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sabato 27 febbraio 2016

ANTONIO E LO SPOLVERINO BLU

Antonio indossa uno spolverino blu, uno spolverino che mi ricorda quelli indossati dai vecchi vetrai, intenti nel loro lavoro in ampie botteghe, dove le schegge di specchi e vetri colpite dal sole, si trasformavano in prismi diffondenti arcobaleni di luce colorata. Erano botteghe dove odori di colla e polvere si mischiavano in armonico profumo, proprio di quell'attività. Ma lo spolverino di Antonio non è adibito a quell'uso.

Egli lo indossa per un ben preciso scopo: andare sotto l'albero del gelso a raccogliere le scure more, che sugose occhieggiano dietro le larghe foglie, vestito di rami flessibili. Le more del gelso cadono nelle mani di Antonio, che le ripone sapientemente in una grande ciotola di plastica bianca; sono così mature che a volte il loro sanguigno succo gli tinge le mani e le gocce purpuree macchiano lo spolverino blu.


Le mani di Antonio sono grandi e forti, costellate di qualche legnoso nodo come il tronco del gelso, ma pur nella loro ampiezza, esse sono delicate e leggere, tanto che le fragili more vi trovano morbido letto. Da sotto il gelso si sente Antonio che parla con il merlo, che un po' indispettito si sente deufradato di tanto cibo e saltella nevoso da un ramo all'altro, mentre un gelosa ghiandaia lancia qualche roco avvertimento perchè il suo territorio è stato invaso da un gigante blu.

Io mi godo la scena dalla finestra, osservando i movimenti, ascoltando in silenzio i dialoghi fra Antonio, il merlo, la ghiandaia, nella pace spirituale di un giardino di cui mai rivelerò le coordinate, dove tutto è possibile, dove si fa il pane fatto in casa e torte che odoran di forno.

Con Antonio e il suo spolverino blu si parla di pesca, di tartufi,  delle piantine di pomodoro, di alberi da frutto e della situazione internazionale. Ci si siede in giardino a guardare il tramonto, mentre un batuffolo di pelo nero corre sull'erba con le sue zampette corte, regalando ad Antonio, al suo spolverino blu e a me, un attimo di paradiso.

domenica 21 febbraio 2016

La ghiandaia: furbo pennuto

Su una giovane quercia al confine del giardino, abita una prepotente ghiandaia. Il suo roco richiamo mi avverte della sua presenza nelle più svariate ore del giorno. E' un asso del mimetismo fra i folti rami della quercia, e in base a come le foglie si muovono, è possibile capire su quale dei piani della sua villa si trova.

Questo furbo pennuto non ama veder gente che transita per il giardino, che di fatto non le appartiene,  poichè è convinto che gli si portino via le cibarie, consistenti in more di gelso, peschenoci e susine, che puntualmente becca, fa cadere a terra e lascia lì, svolazzando e gracchiando felice.


Gracchia felice fino a che, dall'alto del suo appartamento, non vede qualcuno che transita attraverso il giardino per andare a lavorare nell'orto, duro lavoro di estirpazione manuale delle erbacce, sotto il caldo sole estivo, fra le verdi pianticelle che con fatica son state piantate e  che con altrettanto faticoso impegno, son state fatte crescere. Ma a lei quel via vai non va bene, quella è casa sua e tu o chiunque altro, siete ospiti  indesiderati.

Perciò, mentre tu cammini ignaro del pericolo che stai correndo, lei spicca il volo e plana a folle velocità sulla tua testa borbottanto offese in "ghiandese", sfiorandoti e riprendendo quota alla stregua di un cacciabombardiere, o forse dovrei dire come un missile aria- terra. E questo è il raid dell'andata. Se si è passati indenni, si può accedere all'orto, dove con impegno ti metti a lavorare, pur tenendo un occhio al cielo (non si sa mai).

Essere giunti  nell'orto non significa essere al sicuro, si è sotto tiro comunque, anche perchè il feroce pennuto, deve nutrire un morbido, lamentoso pulcino che, affamato, ci "guata" dalla vigna. Il piumino piange, e la pennuta madre, decide di rinfrescarlo con una pesca. Un moto d'ali e prima che tu possa rendertene conto, due pesche cadono a terra beccate a morte.

Cerchi di finire l'estirmapemento delle piantine infestanti, raccogli da terra le pesche cadute dopo una breve resistenza al becco del pennuto, e madida di sudore ti avvii verso casa, anche per darti una rinfrescata........ma ecco che, callida come la volpe del deserto, la molestatrice pennuta  approfitta del fatto che hai le mani occupate.

In picchiata ti svolazza sulla testa, blaterando improbabili minacce, e per farti vedere che lei può e tu no, intreccia acrobazie sui rami del gelso solo ad un metro di distanza da te, mettendosi anche a testa in giù, mentre il merlo, che aveva approfittato dell'assenza della tirannica occupatrice di territori, manifesta indispettito il suo nervosismo.

Varchi a fatica la soglia di casa, finalmente al sicuro da qualunque attacco, felice di non esser stata beccata da quell'impudente, e pur di dimostrarle che tu appartieni allo stabile e a quel pezzetto di terreno che coltivi anche per sfamare lei, ti affacci sulla soglia e le urli: "Sciocco pennuto! Esisto anche io!"




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