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sabato 2 aprile 2016

UNA LETTERA D'AMORE (illusioni di gioventù)

Ogni tanto, mi capita di riordinare libri e vecchi quaderni che riposano placidi sugli scaffali delle mie librerie. Nel tentativo di dare un ordine logico a pagine che sembrano sconclusionate, trovo qualche vecchio pezzo di una vita che mi appare lontana e quasi sognata, come questa lettera d'amore che scrissi tanto tempo fa per qualcuno che nemmeno ne comprese il significato.

01/03/1999
Non chiedermi perché ti sto scrivendo adesso, non chiedermi perché ho ripreso a scrivere, non chiedermi perché ho meccanicamente aperto questo quaderno, dopo averne riempiti tanti e dopo averli abbandonati alla polvere di uno scaffale nascosto in una stanza ancora all'alba dell'infanzia.

Non ti saprei rispondere, ora so solamente una cosa: ti amo.
Ma non dell'amore che ci hanno insegnato, non quello dei romanzi, non quello che si sogna quando ancora non si è capito cosa sia veramente.
Io parlo di un sentimento così forte, che fa male, che fa soffrire e che, come una lama affilata e gelida, affonda proprio lì, in mezzo al cuore.

Niente romanticismo, poche sbavature da film, è la vita di questo poderoso sentimento che ci nutre; ed è come un nettare dolce, quasi un inebriante profumo che porta dentro di sé il peso e il seme di uno strazio lacerante.
Non voglio essere felice se questo porta con sé la superficialità e l'ipocrisia, il canovaccio di una fattispecie inquadrata nei canoni che la società ci rovescia addosso. Non voglio vivere la virtualità di una realtà alla quale appartengo per il solo fatto di esserci caduta.
Se l'amore è sofferenza, è disagio, è rabbia, è pianto, è capriccio, allora per quanto possa essere duro da vivere, è questo che voglio.

E se la lontananza può avere effetti così devastanti dentro me, accetto anche la devastazione, perché trionfi quel sottile dolore misto a felicità che è fiorito in quel piccolo paradiso che io stessa ho creato nel mio cuore.
Ho perso anche questa battaglia verso e contro di me, poiché avevo giurato e spergiurato che non ci sarebbe stato più spazio nella mia vita per il dolore: no, non per il dolore, ma per il vuoto lancinante e profondo che ho e che sento grande, più grande!

Probabilmente stai dormendo, e io invece sono qui, a pensare che non ci sei, che mi manchi, e che quasi non ha senso il trovarmi qui.
Vorrei dividere con qualcuno tutto questo mio arrovellio, un rimuginare continuo, ma non resta altro che scriverlo, non ho altra scelta non credi?
Ho paura che questo incendio mi consumi, ho paura che tu te ne vada con questa storia e sai perché? Lasceresti dietro di te un deserto.

L'amore che c'è in me è così grande che non può essere rinchiuso in ordinati e forti argini, devi essere tu a trovare il modo di sfruttare l'energia che da esso promana; non troverai mai acque calme, ma una laguna che riposa su un vulcano ancora in piena attività.
Riconosco di avere dei lati che sono oscuri anche a me stessa, che sono lunatica, collerica, intollerante, dispettosa; a volte, e sono molte quelle volte, mi fingo indifferente.

Ma io devo nascondermi, devo ripararmi, se non voglio essere soffocata dai miei stessi sentimenti: al centro di tutto ci sei tu.
Guardami, e non fermarti agli occhi, ogni respiro, ogni sguardo, ogni battito di questo cuore ballerino, prima che per me, è per te.


sabato 30 maggio 2015

La cameretta - Zoe

Zoe era nella sua stanza, la sua amata stanza, compagna inseparabile della sua esistenza e testimone degli eventi che le offriva spontaneamente la vita. Quella stanza, di Zoe sapeva tutto, conosceva la sua personalità, le  sue reazioni, i suoi umori, i momenti di tristezza e quelli di felicità, le crisi e le rabbie, le decisioni e le indecisioni, ma, sopra ogni cosa, quelle pareti non avrebbero rivelato niente di tutto ciò a nessuno.

Ogni oggetto della sua stanza aveva un valore e un posto speciale, cosicché, ogni volta che vi posava lo sguardo le tornava alla mente un ricordo. Ogni cosa occupava una precisa posizione e in quella posizione doveva rimanere, giusto per non rompere l'incanto.

Se anche Zoe andava indietro con la memoria, non v'era altro posto in cui avesse trascorso così tanto tempo come in camera sua. Era lì che si trasformava in principessa, e fra quelle quattro mura costruiva un castello di mille e più stanze, o, trasportata da un tappeto volante, si trovava nella magica e misteriosa Arabia, oppure nella foresta pericolosa e lussureggiante, alla scoperta dell'universo, nel buio dello spazio.

Proprio lì teneva i suoi sermoni educativi a scolari negligenti, lì curava i suoi figli, faceva la spesa e lo shopping, solcava il mare sulla sua barca, volava in aereo. Era proprio quella stanza che le aveva permesso di decidere del suo futuro, perché all'occasione diventava un "pensatoio", con tanto di cartello attaccato alla porta. 

Che buffo pensava Zoe, quella stanza era un minutissimo appartamento senza uso di cucina e senza bagno, da lì non si entrava e non si usciva senza il suo permesso. Se avesse potuto l'avrebbe rimpicciolita e portata via in ogni dove. L'avrebbe messa in campagna, su una dolce collina verde, come ve ne erano intorno a casa sua, così ogni mattina avrebbe aperto il finestrone all'odore della terra e degli alberi e sarebbe stata felice di questo. Avrebbe portato con sé il suo gattone Nur e il suo cavallo Lifar, e la sua monade sarebbe stata completa, mancava solo il suo Re. 

Non a caso infatti le pareti della sua camera erano rivestite da una carta da pareti che raffigurava canne di bambù, di cui Zoe amava ascoltare il canto. Del resto era esposta ad est ed il sole la inondava fin dall'alba. Adorava il sole che toccava lieve con i suoi raggi il suo letto, perché Zoe apriva pigramente un occhio e si guardava intorno, e compiaciuta notava che tutto era come doveva essere, si girava da una parte, poi dall'altra e faceva un lunghissimo sospiro. Che c'era di meglio che poltrire nel suo letto all'interno di camera sua? Accanto aveva i suoi libri preferiti, a portata di mano, bastava allungare un braccio e arrivava Karen Blixen, Merguerite Yourcenar, i classici di Luciano, Apuleio, Petronio, Catullo, Ovidio....

Sopra la sua testa invece, proprio appesi al lampadario, volteggiavano due aironi di origami, giapponesi, un regalo della sua amica di Tokyo. Anche loro erano dei simboli: libertà e vita. E poi sul mobile contro il quale poggiava la testata del letto, c'era lui, irrequieto, ombroso, selvaggio stallone rampante con la criniera folta e scompigliata, in equilibrio sui posteriori, come Lifar, e gli anteriori tutti sollevati in potenza, i muscoli in tensione fino allo spasimo, gli occhi vivissimi.
Forse tutta quanta quella camera in cui anche in quel momento si trovava Zoe, era un sogno, una bella illusione da lei creata, come tante altre, ma di tutte, la più reale, la più tangibile.
Illusioni perdute forse, che sarebbero state la culla del suo passato.




lunedì 2 dicembre 2013

INFORME FORMA








Urli freddo 
fuori dalla mia finestra,
scuoti violento  i miei vuoti.
Echi di boati urlano i miei silenzi,
come silenti occhi
che fissano l'oscurità blu di questa stanza.
Guardo ma non vedo,
Sento ma non ascolto,
solo il brivido del tuo gelido tagliente tocco.
Selvaggia informe creatura,
mossa da ancestrale istinto d'agguato,
non hai pietà.
Trapassi ogni vita,
tu,
suono inarticolato di una dimensione ignota,
informe forma delle mie paure.

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