Durante la mia felicissima infanzia, periodo d'oro durante il quale mi è stato concesso di sognare a mio piacimento ad occhi aperti, passavo una parte delle mie vacanze estive a casa dei nonni, in un piccolo e ridente paesino in collina.
I vantaggi della mia permanenza dai nonni erano plurimi: niente sussidiari scolastici al seguito, libertà assoluta di stare fuori a giocare senza tema di pericolo, dormire in un lettone matrimoniale grande, soffice e morbido, sul quale mi accomodavo in centro con un "guancialone" a destra e un altro a sinistra, e un piccolo guancialino di piume adatto alle mie misure di bambina e in mezzo ai quali il mio sonno era serenissimo, colazione fatta con le brioscine Londi (a cui sono ancora legata e che continuo a consumare a chili), passeggiate nel bosco insieme a nonno alla ricerca della Nepitella accompagnata dalla mia canina Lilli.
Attiguo alla casa dei nonni c'era un piccolo orto, dove lussureggiavano le verdure di stagione, un pesco nato da un nocciolo che per caso era caduto lì, un rospetto che albergava nel pozzo, e le galline dalle uova d'oro. Intorno all'orto i fiori. Ogni anno ne trovavo di nuovi: le calle raffinate, le dalie pompose, le violette odorose, qualche curiosa pansè, le margherite impertinenti, le aggressive rose. Ma una volta, alla mia prima visitina all'orto, fui letteralmente colpita da un fiore che i miei sette anni non avevano ancora visto: IL TULIPANO.
Lo guardai e riguardai, la sua semplicità era magnetica: una tazzettina dai petali carnosi e lisci che si poggiava leggera su uno stelo liscio alla base del quale si aprivano le verdi braccia delle sue foglie e che colori! Rossi, gialli, arancio.....e il misterioso tulipano nero, i cui petali erano seta al tatto delle mie piccole e curiose dita.
Fu amore (e ancora lo è), e di lui volli sapere la storia, una storia che mi portò per la prima volta in Oriente.
Il tulipano proviene dalla Persia, dove i suoi bulbi nascono spontanei. Narra una leggenda
che un giorno il giovane Shirin si allontanò dal suo paese dove viveva una bellissima fanciulla di nome Ferhad che era pazzamente innamorata di lui. Ferhad aspettò per molto tempo, poi presa da disperazione, decise di andare a cercare Shirin avventurandosi nel deserto. Ma non riuscì a resistere a lungo alla fatica e al dolore: cadde a terra, e pietre aguzze le ferirono le membra facendo sgorgare gocce di sangue che, fondendosi con le lacrime si tramutarono in rossi tulipani. Ad ogni primavera infatti i tulipani tornano a sbocciare in ricordo di quell'infelice passione.
Nel linguaggio dei fiori il tulipano non è un simbolo univoco: può alludere all'Amore perfetto, ma anche all'Incostanza in amore, all'Onestà e alla Magnificenza.
Se invece il tulipano è selvatico simboleggia il Primo Amore.
Dalla storia del tulipano nacque anche il mio amore per l'Oriente, per le Mille e una Notte e per la letteratura e la poesia orientale, soprattutto quella araba. Ogni anno sono tre i tulipani e che pianto: MUSTAFA' il tulipano della Voluttà, SOLIMANO il fiore del Sultano e EL RAIZULI, il magnifico dai petali scuri.
cara silvia sai che sono un tuo fan da 35 anni almeno, quindi sarò anche sincero nel commentare questo tuo racconto. la cosa che più mi colpisce è il modo con cui racconti questo tuo spicchio d'infanzia, mi pare, anzi sono sicuro, d'averla già sentita a scuola, questa modalità, nei temi che la maestra leggeva al pubblico degli scolaretti e che tu scrivevi, se non nelle parole esatte, perlomeno nei suoi stilemi, tutti tuoi caratteristici, e simpaticamente pittoreschi (il rospetto nel pozzo, l'aggettivazione per i fiori etc). E' come se esistesse in te, non solo una conservazione forte e legittima del ricordo, ma anche una cristallizzazione della descrizione e dell'elaborazione del ricordo stessa, segno forse del tentativo di impedire che quella memoria appassisca e muoia, come un tulipano prima o poi deve fare. mi par di capire anche, tra le righe, che chiederesti al mondo, nel presente, qualcosa in grado di stupirti come il tulipano un tempo fu capace di fare. Del resto so per certo che quando parli, a proposito della tua infanzia, di infanzia felicissima, dici il vero. in effetti non mi ha emozionato, nel leggere il racconto, la vicenda genuinamente romantica, ma un pò triste, dell'innamorato persiano, mi ha emozionato l'incipit del racconto, proprio il tuo definire "felicissima" la tua infanzia. Posso dirti anche che quella tua felicità era contagiosa, e che la MIA infanzia è stata un (pò più) felice proprio perchè c'eri TU. Tanto basterebbe, in tempo di cieli grigi e di indefinite prospettive, e di false verità, per rendere A SILVIA un sempiterno grazie!
RispondiEliminaSIMONE P.