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lunedì 20 giugno 2016

Impacco o un impiastro?

Impacco o impiastro? Oggi poco interessa, ma sapere la differenza che corre tra i due è sempre utile, sono vecchi rimedi che possono aiutarci


Tra i ricordi che mi porto dietro dall'infanzia, ci sono le reminescenze dei vecchi rimedi di cui le mie nonne parlavano. Fra questi spesso esse rammentavano l'uso  di impacchi e impiastri, in caso di febbri, bronchiti, raffreddore e tosse.

Impacco
Nella mia mente di bambina vedevo solo qualcosa di fumante e caldo, ma non riuscivo a trovare un'immagine calzante che potesse distinguerli. Ebbene diventando più grandicella, decisi di fare un po' di chiarezza, se non altro per capire. Del resto in alcuni libri antichi, dove sono elencati i rimedi che si possono trarre dalle piante officinali, impacco e impiastro sono sostantivi ricorrenti.

IMPACCO: applicazione a scopo terapeutico di panni, garze o cotone idrofilo imbevuti di un liquido medicamentoso, di cui si voglia sfruttare l'azione fisica (umidità e temperatura) o quella chimica.

IMPIASTRO: dal latino emplastrum (unguento). Preparato farmaceutico per uso esterno, costituito di sapone di piombo (impiastro semplice), o a base di resine, cere, grassi, metalli (impiastro composto), di consistenza solida, capace di rammollisrsi alla temperatura del corpo umano acquistando proprietà adesive; steso in strato sottilissimo sopra un leggero tessuto di cotone, lino o seta, costituisce il cerotto, ad azione revulsiva, vescicatoria, a seconda delle sotanze utilizzate.

martedì 25 febbraio 2014

Oggi nella mia rubrica:Dalle inquinanti buste di plastica arriva il diesel

I sacchetti di plastica sono estremamente inquinanti, non sono biodegradabili e quindi pericolosi. Certo è che se ci fosse un modo per riciclarli e farli tornare a nuova vita sarebbe un vantaggio per tutti e soprattutto per l'ambiente. Uno studio  svolto dall'Illinois Sustainable Technology Center, ha trovato il modo di rendere “utile” uno dei principali nemici dell'ambiente. Pare infatti che possano trasformarsi in diesel.
Durante tale processo di trasformazione, si produce più energia rispetto a quella necessaria per alimentare la reazione. Il risultato è costituito da carburanti per i trasporti, soprattutto diesel, che secondo gli scienziati, può essere mescolato con biodiesel a bassissimo contenuto di zolfo. Ma non solo. Oltre al diesel, dalle buste di plastica è stato possibile ottenere altri prodotti, come il gas naturale, la nafta, la benzina, alcune cere e oli lubrificanti. Come? La tecnica americana consiste nello scaldare i sacchetti in una camera priva di ossigeno, un processo chiamato pirolisi. Nota anche come piroscissione, essa consiste nella decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuta mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di un agente ossidante, in questo caso l'ossigeno. Per dare un'idea, dalla distillazione del petrolio greggio è possibile ottenere solo dal 50 al 55% di carburante, spiega Brajendra Kumar Sharma, a capo dello studio. Ma dai sacchetti, costituiti da petrolio, si può recuperare quasi l'80 per cento per farne carburante tramite distillazione. Studi precedenti avevano utilizzato la pirolisi per convertire i sacchetti di plastica in petrolio greggio. La squadra di Sharma invece ha ulteriormente portato avanti la ricerca sul frazionamento del petrolio greggio in prodotti petroliferi diversi e ha testato le frazioni diesel per vedere se rispettavano le norme nazionali (americane) sui combustibili a bassissimo contenuto di zolfo. “Una miscela di due frazioni distillate, fornendo l'equivalente di diesel # 2, ha soddisfatto tutte le specifiche richieste da altri combustibili diesel in uso oggi, dopo l'aggiunta di un antiossidante,” ha spiegato Sharma. “Questa miscela diesel ha un contenuto di energia equivalente, un numero di cetano più alto e una migliore lubrificazione del gasolio a bassissimo contenuto di zolfo”. In questo modo, gli americani potrebbero affrontare la gestione dei sacchetti di plastica, anche se non è ancora chiaro cosa comporterebbe un simile processo in termini di produzione di emissioni inquinanti. Ciò che è certo è che attualmente gli americani buttano via circa 100 miliardi di sacchetti di plastica ogni anno. La US Environmental Protection Agency riferisce che solo il 13 per cento viene riciclato. Il resto finisce nelle discariche o peggio ancora nei corsi d'acqua e in mare. Le conseguenze sono note a tutti, sopratutto agli animali. Le tartarughe, i pesci e molte altre creature trovano spesso la morte a causa delle buste. Se l'Italia le ha finalmente messe al bando e l' Europa si appresta a seguire il nostro esempio, negli States, a parte alcuni Stati come la California, ancora non se ne parla di dire addio alle inquinanti buste di plastica. Riutilizzarle per produrre carburante può rappresentare dunque una strada da percorrere? Per utlizzare le tonnellate di sacchetti che già circolano per il mondo, forse sì, ma non sarebbe meglio impegnarsi per un cambio radicale di prospettiva che ci affranchi una volta per tutte dalla dipendenza dal petrolio?
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