Simply

Visualizzazione post con etichetta torta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta torta. Mostra tutti i post

giovedì 24 dicembre 2015

Offrire del cibo agli uccelli, un consiglio a settimana per migliorare la propria vita e quella altrui

Il compito di questa settimana ci richiede di entrare in contatto con la natura e, in particolare con le creature alate. Prestiamo attenzione ai tanti messaggeri di cui il cielo è popolato: impariamo a riconoscerli, a prendere coscienza del ruolo che hanno nella nostra vita e ad apprezzarli di più.



  • Gli uccelli come le farfalle e tutte le creature alate, sono messaggeri spirituali e vengono spesso impiegati per inviarci dei segni dal mondo dello spirito. Molte volte, quando un un uccellino o una farfalla civengono vicino desiderano trasmetterci un messaggio d'amore e di speranza che gli è stato affidato dai nostri cari che non ci sono più
  • In questi sette giorni impareremo a riconoscere e apprezzare le dimostrazioni d'amore che le creature celesti ci inviano attraverso la natura
  • Avete mai dato da mangiare ai gabbiani in spiaggia, alle rondini che hanno fatto il nido sotto le grondaie di casa o alle anatre in un parco? Questa settimana dovremo fare un passo in più 
  • La prima parte dell'esercizio consiste nel preparare una torta per gli uccelli. Scegliete noci, semi, briciole di pane e qualsiasi altra cosa sia gradita ai nostri amici alati, poi riuniamo tutto in una terrina e iniziamo a mescolare. 
  • Possiamo aggiungere un po' d'acqua per amalgamare gli ingredienti. Ma il segreto per ottenere un buon risultato è l'energia che mettete nella preparazione, perciò fate attenzione ai vostri pensieri
  • Pensate agli uccelli e alla natura, e al modo in cui arricchiscono la nostra vita. Formulate pensieri spirituali e aggiungete un pizzico d'amore e gratitudine all'impasto continuando a mescolare
  • Offriamo il nostro dolce agli amici alati: li nutriremo di affetto e riconoscenza. Osserviamoli mentre si radunano attorno alla torta che abbiamo preparato con tanta cura: sono messaggeri spirituali, quindi mentre diamo da mangiare a loro stiamo offrendo un alimento prezioso anche alle "creature celesti" e ai nostri cari che abitano nel mondo dello spirito. E così facendo sazieremo la fame d'amore della nostra anima


domenica 20 dicembre 2015

Bischero

BISCHERO: è il più familiare insulto fiorentino, ed è anche la parola che ricorre più frequentemente per le strade di Firenze. Bìschero è l'ABC del vernacolo: la prima parola dei neonati invece di "mamma"; il primo essenziale insulto che i turisti devono imparare. Può essere un'offesa cocente e un'espressione affettuosa ("Viam un fare i' bischero!"; "o bischeraccio!"), tutto dipende dal contesto e dal tono di chi lo dice. Ogni fiorentino, bambini compresi, almeno una volta al giorno "dà dì bischero" a qualcuno, magari a se stesso: se tutti si mettessero d'accordo e dicessero il loro BISCHERO quotidiano in coro, contemporaneamente, sarebbe un boato impressionante.

I dizionari italiani spiegano che i bìscheri sono quei piroli o legnetti sagomati che reggono le corde del violino e della chitarra e servono per l'accordatura; per un fiorentino e per un toscano, bìscheri sono gli ingenui , i grulli, gli sciocchi. L'etimo è incerto: in genere si cita l'antica e illustre famiglia fiorentina dei Bìscheri, all'angolo dell'atuale Via dell'Oriòlo. Ma veramente nulla prova che qualcuno della famiglie Bìscheri si sia distinto per qualche clamorosa e storica bischerata; anzi, sotto questo sfortunato nome gli annali della Repubblica fiorentina registrano quattro Gonfalonieri e quindici Priori.

Presso il campanile di Giotto esiste addirittura una iscrizione  che ricorda il sepolcro di Lotto Bìscheri. Come se non bastasse l'insulto, BISCHERO è sinonimo di membro virile. E si capisce come i moderni dicìscendenti di quella povera famiglia abbiano fatto di tutto per cambiare almeno l'accento del loro cognome, in Bischèri. Però nessuno, nominandoli, ha mai potuto rinunciare al risolino maligno.

A Pontasserchio, in provincia di Pisa, il 28 Aprile si svolge la Festa del Crocifisso, meglio conosciuta come Fiera 'o' Bìscheri, fiera con i bìscheri. Nulla di blasfemo, comunque: è solo che per l'occasione c'è l'usanza di mangiare un dolce che si chiama, appunto, torta co' bìscheri. In questo caso i BISCHERI sono cannelli di pasta dolce disposti giro-giro a zig-zag. Data la curiosità del nome, ecco appagata anche la curiosità del sapore:

Ricetta per una torta co' bìscheri:

"Fare una pastafrolla con treetti di farina, un etto di zucchero, mezz'etto di burro, due rossi d'uovo, due cucchiai di marsala e farla riposare al fresco per tre ore avvolta inun panno. IL ripieno si confeziona con un etto di riso bollito nel latte con un po' di sale, un etto di canditi e altrettanto dicioccolata, mezz'etto d'uvetta, altrettanto di pinoli, un etto di zucchero, due uova intere e due chiare montate, noce moscata, un po' di liquore. Si stende la pastafrolla nella teglia in modo che i margini stiano rialzati e vi si versa l'impasto. I b'scheri si fanno ritagliando la pasta torno-torno e arricciandola. Poi, in forno"

martedì 13 ottobre 2015

Castagnaccio, la ricetta di Pilade da Lucca

CASTAGNACCIO: torta di farina di castagne, spesso con uva passa e pinoli. Così i dizionari di lingua. Ma il castagnaccio è una torta per modo di dire: tanto per cominciare la cercheremmo invano nelle pasticcerie. E' un po' la protopizza, anzi, l'antipizza toscana; merenda-spuntino-dessert; popolàno tappabuchi dello stomaco e ghiottoneria da veglia montananra attorno al focolare.


Nel Commentario delle più notabili et mostruose cose d'Italia e altri luoghi dell'agostiniano Ortensio Lando (in Venetia 1553) troviamo:
"Pilade da Lucca fu il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda". Quel Pilade il castagnaccio lo faceva sicuramente con la farina delle castagne della vicina Garfagnana, la cui fama si è mantenuta intatta fino ad oggi, e si regolava cosi:

Stacciava un mezzo chilo di farina dolce (per una dose-famiglia) e la metteva in una zuppiera. Aggiungeva un paio di cucchiaiate d'olio d'oliva, un pizzico di sale e ci versava quasi un litro d'acqua fredda rimescolando sempre, fino ad ottenere una farinata piuttosto liquida. Prendeva una teglia, l'ungeva d'olio, ci versava la farinata. Generosa dose di zibibbo, pinoli e noci spezzettate e quindi inforno bel caldo. Quando il colore rea diventato un bel "marrone castagnaccio" e la crosta corccante con ammiccanti crettature, il castagnaccio di PIlade era cotto.

A Livorno si chiama anche TOPPòNE, esattamente come il coltroncino impuntito che si mette nel letto dei bambini perchè non bagnino la "materassa".


Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.