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martedì 5 maggio 2015

Sono mancina e scrivo alla rovescia

Sono mancina, un mancinismo il mio di quelli estremi, che non ti permette di far nulla con la mano destra, nemmeno portarti la forchetta alla bocca. La mano sinistra è per me lo strumento indispensabile alla vita, come l'acqua per l'assetato. Ho avuto la fortuna di nascere in epoca moderna e non dover subire traumatiche correzioni scolastiche, dettate da una eretica visione del mancismo da parte di educatori poco inclini ad una visione illuminata della diversità. Ciononostante il primo giorno di scuola, alle elementari, la mia aperta maestra fu costretta a farmi notare che, per scrivere, era necessario partire da sinistra e andare verso destra, e non come facevo io, che partivo da destra e andavo verso sinistra.


Confesso che fu un grosso sacrificio per me, dover obbligare la mia mente a pensare di partire da una direzione non consona alla mia natura, ma dovetti sottostare a tale regola. Ho quindi imparato a scrivere come tutti, in bella e ordinata grafia, ma, per verificare l'andamento della mia scrittura ero obbligata a tenere il quaderno storto, altrimenti la mia mano avrebbe coperto lo scritto. L'istinto però non lo si può reprimere, nè incatenare, esso riaffiora, anche quando si crede di averne dimenticato l'esistenza. Lo si deve seguire prima o poi, e io non ho mancato al mio appuntamento con lui, l'ho seguito, scrivendo nella maniera che mi veniva naturale: alla rovescia.

Già, al contrario, come se lo vedessi attraverso uno specchio, ogni lettera specularmente rovesciata.  E così ho mantenuto la mia abitudine, anzi l'ho coltivata, scrivendo in questo modo, senza difficoltà alcuna, senza dover tenere il  quaderno storto. Assecondare questa mia naturale inclinazione è come entrare in meditazione, ne sono totalmente assorbita, tanto da fermare il normale fluire dei pensieri nella mente mentre scrivo, ma la mente se pur fuori dallo scorrere razionale dei pensieri, detta alla mano ciò che razionale non è, e in quella scrittura a rovescio rimangono tracce di pensieri provenienti da anfratti ancestrali che la preponderante razionalità disconosce.

Le testimonianze della mia scrittura a rovescio sono ovunque, su fogli sparsi, in qualche quaderno, nella lista della spesa, in messaggi cartacei lasciati ai familiari, costretti all'uso dello specchio per leggerli correttamente. L'impulso a scrivere a rovescio esplode così, all'improvviso, senza avvertire, anche di notte, e io lo devo seguire, mi sveglio e scrivo a rovescio ciò che l'altra parte di me stessa detta alla mano, e ciò che scrivo non passa dal mio io presente, ma dalla mia parte mancina, quella vera, che conosco attraverso l'altro io nello specchio della mia scrittura.

lunedì 26 maggio 2014

Piccola indagine sulla pietra di Ingà, parte prima | Varie

In Brasile c'è uno stranissimo monumento archeologico, nello stato nord orientale di Paraiba, proprio nel mezzo del fiume Ingà: è la  “Pedra do Ingá”. Essa è costituita da pietre di basalto, una superficie di circa 250 m² completamente ricoperta di simboli non ancora decifrati. La maggior parte di essi (detti glifi) sembrano rappresentare animali, frutta, esseri umani, costellazioni e galassie, mentre altri  sono del tutto irriconoscibili.

Chi ha inciso questi simboli? Quale messaggio trasmettono? E che cosa rappresentano? La Pietra di Ingà si presenta come un lungo masso orizzontale. In questa zona, in cui vivevano gli indigeni Tupi, la chiamavano “Itacoatiara”, ovvero “la pietra”. Le sue misure sono: 26 metri si lunghezza e 4 di altezza. I simboli e  le figure sono incisi in bassorilievo e paiono rappresentare animali, frutta, esseri umani e costellazioni come Orione e galassie come la Via Lattea. Altri simboli, invece, sono del tutto irriconoscibili.

Le domande che suscita questo monolite sono molte, e fra le tante ci si chiede se  i glifi incisi sulla roccia rappresentano un’antica lingua terrestre sconosciuta. Gli archeologi che continuano a studiarla, si trovano di fronte ad un enigma. Di teorie ne sono state fatte molte, ma tali rimangono. Per alcuni  si tratta di antichi simboli sacri scolpiti da antiche culture sudamericane; altri hanno ipotizzato che rappresenti la scrittura utilizzata da una antica civiltà sconosciuta che ha abitato la regione; altri ancora, infine, spingendosi in ipotesi più fantasiose, propongono addirittura che si tratti di un messaggio in codice lasciato da una civiltà extraterrestre. In totale, la roccia conta circa 450 glifi.

La questione primaria è capire se i glifi siano un’antica lingua. La maggior parte delle figure, infatti, sembra a prima vista astratta, ma i ricercatori ritengono che la Pietra di Ingá nasconda un antico messaggio cifrato. Ma non essendoci paralleli su cui operare un confronto, tentare una traduzione è improbabile, anzi impossibile. Il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi, grande studioso di lingue antiche che ha trascorso buona parte della sua vita studiando la Pietra di Ingá, ritiene che i glifi di Ingá sono simili in forma e dimensione a quelli delle culture mesopotamiche primordiali. In più, secondo lui, la lingua Tupi – Guarani, parlata da molti gruppi etnici sudamericani, sembra avere una lontana origine comune con la lingua ittita, antico popolo indoeuropeo fiorito in Anatolia 3800 anni fa.
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