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martedì 28 luglio 2015

Psicopittografia, utilizziamo con efficacia il nuovo linguaggio

Supponiamo di andare ad una conferenza per ascoltare un oratore che ha un messaggio prezioso da comunicare. Ci sistemiamo in sala e il conferenziere comincia a parlare. Con nostra sorpresa non capiamo una proal di ciò che dice. Tutto ciò è un mistero. Alla fine scopriamo che l'oratore parla svedese, una lingua che non capiamo.

Questa scoperta ci fa sentire meglio, poichè vediamo che dopotutto, la stupidità non è dalla nostra parte. Noi on capiamo semplicemente questa lingua. Ora sappiamo cosa dobbiamo fare: per capire dobbiamo fare quella lingua. Allora studiamo lo svedese per due  settimane, e ci rechiamo di nuovo a sentire l'oratore. Ora lo capiamo almeno un poco. Continuiamo a studiare e ogni volta il conferenziere si fa capire di più. Infine quando abbiamo completato lo studio dello svedese, capiremo perfettamente l'oratore. E' questo il nostro problema attuale. Se ci parlano in una lingua psicologica nuova, noi l'ascoltiamo in un'altra. [Immagine mentale 43]

Alcuni considerano queste idee di sviluppo personale noiose e senza senso. Se costoro non parlano un linguaggio psicologico elevato, queste idee appariranno senza significato. Se un uomo ritiene il suo linguaggio come l'unico, non potrà assolutamente capire un altro linguaggio nuovo e superiore. La psicopittografia ha la funzione di insegnarci il linguaggio di una mente superiore. Questo nuovo e meravglioso linguaggio non contiene parole quali "ansietà", "solitudine", "disperazione".

mercoledì 22 luglio 2015

Gli oli essenziali e le simbologie planetarie, Mercurio


E' il pianeta più leggero e veloce del sistema solare. Nella mitologia greco-latina corrisponde a  Hermes, rappresentato come un giovane versatile, abile nell'inganno, intelligente, che diventa il messaggero degli dei. Mercurio ha il dono della mobilità e dell'azione rapida, della prontezza nelle reazioni. Associato alle funzioni del corpo Mercurio governa gli scambi, i trasporti, le trasmissioni

E' associato allo scambio di gas a livello polmonare e quindi alla funzione della respirazione, degli scambi cellulari, al trasporto degli alimenti dall'intestino al sangue, alla trasmissione nervosa che avviene a livello dei neuroni e ai messaggi trasmessi ai diversi apparati attraverso gli ormoni. Intermediario tra mondi diversi (il mondo degli dei e quello degli uomini), è dunque l'intermediario tra l'individuo e il mondo di relazione, l'incontro tra maschile e femminile. 

Definisce il grado di socializzazione e i rapporti interpersonali, la capacità di adattamento e l'intelligenza, è il principio della comunicazione. Dal punto di vista delle funzioni umane, Mercurio governa quindi il sistema nervoso, il linguaggio, l'udito, la funzione del cervello (con la Luna), la respirazione, l'intestino.
Mercurio è freddo, nervoso, impulsivo, eccitabile, in movimento. Le essenze mercuriane sono depuratrici, stimolanti, attive sulla circolazione, sulla respirazione, sul sistema nervoso; risvegliano l'intelligenza e la capacità di comunicare.

martedì 27 maggio 2014

Teorie sulla Pietra di Ingà, parte seconda | Varie

La domanda è sempre quella: come due culture tanto lontane possono aver condiviso la comune origine del linguaggio e della scrittura? Secondo l'archeologo Baraldi,  questa è una prova dell’esistenza di una grande civiltà globale esistita più di 10 mila anni, cioè Atlantide. D’annunzio Baraldi, nel settore della ricerca archeologica, è infatti considerato uno degli ultimi grandi atlantologi. Secondo la sua teoria, alcuni gruppi umani originari del mitico continente scomparso, sarebbero sopravvissuti al catastrofico cataclisma avvenuto nel 9500 a.C., spingendosi verso est, in Europa, e verso sud-ovest, in Brasile. In base a quanto da lui elaborato, i glifi della Pietra di Ingá racconterebbero proprio della grande catastrofe che causò la distruzione della civiltà di Altlantide.

Se questa ipotesi è corretta, allora la Pietra di Ingá rappresenta un messaggio che gli antichi superstiti di Atlantide hanno lasciato ai posteri, come memoria del passato e come monito per il futuro. Questo significherebbe  non sono stati i nativi americani ad incidere i glifi sul monolite.  A sostegno di questa teoria ci sarebbe la somiglianza dei glifi della Pietra di Ingá con la scrittura utilizzata dagli antichi abitanti della remota Isola di Pasqua, il Rongorongo. L’Isola di Pasqua (in lingua nativa Rapa Nui, letteralmente “grande isola/roccia”) si trova nell’Oceano Pacifico meridionale. Si tratta di una scrittura con andamento bustrofedico (che non ha una direzione "fissa" ma procede in un senso fino al margine scrittorio e prosegue poi a ritroso nel senso opposto, secondo un procedimento "a nastro", senza "andate a capo") e che, al momento, è stata solo parzialmente decifrata.


La civiltà dell’isola di Pasqua è l’unica, nell’area del Sud Pacifico ad aver sviluppato nella propria storia una scrittura propria. Ma non si tratta di una scrittura che utilizza geroglifici. La scrittura rongorongo non fu mai decifrata completamente e per molti decenni rimase incompresa. E' stato solo grazie agli studi condotti dal tedesco Thomas Barthel e alla scoperta di una tavoletta che riportava un calendario lunare (oggi conservata nell’archivio dei SS Cuori a Grottaferrata nei pressi di Roma), la cosiddetta tavoletta Mamari, che si poté parzialmente decifrare alcuni simboli.

In tutto il mondo esistono soltanto 26 tavolette, in buone condizioni ed autentiche al di là di ogni dubbio, scritte in rongorongo. La somiglianza dunque, potrebbe avvalorare l’ipotesi che gli abitanti primordiali del Brasile, della Mesopotamia e dell’Isola di Rapa Nui discendessero tutti da un’unica cultura globale spazzata via da un cataclisma? Fatto è che  la Pietra di Ingá rimane uno dei reperti archeologici più importanti e misteriosi e il suo studio, e la sua eventuale decifrazione, potrebbero svelare un passato ben diverso del nostro pianeta da come lo abbiamo ipotizzato, raccontandoci di un tempo in cui i nostri antenati vivevano in un grande villaggio globale chiamato Atlantide.

sabato 22 marzo 2014

L'INCUBO DELLA SCUOLA MATERNA

A scuola sono sempre andata volentieri, alle elementari, alle medie, al liceo e infine all'università. Mai avuto problemi di socializzazione con i miei compagni, mi sono inserita con facilità in tutti i contesti sociali. 
Ma non potrò dimentichare mai il periodo della scuola materna, antecedente l'inizio della scuola dell'obbligo. Avevo all'incirca quattro anni e come tutti i bambini di quell'età, fui iscritta. La scuola non distava molto da casa, anzi, al tempo la sua sede, era tranquillamente visibile dal balcone di casa mia. In quella scuola però, io proprio non volevo andare, non mi piaceva affatto, il solo pensiero di dovervi passare delle ore mi ripugnava. Non ero una bambinetta capricciosa, non mi lamentavo e non piangevo mai, mi limitavo a mostrare il mio disagio con l'epressione seria del mio volto. Ciò naturalmente non portò a cambiamento alcuno, e ogni santo giorno venivo imbarcata sul giallo scuolabus che passava davanti a casa.  I miei coetanei vociavano e si muovevano, comportamento questo che mi infastidiva notevolmente: le loro assordanti voci e tutti quei movimenti incosulti mi davano ai nervi (io, naturalmente, restavo immobile al mio posto per tutta la durata del tragitto). 
L'arrivo alla scuola era altrettanto traumatico: tutti che si precipitavano fuori dallo scuolabus spinteggiandosi a vicenda, era al di là della mia comprensione. Per me era inconcepibile un tale caos di teste, gambe e braccia. Lasciavo che uscissero tutti, e in ultimo, mi avviavo cauta fuori, dove le maestre ci attendevano all'ingresso. I nostri cappottini venivano sistemati in fila sull'attaccapanni, quindi entravamo nelle classi. Mi guardavo intorno e osservavo tutti quei bambini, genere al quale la mia mente sentiva di non appartenere,  presi a rovesciare sui banchi matite e colori, a giocare con il pongo o il das, a spinteggiarsi, mentre io mi sentivo sempre più estranea a quel contesto. Non riuscivo a capire come potessero  interessare loro, quelle inutili attività ricreative: il mio mondo era quello degli adulti, calmo, educato, intellettivamente stimolante; nella mia mente un unico pensiero: tornare a casa, stare in silenzio, sfogliare i miei libri, giocare per mio conto, e conversare con i grandi. Persino il linguaggio di quei marmocchi spesso mi era totalmente incomprensibile, non sapevano usare le parole nè tantomeno pronunciarle bene, ma come cavolo parlavano (se parlavano)?
Il momento del pranzo era l'apoteosi della disperazione: odiavo gli odori di quella cucina e il refettorio mi dava la nausea, mentre gli altri non se ne curavano. Ci facevano sedere tutti accanto  e poi ci portavano i piatti con le pietanze: avevo il senso del vomito, e di solito non toccavo nulla, il cibo rimaneva nel mio piatto, mentre  i miei occhi assistevano al bestiale spettacolo di tutti quei pupi che affondavano le loro mani nei piatti, portandosi il cibo alla bocca con le mani e spargendo il resto su se stessi o sugli altri, ignorando le posate. In quei momenti desideravo solo scomparire, se mi avessero sparato ne sarei stata felice. Ma perchè dovevo stare lì? A che scopo? 
Alla fine le assistenti della mensa ci portavano in classe, dove le maestre avevano preparato delle piccole sedie a sdraio sulle quali ci facevano sedere e ci incitavano a dormire. Ovviamente l'unica ad avere gli occhi spalancati come fanali ero solo io, il resto della classe ronfava beatamente. Io non potevo chiudere occhio, ma si poteva star tanto rilassati e tranquilli? Il mio istinto di conservazione era come se mi dicesse che dovevo tenere tutto sotto controllo; mi sembrava strano che gli altri si assopissero, io non dormivo mai, nemmeno a casa, ero capace di stare sveglia anche per giorni. 
L'unica consolazione che avevo era che dopo quell'inutile riposino, si tornava finalmente a casa, dove avrei ritrovato il silenzio, la tranquillità, la mia amata famiglia e la mia solitudine meditativa. Tutti quei bambini erano come estranei per me, erano semplicemente altri,  guidati dai loro istinti, privi di logica e di ragionamento, non erano la mia realtà e non erano il mio mondo. Fortuna che sono cominciate le scuole elementari.


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