti della creatura e i risultati della ricerca. Fu chiaro che il governo, che stava studiando il fenomeno da molto tempo, si era avvalso delle ricerche di Robertson e dei suoi collaboratori per ottenere le informazioni che cercava. L’unica cosa che lasciarono fu la registrazione del famoso “bloop”. Il sequestro fu un'amara sorpresa, dopo anni di duro lavoro, ma le registrazioni erano il vero tesoro da conservare. Grazie ad esse, era chiaro che  le sirene (o presunte tali), erano in grado di comunicare con i delfini e le balene. Questa è stata la prima e unica  testimonianza di una comunicazione interspecie.  In una intervista, Robertson ha dichiarato di non sapere se le sirene esistano o meno, a differenza di uno dei suoi colleghi il quale pensa che esistano e che bisogna solo trovarle. Secondo Robertson, se le sirene esistono e sono sopravvissute così a lungo è perché sanno nascondersi. L’unica cosa di cui è convinto è che non vuole più contribuire alla ricerca delle sirene: “Non credo che gli esseri umani sarebbero in grado di coesistere con le sirene senza sterminarle” (e chi potrebbe dargli torto?). Il ricercatore sta ancora cercando di ottenere il bando dello sviluppo e della sperimentazione di armi Sonar per salvare balene, delfini e sirene. Certo è che gli abissi marini nascondo creature misteriose, di cui ancora non consociamo nulla e che personalmente spero rimangano nascoste, l'unica via di salvezza che permetterà loro di sporavvivere alla nostra invadenza.

domenica 3 novembre 2013

PELI SUPERFLUI, DIE HARD


Ero ancora una ragazzina, a cui piaceva indugiare nella terra di mezzo fra l'infanzia e l'adolescenza, periodo quello in cui, in noi, si rafforza la consapevolezza del nostro corpo e dei cambiamenti a cui va incontro. Ma, e qui credo di ottenere consensi, dalle donne in particolare, una ben precisa consapevolezza si fa largo: la comparsa dei peli supeflui.
Ma che cavolo ci fanno sul nostro corpo? Insomma, dico io, non sono gli uomini ad averli quale emblema di virilità? Cosa centra che nascano anche a me sulle gambe? Perchè accanirsi all'inguine? E poi, stramaledetti, vorreste anche dare un tono di colore al mio labbro superiore?
Questi quesiti si susseguirono all'interno della mia mente facendo dei confronti con le mie donne di casa, che erano immuni a questo virus. Due potevano essere le risposte: o vi ponevano rimedio senza che io me ne accorgessi, oppure non ne avevano la necessità. 
Nel primo caso ero decisa a scoprire il segreto di tale eliminazione, nel secondo mi resi conto che avrei potuto subire un grave trauma.
Ricevetti un grave trauma, ma che ero, la figlia di un dio minore? No, mi dissero, ero solo figlia di mio padre, i cui capelli e relativi peli, erano neri come l'ebano, corvini insomma.
Non poteva essere, perchè proprio io? Ma come, loro potevano mettere in mostra le gambe in qualunque momento, infilarsi il bikini e via al mare e io no? Apriti o terra!
Di sicuro era una punizione divina, la pena del contrappasso, il karma di una vita precedente......
Tuttavia la mia disperazione non era utile alla risoluzione del problema (problema che ovviamente era enorme ai miei occhi, perchè alla fine poi tutta questa foresta nera non c'era....).
E mentre in casa mi si diceva di non farmene un complesso, io mi limavo e contorcevo, soprattutto quando le nonne davano voce alla saggezza popolare, che per altro in quel momento trovai essere una saggezza di infima categoria e solo per imbecilli: "Donna pelosa, donna virtuosa!" e giù a ridere.....
Io non ci trovavo nulla da ridere, ma proprio un fico secco di nulla e manifestai il mio disappunto per quell'ironia sciocca e frivola. Se non volevano darmi una mano consigliandomi la soluzione migliore, avrei fatto di testa mia, piuttosto quegli incomodi peli li avrei bruciati uno per uno.
Quando il resto del gineceo, capì che facevo maledettamente sul serio, pensò bene di assecondarmi, prima che trovassi soluzioni estreme, tipo la scarificazione.
Venni indirizzata presso un centro estetico, dove gli incomodi abitanti delle mie gambe furono attaccati dalla ceretta; ero talmente risoluta nel perpetrare il genocidio pilifero che persino l'estetista si chiese come facessi a non fare smorfie di dolore. Uscii con un senso di leggerezza mai sentito prima, pur sapendo che quella battaglia non era certo terminata lì. Quindi, per non dare tregua a quella gramigna infestatrice, mi dotai anche di un silkepìl, in modo tale che, al riapparire del praticello parassita, avrei annientato sul nascere la baldanza di quegli invasori.
Ho usato tutti i silkepìl esistenti sul mercato, ho testato le varie generazioni di questi ultilissimi strumenti, defalciatori dei residui della atavica pelliccia che ci ricopriva milioni di anni fa, e finalmente, ho sterminato alla radice i barbari invasori.
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