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martedì 5 novembre 2013

COMBATTO

Io combatto, solo questo so. Ogni giorno, quando apro gli occhi, ho la certezza che dovrò combattere. E non mi tiro indietro, mai, perchè ho i miei obiettivi da raggiugere. Mi costa una fatica immane, e ci sono stati momenti in cui avrei volentieri deposto le mie armi e issato bandiera bianca. Ma mi è stato insegnato che rassegnarsi è controproducente, e che si deve avere il coraggio di affrontare qualunque cosa, ogni ostacolo e difficoltà. Quante ferite mi sono leccata, quanto sangue ho versato, e a quanta disperazione mi sono abbandonata. Ma non ho mai perso quel fuoco che mi spingeva ad andare avanti, a rifondere la mia spada, a rattoppare il mio scudo, a togliere le ammaccature al mio elmo. Sono stata umiliata, derisa, presa in giro, truffata, anche offesa, ma so quello che sono e  ho deciso tanto tempo fa che nessuno aveva il diritto di calpestarmi, approfittando della mia educazione, del mio autocontrollo, del mio buonsenso.
Mi sono appoggiata alla mia lancia mezza rotta e mi sono rialzata, a dispetto di quanti attendevano una resa, cingendomi d'assedio.
I remi in barca non li tiro mai, mi arrendo solo di fronte alla morte, ma se trovassi il modo, combatterei anche con lei, la pelle la vendo cara.
Nei miei momenti peggiori, mi sono ritirata in solitudine, magari ho pianto, ma ciò non mi ha impedito di  riflettere e di considerare gli errori da me commessi, e non ho mai pensato che le mie fossero le fatiche di Sisifo.
Non abbasso la testa e non la metto sul ceppo del boia, guardo sempre avanti, verso l'orizzonte, dove sono diretta, dove voglio andare, anche se sono costretta a cambiare andatura, dalla corsa al passo, ma vado avanti, su una strada che mai ho trovato piana, e che è di solito disseminata di ostacoli. Se ne trovo uno particolarmente ingombrante, mi siedo e lo studio, non importa quanto tempo mi ci vuole, osservo, prendo le misure, ne considero i lati troppo lisci e le punte impervie, le spine velenose, le trappole, e quando ho ponderato, riprendo ad andare avanti.
I miei passi sono lenti, forse, ma pesanti come piombo e dove arrivo non mi schiodo. Combatto.


lunedì 4 novembre 2013

MAUSOLEO














Torre,
senza porte,
non accesso,
al cuore mio innalzai,
prigioniero della sua difesa.
Non assedio, non guerra,
eburneo mausoleo,
silenzioso monumento,
ara pacis a guardia dell'anima.
Alta si erge fortificazione,
solo spiata da voli.
Cavalieri son giunti,
e poi che partiti senza vittoria,
han seminato spine.
Trascorsi i secoli,
senza presenza alcuna.
Poi tu,
spirto gentile,
t'accostasti un dì,
quasi per caso,
e fiorì un giardino.

domenica 3 novembre 2013

PELI SUPERFLUI, DIE HARD


Ero ancora una ragazzina, a cui piaceva indugiare nella terra di mezzo fra l'infanzia e l'adolescenza, periodo quello in cui, in noi, si rafforza la consapevolezza del nostro corpo e dei cambiamenti a cui va incontro. Ma, e qui credo di ottenere consensi, dalle donne in particolare, una ben precisa consapevolezza si fa largo: la comparsa dei peli supeflui.
Ma che cavolo ci fanno sul nostro corpo? Insomma, dico io, non sono gli uomini ad averli quale emblema di virilità? Cosa centra che nascano anche a me sulle gambe? Perchè accanirsi all'inguine? E poi, stramaledetti, vorreste anche dare un tono di colore al mio labbro superiore?
Questi quesiti si susseguirono all'interno della mia mente facendo dei confronti con le mie donne di casa, che erano immuni a questo virus. Due potevano essere le risposte: o vi ponevano rimedio senza che io me ne accorgessi, oppure non ne avevano la necessità. 
Nel primo caso ero decisa a scoprire il segreto di tale eliminazione, nel secondo mi resi conto che avrei potuto subire un grave trauma.
Ricevetti un grave trauma, ma che ero, la figlia di un dio minore? No, mi dissero, ero solo figlia di mio padre, i cui capelli e relativi peli, erano neri come l'ebano, corvini insomma.
Non poteva essere, perchè proprio io? Ma come, loro potevano mettere in mostra le gambe in qualunque momento, infilarsi il bikini e via al mare e io no? Apriti o terra!
Di sicuro era una punizione divina, la pena del contrappasso, il karma di una vita precedente......
Tuttavia la mia disperazione non era utile alla risoluzione del problema (problema che ovviamente era enorme ai miei occhi, perchè alla fine poi tutta questa foresta nera non c'era....).
E mentre in casa mi si diceva di non farmene un complesso, io mi limavo e contorcevo, soprattutto quando le nonne davano voce alla saggezza popolare, che per altro in quel momento trovai essere una saggezza di infima categoria e solo per imbecilli: "Donna pelosa, donna virtuosa!" e giù a ridere.....
Io non ci trovavo nulla da ridere, ma proprio un fico secco di nulla e manifestai il mio disappunto per quell'ironia sciocca e frivola. Se non volevano darmi una mano consigliandomi la soluzione migliore, avrei fatto di testa mia, piuttosto quegli incomodi peli li avrei bruciati uno per uno.
Quando il resto del gineceo, capì che facevo maledettamente sul serio, pensò bene di assecondarmi, prima che trovassi soluzioni estreme, tipo la scarificazione.
Venni indirizzata presso un centro estetico, dove gli incomodi abitanti delle mie gambe furono attaccati dalla ceretta; ero talmente risoluta nel perpetrare il genocidio pilifero che persino l'estetista si chiese come facessi a non fare smorfie di dolore. Uscii con un senso di leggerezza mai sentito prima, pur sapendo che quella battaglia non era certo terminata lì. Quindi, per non dare tregua a quella gramigna infestatrice, mi dotai anche di un silkepìl, in modo tale che, al riapparire del praticello parassita, avrei annientato sul nascere la baldanza di quegli invasori.
Ho usato tutti i silkepìl esistenti sul mercato, ho testato le varie generazioni di questi ultilissimi strumenti, defalciatori dei residui della atavica pelliccia che ci ricopriva milioni di anni fa, e finalmente, ho sterminato alla radice i barbari invasori.

sabato 2 novembre 2013

PULVIS ES ET IN PULVEREM REVERTERIS

No, non vado quasi mai al cimitero, i miei dolori me li porto dentro ogni giorno, sono un bagaglio, che abita dentro di me. A che guardare un sepolcro, e sostare davanti ad una tomba? Ho dentro tutto il ricordo di coloro che non ci sono più, vivo e forte.
Quel dolore non se ne va mai, è arpionato dentro, ci ho fatto l'abitudine, ma è lì, con le sue crisi acute, che si alternano a periodi di lieve sollievo, nel susseguirsi dei giorni.
Non vado al cimitero, come molti, che ogni giorno sono in pellegrinaggio alle tombe dei loro morti, guardare una lapide non mi basta, non mi consola, non allevia il mio dolore. L'assenza e il vuoto, questo è il cimitero che visito tutti giorni. 
Lì vi sono sentieri infiniti, che percorro pensando a  chi  mi ha lasciato anzitempo, non una foto sbiadita che mi guarda da un freddo granito, non i fiori appassiti, non le foglie stanche, che pugnalano i miei occhi, non le lettere in ottone, quelle fredde date che come un passaggio a livello delimitano il tempo passato in questo mondo.
Non vado al cimitero, non sopporto le chiacchiere inutili di quelli che incontro a fare il giro delle tombe, che commentano la vita di chi ormai vita non è più, ai morti non importa. E non importa a me, perchè per le chicchiere vi sono altri luoghi, e il cimitero è il luogo del silenzio, il luogo del rispetto, e tuttavia non mi piace. Non rifiuto la morte, essa fa parte della vita, senza l'una non v'è l'altra, ma  associo il cimitero a una prigione, un confino che serve a noi per tenere incatenati qui, coloro che ci hanno lasciato. 
Affidiamo al vento, all'acqua le ceneri dei nostri morti, lasciamo che se ne vadano, è inevitabile che portino con sè anche una parte di noi, ma il loro compito  qui è finito, e la mia mente rifiuta di incatenarli in queste silenziose città dove brillano solo lumini notturni.
"Pulvis es et in pulverem reverteris (Polvere sei e polvere ritornerai)", e lasciamo dunque che la madre terra,  si riprenda ciò che ha dato, quando la scintilla divina ci ha creato.

venerdì 1 novembre 2013

VACUITA'








Nell'immensa vacuità del tutto,
l'anima inerte s'apprende a se stessa.
In questo limitare,
statico limbo senza porte.
Si spaura il mio sembiante,
non v'è che l'eco della mia voce.
Ivi confusi sono il giorno e la notte,
aere rarefatto,
incognita il tempo.
Ma tu ci sei,
rassicurante presenza,
che in questa assenza d'essere,
mi fai dono d' amore e sicurtà.

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