Confesso che fu un grosso sacrificio per me, dover obbligare la mia mente a pensare di partire da una direzione non consona alla mia natura, ma dovetti sottostare a tale regola. Ho quindi imparato a scrivere come tutti, in bella e ordinata grafia, ma, per verificare l'andamento della mia scrittura ero obbligata a tenere il quaderno storto, altrimenti la mia mano avrebbe coperto lo scritto. L'istinto però non lo si può reprimere, nè incatenare, esso riaffiora, anche quando si crede di averne dimenticato l'esistenza. Lo si deve seguire prima o poi, e io non ho mancato al mio appuntamento con lui, l'ho seguito, scrivendo nella maniera che mi veniva naturale: alla rovescia.
Già, al contrario, come se lo vedessi attraverso uno specchio, ogni lettera specularmente rovesciata. E così ho mantenuto la mia abitudine, anzi l'ho coltivata, scrivendo in questo modo, senza difficoltà alcuna, senza dover tenere il quaderno storto. Assecondare questa mia naturale inclinazione è come entrare in meditazione, ne sono totalmente assorbita, tanto da fermare il normale fluire dei pensieri nella mente mentre scrivo, ma la mente se pur fuori dallo scorrere razionale dei pensieri, detta alla mano ciò che razionale non è, e in quella scrittura a rovescio rimangono tracce di pensieri provenienti da anfratti ancestrali che la preponderante razionalità disconosce.
Le testimonianze della mia scrittura a rovescio sono ovunque, su fogli sparsi, in qualche quaderno, nella lista della spesa, in messaggi cartacei lasciati ai familiari, costretti all'uso dello specchio per leggerli correttamente. L'impulso a scrivere a rovescio esplode così, all'improvviso, senza avvertire, anche di notte, e io lo devo seguire, mi sveglio e scrivo a rovescio ciò che l'altra parte di me stessa detta alla mano, e ciò che scrivo non passa dal mio io presente, ma dalla mia parte mancina, quella vera, che conosco attraverso l'altro io nello specchio della mia scrittura.
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Silvia