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giovedì 3 marzo 2016

Gli angeli bambini | Un consiglio a settimana per migliorare la propria vita e quella altrui

Le nostre guide spirituali possono assumere le sembianze più diverse. Alcuni sono alti, altri bassi, alcuni hanno le ali, altri no. C'è chi si ferma con noi per un po', e chi passa e se ne va. Ciò che li accomuna è che compiono tutti la volontà di Dio, o comunque lo si voglia chiamare, e non importa che cosa chiediamo loro: potranno realizzare i nostri desideri solamente se così è scritto nel Suo disegno.


  • Il cammino che stiamo compiendo è costellato di interrogativi. Sono molte le cose che desideriamo sapere: che aspetto hanno le nostre guide spirituali? Come si chiamano? DIche colore sono? Hanno le ali? Che suono ha la loro voce? Per quanto tempo rimarranno con noi? Domande, domande, domande
  • L'obiettivo dei prossimi sette giorni è conoscere meglio gli angeli bambini. Forse a qualcuno è già successo, e ciascuno di noi presto o tardi riceverà la visita di un angelo bambino: una creatura celeste con le stesse sembianze di un "cucciolo" di uomo, il cui obiettivo è aiutare tutti i bambini della terra
  • I bambini sono molto più inuitivi degli adulti e più acuti nel cogliere la presenza degli angeli. Di conseguenza i nostri angeli sono molto sensibili alle loro necessità
  • Gli angeli bambini spesso ci appaiono durante l'infanzia, sottoforma di quegli "amici immaginari" che magari avrete avuto anche voi. Quando un bambino si sente solo, insicuro o ha paura, i suoi piccoli angeli gli si stringono intorno in gruppetti di tre, quattro o anche più, per riscaldarlo con il loro affetto
  • A mano a mano che diventiamo grandi, però gli angeli bambini stanno con noi meno di frequente, ma ogni tanto continuano a venirci a trovare, soprattutto nei momenti che trascorriamo con i nostri figli. Osservano che cosa facciamo e come interagiamo con loro, e sono lì per aiutarci
  • Per comprendere più a fondo queste piccole creature alate non dibbiamo far altro che cercare di conoscere meglio i nostri bambini. Questa settimana, dunque, trascorrete un po' di tempo con loro: giocate, ascoltateli, osservateli, raccontategli una favola. Insomma dedicategli qualche momento, proprio come gli angeli bambini hanno fatto con noi quando eravamo giovani
  • Se saremo pazienti e attenti, gli occhi di un bambino diventeranno una finestrella attraverso la quale potremo intravedere il volto delle piccole creature celesti. Impareremo a conoscere sempre di più le nostre guide spirituali e chissà, forse scopriremo anche il loro nome


domenica 14 febbraio 2016

Non sapevo ancora leggere

A volte ritornano, vividi, i ricordi dei primi anni della mia infanzia, così all'improvviso, scatenati da non si sa cosa. E così, lucido come non mai, si è aperto a me quel tempo che mi appare tanto lontano e felice, di quando mi mettevo di fronte ad una delle librerie di casa e prendevo un libro dell'enciclopedia, una lettera per volta, l'ordine non era importante. Erano libri grandi e pesanti, che quasi erano alti quanto me, profumavano di pelle e inchiostro e avevano quella sfumatura color tabacco un po' marmorizzata, che amo tutt'ora.


Con quei libroni mi accomodavo sul divano, e con un rito quasi religioso li aprivo, assaporando il profumo di quella carta pregiata e traslucida, su cui si susseguivano in ordine alfabetico tutte le parole dello scibile, cose, nomi, personaggi, città, stati, monumenti, animali, piante, fiori...Pagina dopo pagina  i miei occhi divoravano quei caratteri e quelle rare foto che disseminavano le pagine di quei tomi, alcune a colori, molte in bianco e nero.

Sul quel divano, con quei tomi così grandi, io mi astraevo da tutto e tutti, non c'era nulla che potesse distogliere la mia attenzione da quelle pagine, su cui lievemente passavo le mie piccole dita, come se attraverso i polpastrelli quella conoscenza passasse a me. Trascorrevo ore a sfogliare quelle pagine, osservando attentamente i volti di musicisti, poeti, scrittori, attori, personaggi politici, iperscrutando i loro occhi, le linee dei volti, chiedendomi cosa stessero pensando in quel preciso momento, e il valore delle loro esistenze.

Erano tante le domande che mi ponevo, una però mi martellava più di altre: perchè io mi trovavo lì in quel momento e non invece in altro tempo ad osservare quelle vite di cui l'enciclopedia era una testimonianza? Perchè a me era toccata quell'epoca, non quella dei Greci o degli Egizi, che tanto affascinavano la mia mente? Perchè ero nata in Italia e non in un altro paese del mondo? Non ricordo di aver esternato queste domande, di aver chiesto spiegazioni in merito, ma ricordo che a parte i miei familiari, erano diverse le persone cui risultava strano che una bambinetta di circa quattro anni, stesse delle ore a sfogliare libri che ancora non sapeva leggere o tantomeno capire.

Non sapevo leggere, non nel senso comune del termine, ma sentivo, attraverso i miei polpastrelli quello che quei caratteri d'inchiostro contenevano, ciò che quelle pagine significavano, e assimilavo luoghi, edifici, civiltà, molecole, invenzioni, animali e piante, fatti e persone. Non sapevo leggere, ma sapevo dove trovare quello che cercavo, perchè vedevo dentro quei libroni anche quando erano chiusi e riposti in ordine sulla libreria. E quando una domanda mi assillava, io andavo, e scorrendo con un dito le grosse costole di quei tomi mi fermavo su quello dove, pur se non coscientemente, trovavo la risposta.


mercoledì 6 gennaio 2016

Il tulipano, il fiore del sultano


Durante la mia felicissima infanzia, periodo d'oro durante il quale mi è stato concesso di sognare a mio piacimento ad occhi aperti, passavo una parte delle mie vacanze estive a casa dei nonni, in un piccolo e ridente paesino in collina.
I vantaggi della mia permanenza dai nonni erano plurimi: niente sussidiari scolastici al seguito, libertà assoluta di stare fuori a giocare senza tema di pericolo, dormire in un lettone matrimoniale grande, soffice e morbido, sul quale mi accomodavo in centro con un "guancialone" a destra e un altro a sinistra, e un piccolo guancialino di piume adatto alle mie misure di bambina e in mezzo ai quali il mio sonno era serenissimo, colazione fatta con le brioscine Londi (a cui sono ancora legata e che continuo a consumare a chili), passeggiate nel bosco insieme a nonno alla ricerca della Nepitella accompagnata dalla mia canina Lilli.

Attiguo alla casa dei nonni c'era un piccolo orto, dove lussureggiavano le verdure di stagione, un pesco nato da un nocciolo che per caso era caduto lì, un rospetto che albergava nel pozzo, e le galline dalle uova d'oro. Intorno all'orto i fiori. Ogni anno ne trovavo di nuovi: le calle raffinate, le dalie pompose, le violette odorose, qualche curiosa pansè, le margherite impertinenti, le aggressive rose. Ma una volta, alla mia prima visitina all'orto, fui letteralmente colpita da un fiore che i miei sette anni non avevano ancora visto: IL TULIPANO.

Lo guardai e riguardai, la sua semplicità era magnetica: una tazzettina dai petali carnosi e lisci che si poggiava leggera su uno stelo liscio alla base del quale si aprivano le verdi braccia delle sue foglie e che colori! Rossi, gialli, arancio.....e il misterioso tulipano nero, i cui petali erano seta al tatto delle mie piccole e curiose dita.
Fu amore (e ancora lo è), e di lui volli sapere la storia, una storia che mi portò per la prima volta in Oriente.

Il tulipano proviene dalla Persia, dove i suoi bulbi nascono spontanei. Narra una leggenda
che un giorno il giovane Shirin si allontanò dal suo paese dove viveva una bellissima fanciulla di nome Ferhad che era pazzamente innamorata di lui. Ferhad aspettò per molto tempo, poi presa da disperazione, decise di andare a cercare Shirin avventurandosi nel deserto. Ma non riuscì a resistere a lungo alla fatica e al dolore: cadde a terra, e pietre aguzze le ferirono le membra facendo sgorgare gocce di sangue che, fondendosi con le lacrime si tramutarono in rossi tulipani. Ad ogni primavera infatti i tulipani tornano a sbocciare in ricordo di quell'infelice passione.

Nel linguaggio dei fiori il tulipano non è un simbolo univoco: può alludere all'Amore perfetto, ma anche all'Incostanza in amore, all'Onestà e alla Magnificenza.
Se invece il tulipano è selvatico simboleggia il Primo Amore.

Dalla storia del tulipano nacque anche il mio amore per l'Oriente, per le Mille e una Notte e per la letteratura e la poesia orientale, soprattutto quella araba. Ogni anno sono tre i tulipani e che pianto: MUSTAFA' il tulipano della Voluttà,  SOLIMANO il fiore del Sultano e EL RAIZULI, il magnifico dai petali scuri.

domenica 27 dicembre 2015

Non ho mai portato l'orologio

Una sorta di frenesia ancestrale scorre dentro le mie vene, l'assillo che manca sempre il tempo, che mi costringe a ritmi serrati, a velocità improprie. Sono lenta, la  calma contemplativa una necessità. Non ho mai potuto soffrire quel continuo pungolìo cui ero sottoposta: sbrigarsi, sbrigarsi. Ma sbrigarsi a far che? Il tempo mi ha dichiarato guerra da sempre e io l'ho avvertito appena l'ossigeno è entrato nei miei polmoni. Subdolo ha iniziato ad avvelenare la mia infanzia iniettando gocce della sua cicuta nella mia mente, gelando le mie membra lentamente, affichè io fossi consapevole del suo orrido cannibalismo.

Esso è perenne tortura, che mi sussurra la sua superiorità e nella mia più profonda e primitiva memoria, ha smosso sfocate immagini di tempi privi della sua tirannia,  momenti di contemplazione e di gesti misurati solo da antiche albe e tramonti, dell'infinito percorso dell'infuocato carro del sole.
Ma come un infestante parassita egli si attorciglia al mio corpo etereo crocifiggendolo, nel tentativo di alimentare l'angoscia, la sua fedele arpia, sozzo strumento della mia cosciente consapevolezza delle sue razzie.
 
Non ho mai portato l'orologio, sul mio polso esso è una camicia di pece, l'insostenibile peso che piega la mia testa alla sua schiavitù. Hanno tentato invano in famiglia, mascherando il suo velenoso ticchettio dietro la lusinga di un'apparente bellezza ornamentale, ma non ho mai ceduto i polsi ai ceppi di quelle manette.

Le ore scorrono precise nel mio corpo come linfa vitale, senza bisogno di nulla. Di ogni giorno conosco l'ora esatta e i minuti, siano giorni di sole o di nera pioggia. Non sono mai arrivata in ritardo ad un appuntamento, e non ho mai avuto bisogno della sveglia perchè i miei occhi si aprono esattamente all'ora in cui devono aprirsi, nè un minuto prima nè un minuto dopo.
E' la mia lotta intestina contro gli strali del tempo, contro le sue soffocanti spire infinite, una lotta la mia, che si perde nei nebbiosi, quasi ignoti percorsi di antiche, strane vite, di tanto tempo fa.


mercoledì 23 gennaio 2013

LA STANZINA

 
C'era, in fondo al corridoio della casa dei nonni, la " Stanzina". Era piccola e aveva una finestra che si affacciava sulle verdi colline intorno, così che lo sguardo si perdeva, fino a raggiungere il mare.
I tramonti d'estate si incendiavano visti da quella finestra, e un'aria profumata di rose mi riempiva i polmoni. Il roseto era sotto la finestra e copriva in parte il pollaio dove abitavano comode, quattro galline.
La "Stanzina" era un regno pieno di sorprese; pur piccola, vi trovavano locazione: due macchine da cucire, una vecchia Singer  a pedale e una più moderna Necchi elettrica, due poltrone con schienale reclinabile e poggia piedi, una libreria con la selezione Reader's Digest e altri libelli di novellette e romanzi per bambini fra cui "I cagnolini di Perlarosa", tre mobiletti con saracinesca nei quali potevo trovare campionari di stoffe meravigliose che nonna usava per le sue creazioni sartoriali, avanzi di lana, spolette da ricamo, una parte del mio futuro corredo e una piccola bambolina dai capelli biondi con cui giocavo sovente.
Mi era concesso usare la vecchia Singer, con la quale mi esercitavo a fare orli, ed ero bravissima a cambiare i rocchetti dei vari filati che nonna usava per cucire. Sui campioni di stoffa usavo invece la filza, per le imbastiture dei modelli, e con grande piacere usavo il gessetto con cui si tracciavano sulla stoffa le linee del taglio.
Quando il divino ardore della sartoria mi lasciava, e non ero in giro per boschi a fare la naturalista, mi sedevo su un tappeto di lana tondo che stava in mezzo alla stanzina e leggevo o disegnavo con le vecchie matite di babbo, che erano ben risposte negli astucci di legno di una volta.
In quella stanza c'era un leggero profumo di lavanda, che proveniva da svariati sacchettini riposti nei cassetti, e che io odoravo con trasporto, e in uno dei mobiletti si trovavano anche delle vecchie scarpe con il tacco che mi misuravo ogni anno, desiderando che il mio piede crescesse velocemente per poterle indossare con un qualche vestito confezionato con una di quelle sete che il campionario offriva alla mia vista.
Vecchie collane e bigiotteria completavano la scena, con lieve odore di borotalco, che proveniva dalle scatole in cui le bigiotterie erano custodite.
Anni beati quelli passati nella "stanzina", dove il tempo scorreva lentamente, scandito dai rintocchi del campanile, dal corso del sole, dal profumo delle rose.
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