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domenica 9 agosto 2015

Il ruggito continua, fuori dal maneggio, Zoe parte tredicesima

Zoe tornò a casa confusa dopo quell'allenamento,  era malconcia fisicamente (puntine conficcate nella carne e muscolatura che produceva acido lattico a tonnellate) e psicologicamente, non credeva che avrebbe potuto essere così aggressiva se poi di aggressività si poteva parlare. Ma era soddisfatta, finalmente era riuscita a buttar fuori quella palla di fuoco e lava che le infiammava le viscere. 

Certo che, per vomitarla fuori, la provocazione era stata tremenda, protratta al limite della sopportazione umana, perciò si chiese: erano forse necessarie delle torture per far uscire dal sarcofago l'anima combattente?
In ogni caso sapeva che durante gli allenamenti a cavallo, da ora in poi, le cose sarebbero andate diversamente, quel muflone del suo istruttore era uno psicologo nato, riusciva a farle fare ciò che voleva, come un mago con la bacchetta magica. Se arrivavano cavalli nuovi, in un modo o in un altro riusciva sempre a convincerla a montarli che fossero alla sua altezza o meno. Durante gli allenamenti alzava gli ostacoli a suo piacimento pur sapendo il dissenso di Zoe a certe altezze, che lei riteneva non adatte alle sue tecniche ancora da affinare.

Ma Zoe sarebbe riuscita a traslare quella parte combattente anche agli altri campi della sua vita? Quell'esplosione provocata sapientemente dal suo muflonico istruttore, grazie alla sua perfidia, che conseguenza avrebbe avuto se si fosse manifestata altrove?
Non dovette attendere a lungo. Le si presentò un'occasione poco tempo dopo.
Ormai era pieno inverno, stagione che tra l'altro Zoe odiava, perchè non sopportava il freddo, ma che offriva ottime occasioni per stare insieme ai compagni universitari, in serate all'insegna dell'allegria e delle mangiate in compagnia.

Fu così che proprio con il suo nutrito gruppo di amici univesitari, di cui faceva parte anche F., Zoe andò a cena presso un ristorante dell'entroterra, per gustare piatti a base di pasta fatta in casa, cinghiale e polentina fumante.
La sala del ristorante era gremita, e la tavolata di Zoe e compagnia, numerosa. Zoe era seduta sul lato lungo del tavolo rettangolare, proprio in mezzo, accanto a lei, F.
Fu una cena gustosissima, si susseguirono crostini e primi davvero appetitosi,  caccagione e  funghi, l'armonia regnava sovrana. La conversazione verteva sugli esami da preparare e sui soliti pettegolezzi relativi ai professori, alle loro manie e tic, alle domande assurde proposte durante le sessioni d'esame, il tutto condito da sagaci battute al vetriolo e brindisi.

Zoe aveva mangiato con grande appetito e quando arrivarono i secondi era praticamente sazia da far paura. Vennero servite grigliate di carne miste, accompagnate dalle immancabili patatine fritte.
In quel momento F. chiese a Zoe se voleva le patatine, ma Zoe rispose che non ce la faceva ad ingoiare più nulla tanto era piena, F. però non convinto insistè: "Dai prendi due patate sono deliziose!" Zoe cortesemente rifiutò di nuovo: "No F. grazie non ce la faccio più"
Ma F. sembrò non udire la risposta, e continuò ad insistere: " Su via Zoe, non fare complimenti, prendi un po' di patatine...." 

E Zoe ripetè che non le voleva, ma nulla, F. sembrava un disco incantato.
La parte leonina di Zoe cominciò ad agitarsi, abbassò le orecchie e ringhiò, tese i muscoli e si preparò all'attacco. Zoe tentò di controllare quella forza oscura in tutti i modi, ma quando F., per l' ennesima volta tentò di mettere nel piatto di Zoe le patatine fritte che lei aveva vieppiù volte rifiutato educatamente e con il sorriso, il tappo del vulcano leonino saltò via.
" Ma insomma ci sentiiiiiii, sei sordooooo, sono almeno cinque volte che ti dico che non mi vanno, non le voglio, non le vogliooooooo! Ma ci sei o ci fai?" così urlò Zoe in faccia a F. esasperata dalla sua pedante insistenza, sfibrata dalla sordità del suo comprendonio.

Un silenzio di tomba gelò la tavola e tutta la sala del ristorante, tanta era stata la potenza della reazione di Zoe; F. si ammutolì e divenne verdino, gli amici, abituati alla gentilezza, alla grazia e soprattutto al suo super autocontrollo erano impietriti in svariate e comiche pose: chi a bocca aperta, chi con la forchetta a mezz'aria, chi con il boccone semideglutito, qualcuno con il bicchiere alle labbra. Sembrava che una magia li avesse incantati, lasciandoli lì, ancora presi dall'azione del momento. Momento per altro che parve interminabile, ma che si sbloccò appena Zoe ebbe passato il suo sguardo su tutta la conventicola, la quale cercò di superare l'imbarazzo facendo un brindisi alla faccia degli esami ancora da sostenere.

Anche il resto degli ospiti del ristorante riprese la propria attività mangereccia, ma con un tono lievemente più sommesso.
Per tutto il resto della serata F. non proferì verbo, nè Zoe gli rivolse la parola, concentrata com'era a sopire  le zampate che la sua gemella leonina continuava a sferrare, per liberarsi dalle ultime catene che la tenevano ancora prigioniera.
All'uscita del ristorante F. prese la parola: " Mi hai trattato come un pellaio davanti a tutti!" - " Ti ho detto almeno cinque volte che non volevo le patatine fritte, ma tu hai continuato ad insistere, insistere e insistere, mi chiedo se capisci il senso della negazione F." gli rispose Zoe con mini ruggito e un lampo diavolesco nello sguardo.
" Ma io credevo solo che tu facessi i complimenti...." - " Tu non devi credere F. devi ascoltare, se ti dico no, è no, chiaro? Hai capito bene?" sibilò Zoe.
E un altro tassello del mosaico era stato sapientemente incastrato.



sabato 1 agosto 2015

Il primo ruggito, Zoe parte dodicesima

Gli stivali rossi avevano socchiuso la porta, e Zoe cominciò a stare meglio. Continuò a cercare gli strumenti attraverso i quali poter fondere le sue due anime, gli stivali rossi da soli non bastavano. Erano stati il primo passo, aveva varcato la soglia, ma il cammino era lungo, la strada piena di insidie.

Quella parte leonina doveva venir fuori in maniera delicata, altrimenti avrebbe bruciato anche lei stessa. Sapeva di essere troppo silenziosa, ascoltava troppo e troppo poco esprimeva se stessa, il suo pensiero, le sue opinioni. Se ne era accorta improvvisamente un giorno, durante uno dei suoi interminabili allenamenti a cavallo.

Ricordava perfettamente  il suo istruttore, uomo poco incline alla pazienza, men che meno alla gentilezza, fanatico portavoce della disciplina militare da cui proveniva e di cui metteva in pratica le infinite sfumature. Era un gigante, alto e ben piazzato, dagli occhi penetranti, così penetranti che bucavano, dai quali Zoe si sentiva sempre trafitta. Il suo sguardo era vigile, attento e scrutatore, come quello di un agente del KGB, nulla gli sfuggiva, nemmeno la sfumatura di una smorfia di disappunto sul volto dei suoi allievi. Zoe ingoiava tutto, e ingoiare le urla e le critiche del suo istruttore sarebbe stata una ginnastica faticosissima anche per Giobbe.

Quel giorno Zoe era sfiancata, la lezione era incentrata sull'assetto perfetto in sella e si svolgeva senza l'aiuto delle staffe. I muscoli delle gambe di Zoe, che aveva ormai perso la cognizione del tempo, si contorcevano in crampi dolorosi, e le ginocchia che fino a quel momento erano rimaste saldamente aderenti ai quartieri della sella, come se i suoi piedi avessero poggiato sulle staffe, stavano cedendo.

Le arrivò dritto nelle orecchie un feroce richiamo: "Quelle maledette ginocchiaaaaa! Stai diritta, non vedi che stai andando avanti con le spalle? Svegliati bella addormentata!"
Zoe si morse le labbra fino a farsi male, mentre un fiotto di sangue le saliva alle tempie e il leone dentro di lei mostrava i canini;   cercò alla meglio di rimettersi diritta senza perdere il ritmo del trotto, ma i crampi si facevano sempre più dolorosi.

Ovviamente il suo istruttore se ne accorse, e la chiamò a centro campo. La fece smontare, tirò fuori di tasca quattro puntine e le attaccò (punta rivolta in alto naturalmente) alla paletta della sella con del nastro adesivo. Poi la fece rimontare e le disse: "Per punizione trotto sollevato senza staffe e ricordati, se ti siedi, ti ritroverai le puntine conficcate nella carne"
Zoe deglutì tutto il veleno che le era salito in bocca, non avrebbe mai abbassato la testa, mai! Piuttosto preferiva crepare ma dare un segno di cedimento, no!
Cominciò così a trottare stando sollevata, sostenendosi solo con la forza delle ginocchia, contraendo tutti muscoli del corpo, e non ve n'era uno che non le facesse male.
Il tempo che trascorse le parve infinito, il dolore era diffuso in tutto il corpo, e Zoe non piangeva semplicemente perché non ne aveva la forza, se avesse pianto le sarebbe venuto un infarto.
Improvvisamente un crampo le contorse tutta la coscia e Zoe si accasciò sulla sella; già, si accasciò, e le puntine le si conficcarono nella carne.

L'istruttore a quel punto disse: "Ti sta bene, non saprai mai stare in sella, vai a lavare i piatti!"
Fu a quel punto che Zoe non riuscì a trattenere il leone ruggente che le dilaniava le viscere, ma prima smontò di sella, dolorante, sanguinante, perché sapeva che apostrofare il proprio istruttore da cavallo le sarebbe costato essere appiedata per del tempo.
" Mi hai sfrantumato, brutto negriero, ma che t'hanno preso per il culo quando eri piccolo? Ma con chi ti credi di aver a che fare! I piatti forse dovresti lavarli tu che non conosci nemmeno le regole della buona educazione e la tua perfidia non conosce limiti!"

"Finalmente è uscita allo scoperto, la parte che mai si farà schiacciare, allora sei una guerriera, proprio come avevo sospettato ora sei proprio come il tuo cavallo. Ma quanto c'è voluto per farti uscire allo scoperto!" queste furono le parole dell'istruttore, che, da rigido militare, le voltò le spalle e aggiunse: "E ora dissella il tuo cavallo e preparalo per il box, ci vediamo domani".
Da quel giorno i capelli di Zoe diventarono del colore del mantello del suo cavallo: fulvi. E così il rosso diventò parte integrante della sua persona, e il leone interiore si rafforzò.
Ma non era finita, o meglio, era appena iniziata...



sabato 25 luglio 2015

Gli stivali rossi, Zoe parte undicesima

Zoe amava il rosso più di ogni altro colore, il rosso per lei era simbolo di vita, di passione, del fuoco interiore, del sangue, dei moti di ribellione della sua parte selvaggia, che ancora teneva accuratamente velata, perché a volte ne era intimorita. 

Timore il suo di non riuscire a controllare quella forza che le provocava dei violenti terremoti interni, che le ruggiva dentro, fino a farle sentire l'eco assordante di tale ruggito. Era un ruggito che le attraversava tutto il corpo e che le esplodeva in testa e quando ciò accadeva, Zoe doveva fermarsi, chiudere gli occhi e aspettare.
Fu così che per amore di  quel ruggito e di quella parte selvaggia che abitava dentro di lei, e che ancora le era in parte sconosciuta, decise di cominciare a manifestare fuori, ciò che lottava dentro di lei.

Manifestare quella parte non era facile, non poteva certo presentarla all'improvviso, tutti quelli che la conoscevano pensavano che Zoe fosse  calma, riflessiva, controllata nelle sue manifestazioni, educata, poco propensa agli scatti d'ira, che non parlava mai a sproposito: quanto si sbagliavano!
Dei suoi terremoti interni nessuno si era accorto mai, ma del resto Zoe doveva pur cercare di armonizzare due parti così dicotomiche e contrastanti, non poteva più reprimere quel ruggito, doveva stappare delicatamente il vaso di Pandora che in quel momento il suo io interiore rappresentava.
Pensò e ripensò, si arrovellò, meditò.....poi un giorno mentre camminava per strada intenta a pensare a come fare, si fermò davanti ad una vetrina. In primo piano troneggiavano un paio di stivali rossi, in pelle scamosciata, alti fin sopra il ginocchio. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare, entrò nel negozio, li provò e li comprò. 

Fu per lei come indossare una seconda pelle, e la parte leonina che si agitava dentro di lei cominciò ad uscire allo scoperto, ad ogni passo fatto con gli stivali rossi, scaricava tutta la carica atomica che le albergava dentro. Quegli stivali diventarono il simbolo di una porta interiore che si apriva e che lasciava che esterno ed interno si miscelassero, si amalgamassero, si armonizzassero. Questa operazione chimica non sempre andava a buon fine, come tutti gli esperimenti, spesso c'erano scintille, seguite da esplosioni, e Zoe si trovava sbruciacchiata. Ma gli stivali rossi erano la tessera, la chiave che aveva dato il via alla missione, lunga, difficile, dilaniante, che nel corso degli anni avrebbe fatto conciliare le due anime opposte.


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