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lunedì 13 giugno 2016

Aumentare la pace interiore

Aumentare la pace interiore è possibile? Sì se prestiamo attenzione e cominciamo ad osservare più che a farci influenzare dai fattori esterni. 


Ecco una tecnica sicura per aumentare la pace interiore. Il vero Io non è influenzato da tutto ciò che avviene all'esterno. Esso è cosciente delle contingenze esterne, ma non ne è emotivamente toccato. In questo stesso momento, noi siamo in grado di staccarci mentalmente da tutti i problemi esterni perchè possediamo un vero Io. Siamo dei testimoni calmi della vita. Osserviamo imperturbabili tutto ciò che avviene attorno a noi.


Non opponiamo resistenza; accontentiamoci di osservare. Non cerchiamo di cambiare, di migliorare, di distruggere. Siamo semplicemente coscienti. Non dobbiamo temere che questo distacco ci faccia perdere il controllo sulle cose. I compiti giornalieri che dobbiamo svolgere non avranno ripercussioni. Anzi, saremo sorpresi di constatare che vanno meglio di prima. In effetti, il distacco mentale è una forma superiore di controllo.

Immaginiamo di osservare dall'alto della torre del nostro castello tutto ciò che avviene sotto di noi nel mondo esterno. Vi sono uomini che combattono fra loro. Altri ingannano i loro vicini con parole sdolcinate e false promesse. Osserviamo quel miserabile guazzabuglio, ma non ci preoccupiamo. Se degli uomini stupidi vogliono battersi tra loro, lasciamoli fare. Noi non dobbiamo sacrificarci alla loro demenza [Immagine mentale 51]

Questa specie di distacco non è un'evasione dalla realtà; è una sana percezione della realtà. Teniamoci in disparte e siamo i testimoni della vita. Non avremo preoccupazioni. Non saremo depressi da avvenimenti tragici; non pagheremo il prezzo per questa forma di follia umana. Saremo liberi.


giovedì 5 maggio 2016

Sottrarsi all'Io negativo per raggiungere la libertà

La verità è in ogni uomo; essa trafigge e distrugge l'Io negativo, se noi lo vogliamo. Allora ritroveremo la pienezza della vita.


Ogni uomo pensa intimamente che in realtà non esiste che un problema. Egli ritiene che i suoi problemi derivino dall'Io negativo. Anche quando, di fronte ad altri, afferma che tutto va bene, egli sa che non fa che lusingare se stesso. Ma questo sospetto che qualcosa non va, può essere il mezzo per raddrizzare le cose. 

Quando si ammette di essere sulla cattiva strada, è più facile cambiare direzione. La verità è in ogni uomo; essa trafigge e distrugge l'Io negativo, se noi lo vogliamo. Allora ritroveremo la pienezza della vita. Se avanziamo con fiducia nella direzione dei propri sogni e cerchiamo di vivere la vita che abbiamo immaginato, incontreremo un successo inatteso in un tempo normale. 

Lasceremo alcune cose dietro di noi, passeremo attraverso una frontiera invisibile; nuove leggi universali si stabiliranno dentro di noi...e vivremo nell'indipendenza di una classe di esseri più elevata. Se semplificheremo la nostra vita, le leggi naturali appariranno meno complesse, la solitudine non sarà più solitudine, la povertà non più povertà, e la debolezza non più debolezza. Se abbiamo costruito castelli in aria, la nostra opera non sarà necessariamente perduta. Poniamo ora le fondamenta a questi castelli.

Un uomo che vive in uan grande città è circondato da una moltitudine di leggi, regolamenti, statuti. Vi sono leggi sul traffico urbano, sull'edilizia, nel commercio. La sua libertà d'azione è notevolmente limitata. supponiamo che l'uomo si trasferisca in campagna, per vivere una vita più semplice. Poiché non è più costretto dalle leggi della grande città, egli vive con molta più libertà  [Immagine mentale 47]

E' ciò che capita all'uomo che si sottrae al suo Io negativo. Allontanandosi dalle emozioni negative e dalle false idee, egli vive in libertà


giovedì 28 aprile 2016

Psicopittografia: bandire la noia

La noia,  uno stato penoso: uno stato che svuota la vita della sua ricchezza. 


Si narra la storia di un uomo eternamente seduto al piano a suonare lo stesso tasto. Ogni giorno si sedeva al piano e suonava unicamente quella nota. Ciò l'annoiava a morte. Quando i parenti gli chiesero perché suonasse sempre quella nota noiosa rispose: "Non so perché lo faccio, ecco tutto".

Quando i vicini si lamentavano, diceva: "Sono dolente, ma è così. Mi auguro che qualcuno mi dica come suonare un'altra nota": Fu chiamato alla fine un noto insegnante di pianoforte. Egli esaminò il problema e decretò: "La ragione per cui suona unicamente quella nota sta nel fatto che non si accorge che vi sono altre note da suonare. Egli è ipnotizzato da quell'unica nota". L'uomo che era presente replicò: "Ma è sciocco. Io posso vedere tutte le altre note. Le vedo chiaramente".

"No", spiegò il professore, "se lei vedesse realmente quelle note, cercherebbe di suonarle. Lei suona un'unica nota perché pensa che non ne esistano altre. Lei deve scoprire le altre note. Non deve spaventarsi per i suoni strani che produrranno. Più suonerà e più diverranno familiari. In seguito questa familiarità si trasformerà in armonia. Ed allora non sarà più spaventato ed avrà la chiave per suonare".

La noia è indice di mancanza di penetrazione nel vasto campo della vita. Noi suoniamo ipocritamente l'unica nota che vediamo, quella della preoccupazione e della depressione, e non ci accorgiamo che tali note non possono dare l'armonia. Il nostro primo scopo è quello di divenire individui liberi. Impariamo allora le nuove note che producono varietà ed armonia. Chi si entusiasma per la verità nei confronti della vita, non ha mai bisogno di preoccuparsi per il proprio entusiasmo, nei confronti della vita.

giovedì 21 aprile 2016

Psicopittografia, chi vive la nostra vita?


Soffermiamoci su alcune considerazioni. Facciamoci alcune domande e proviamo a rispondere. 
Chi vive la nostra vita per noi? Probabilmente saremmo portati a rispondere che nessuno vive la nostra vita per noi, noi viviamo la nostra. 
Cosa è che ci fa vivere il genere di vita che viviamo? Come sappiamo che ci fa fare quel che facciamo? 

Le nostre abitudini, i punti di vista, le convinzioni. Evidentemente il modo di pensare determina il modo di agire. Da dove abbiamo preso queste abitudini? Perchè pensiamo e agiamo in questo modo? Da dove traiamo le nostre opinioni sulla politica, la religione, il sesso, la vita? Le abbiamo imparate dagli altri nel corso della nostra crescita. Allora forse esse non fanno parte del nostro Io originale; ma in parte sono acquisite. 

Quindi viviamo secondo abitudini e opinioni che altri ci hanno comunicato. Dunque non viviamo realmente la nostra vita. E se le attitudini acquisite son cattive, chimeriche, nocive? Supponiamo di pensare che è impossibile abbandonare l'ansia per la felicità. Allora paghiamo il prezzo per la nostra falsa idea. Ci piace pagare questo prezzo? Non credo. Dobbiamo sempre mantenere i falsi punti vista? No. E perchè no? Perchè possiamo disfarcene, poichè essendo essi semplicemente acquisiti, possiamo gettarli, come facciamo con i vecchi abiti. E poi? E poi per la prima volta vivremo la nostra vita.
Domani affronteremo "Come tornare ad aessere noi stessi".

lunedì 18 aprile 2016

Psicopittografia, come vivere ogni giorno pienamente

La vita è degna d'esser vissuta quando capiamo il valore della sua ricchezza. Cominciamo con la domanda: "Dove viviamo? In quale mondo mentale abitiamo? ". E' importante scoprirlo.

Un racconto dell'antico Egitto narra che un giovane principe,  viveva con il Faraone, suo padre, in un palazzo ai bordi del Nilo. Comportandosi come un qualsiasi giovane, un giorno il principe si mise incammino in cerca di avventura. Il Faraone lo avvertì: "Tieniti in prossimità della riva, dove c'è fresco. Non avventurarti nel deserto". Il principe seguì questo consiglio per qualche tempo. Ma, spinto dalla curiosità, si spinse poi nel deserto. La paura e l'ansia si impadronirono di lui. L'angoscia, la sete e il pericolo delle fiere lo tormentavano ad ogni passo. Il Faraone, osservandolo da lontano, vide la disperazione di suo figlio, ma non poteva fare nulla. Secondo la legge egiziana, colui che si avventurava volontariamente nel deserto doveva trovare da solo la via del ritorno. Il principe, sentendo che le sofferenze erano inutili, si mise all'opera per cercare una via d'uscita. Eliminando con costanza ogni falsa direzione, una dopo l'altra, trovò infine la via per tornare al palazzo. [Immagine mentale 44]

Questo racconto può essere utile alla comprensione del nostro stato mentale. Dove viviamo mentalmente? Nell'arsura della confusione e della stanchezza? E' veramente necessario vivere in questo modo? Pensiamo al tempo in cui ci siamo sentiti liberi. Evochiamo i giorni di freschezza che vivevamo allora. Nessun uomo si incammina senza motivo in un vero deserto. Ne esce. Ma molta gente si trova in un deserto mentale. Bisogna svegliarsi! In che mondo mentale viviamo?  Se viviamo ogni giorno nel lusso interiore, noi occupiamo un palazzo mentale. Altrimenti abbiamo una brillante esperienza davanti a noi.  Possiamo compiere il viaggio verso quella vita di lusso che ci aspetta.

domenica 17 aprile 2016

VIVERE AL QUARZO

A volte non ci rendiamo conto di come le nostre radicate abitudini condizionino la nostra vita secolare. Eppure è così, solo che non ce ne rendiamo conto, e solo talvolta ci vediamo compiere quelle stesse metodiche azioni giorno dopo giorno. Ci ho riflettuto spesso e ho concluso che....

Mi sono resa conto che la metodicità con cui svolgo le mie azioni quotidiane è paradossale. Le mie azioni sono dettate da una innata logica organizzativa a cui non vengo mai meno, se non in casi di forza maggiore ovviamente.

Fin dal momento del risveglio, i miei gesti sono sempre gli stessi, probabilmente da secoli, tanto sono precisi. Mi alzo, e la prima cosa che faccio è scoprire il letto per fargli prendere aria, poi tiro su le tapparelle dedicando sempre uno sguardo al mio mare. Filo dritta in cucina e bevo 250 ml di acqua con linfa di betulla, poi vado in bagno dove effettuo, sempre nella stessa sequenza, le abluzioni mattutine, seguite dalla rituale vestizione (in questo caso cambio i vestiti, maligni che non siete altro!).


Torno in camera, apro la porta finestra, spazzo il balcone e vi passo il cencio, indi ritorno in cucina dove bevo un altro bicchiere da 250 ml di acqua con il succo di un limone spremuto. Metto a bollire l'acqua del tè e nel frattempo vado a rifare il letto. Finalmente siedo per fare colazione, con il mio amato tè, lo yogurt e una brioscina Londi (quella non la cambio per nulla al mondo, il tè e lo yogurt sì).

Ovviamente prima di uscire di casa, faccio la mia raccolta differenziata, plastica, carta, vetro, altrimenti non sto bene. La porta di casa non si chiude senza aver lavato i denti, ma una volta fuori, sono alla mercè degli eventi.....

Comincio a credere che in una vita precedente sia stata un militare, e che la disciplina marziale mi sia rimasta apiccicata addosso, visto che sono l'unica in famiglia ad avere il tipico comportamento militaresco. Non faccio mai però le cose con la fretta tipica dei soldati in addestramento, seguo solo uno schema strategico personale, che mi permette di ottimizzare i tempi e mantenere il mio inquieto animo calmo a proposito del tempo che scorre (tanto per citare...).

Attenzione, questo stile di vita così apparentemente rigido lo conduco solo all'interno del mio accampamento, se sono ospite di accampamenti altrui mi uniformo alle regole di chi mi ospita con una flessibilità di cui mi stupisco anche io. Se sono io ad ospitare membri di altri accampamenti, non impongo le mie regole, lascio che seguano il loro stile per non turbare la loro armonia interiore.

In pratica sono come il meccanismo di un orologio al quarzo, nel quale il quarzo stesso è inserito come componente in un circuito oscillatore, che mantiene il cristallo in perenne vibrazione alla sua frequenza caratteristica: dunque vivo al quarzo.




sabato 9 aprile 2016

IL SUPERMERCATO, LUOGO DI "MALA EDUCAZIONE"

Recarsi al supermercato è un po' come andare al fronte, se ne vedono di tutti i colori. E' un luogo in cui, con la filosofia giusta si possono fare degli splendidi studi sociali che rivelano, abitudini, comportamenti, e modi di vivere delle persone.

Non vado al supermercato tutti i giorni, cerco piuttosto di fare una spesa ragionata, programmando sommariamente un menù settimanale, in modo tale da poter seguire al meglio le offerte e gli sconti, confrontando prezzi, usando qualche applicazione che mi segnali i prodotti a miglior prezzo così da poter organizzare la spesa conciliando risparmio e qualità.

Durante la bella stagione e fin quando il tempo lo permette, al supermercato vado in bici, in modo tale da non sprecare carburante usufruendo così delle mie energie, di un mezzo che non inquina e di due comodi e ampi cestini su cui sistemare gli acquisti.


Ciò che mi sconvolge quando vado al supermercato è invece il comportamento delle persone. Ora, è vero che le cattive maniere sono in testa alla top ten della decadenza di questo secolo, è pure vero che io e la mia sociale introversione non sopportiamo l'universale estetismo posticcio proprio di questa epoca in cui l'educazione civica è solo una parola senza significato di cui molti ignorano anche l'esistenza, però c'è un limite a tutto.

Quindi mi rivolgo a voi eterogeneo gruppo di frequentatori di supermercati. Quando vi avvicinate ai banchi di frutta e verdura siete pregati, se qualcuno in quel momento sta scegliento o controllando un alimento, di non speronarlo con il carrello, ma di usare quell'organo tanto utile che vi trovate in bocca: la lingua, per chiedere permesso o un po' di spazio. Se non trovate le parole perchè non sapete parlare o non vi è stata insegnata l'educazione di base, basta toccare gentilmente sulla spalla chi vi sta davanti e usare il linguaggio dei gesti per farvi capire. In caso contrario riceverete come gesto di risposta alla speronatura il ribaltamento del carello e una gomitata.

Altra esortazione cari avventori è quella di portarvi dietro il vostro stramaledetto carrello, invece di lasciarlo in mezzo ad ogni corsia impedendo di fatto ad altri di passare, solo perchè vi scoccia spingerlo appresso a voi, se siete così infingardi, ripromettetevi di fare la spesa ogni giorno, poche cose che potrete tenere in mano senza scassare gli altri.

Quando prendete il numero ai banchi serviti, cercate di non allontanarvi a fare il porco comodo vostro ma rimanete ordinatamente in fila, immancabilmente qualcuno, data la vostra assenza, vi passerà avanti e le vostre insulse polemiche sul "c'ero prima io" vi serviranno a poco. Se avete furia, fate la spesa in altri momenti della giornata.

Vorrei anche esortarvi a usare gli appositi guanti per scegliere frutta e verdura, ognuno di noi si porta dietro i propri microbi e i contenitori dei guanti esistono a questo scopo, non sono sculture post moderne. Inoltre cercate di rispettare quelli che sono avanti a voi in fila alle bilance, cercare di "entrare di secco e mettervi di chiatto" spinteggiando lateralmente gli altri potrebbe suscitare reazioni a danno della vostra strafottente faccia.

Anche infilarsi le dita nel naso e pulirvi le narici non è certo un bello spettacolo da mostrare, come del resto il fatto che molti di voi ingnori che un pacchetto di fazzoletti di carta in borsa può aiutarvi a starnutirci dentro, invece che spruzzare i vostri batteri tutto intorno inondando il vostro prossimo. E le mani davanti alla bocca quando si tossisce sono un segno di rispetto non un atto di cui vergognarsi.

Se avete fame, abbiate almeno la decenza di aspettare ed uscire dal supermercato invece di scartare i prodotti e mangiarveli mentre fate la spesa ancora prima di pagarli, sbriciolando in ogni dove, lasciando unte impronte su altri prodotti e masticando a bocca aperta facendo vedere a tutti il cibo predigerito.

Infine quando vi recate alla cassa per pagare, con i vostri carrelli siate intelligenti: se avete il salvatempo, potete pagare alle apposite macchinette, se invece non lo avete, inutile voler passare ad ogni costo per la via più breve, fate la fila, senza sbuffare, spinteggiare, urtare, o peggio ancora mentre mettete i vostri acquisti sul nastro della cassa non allontanatevi perchè vi siete dimenticati qualcosa, lasciando gli altri ad attendere il vostro comodo, fate una cortesia a tutti, fatevi la lista della spesa ne troverete grande giovamento!

giovedì 7 aprile 2016

Un consiglio a settimana: le cose di cui essere riconoscenti

Saper essere riconoscenti non è  affatto facile, sembra, ma non lo è. La riconoscenza è un sentimento che dovrebbe venire da dentro di noi, ma pur consapevoli di possederlo, spesso non riusciamo ad esprimerlo.

Se ci chiedessero di elencare le cose di cui possiamo essere riconoscenti, molti di noi compilerebbero una lista lunghissima: la vita, l'amore, l'aria che respiriamo, gli amici, la famiglia e tutte le nostre buone qualità.


  • L'azione di questi giorni ci permetterà di imparare divertendoci. Come primo passo dobbiamo pensare a tutte le cose della vita per cui possiamo dire grazie. La lista dovrebbe essere molto lunga: se preferite, annotate i vostri pensieri e rileggeteli in un secondo momento
  • Non vi sarà difficile trovare un motivo per cui essere riconoscenti a Dio. Per svolgere bene il vostro  compito dovrete agire in due tempi: 1) Scegliete quella cosa che, più di ogni altra, vi suggerisce il bisogno di dire grazie, perchè è il tesoro più prezioso che possedete; 2) Chiedete a tutte le persone che incontrate in questi giorni di dirvi qual è il dono a cui tengono di più e per cui si ritengono più fortunati
  • Nel corso della settimana aggiungete al vostro elenco le risposte che raccogliete intorno a voi e scorrete la lista ogni giorno mentre entrate in comunicazione con le guide spirituali. Presa attenzione ai vostri pensieri: qualche voce potrebbe soprendervi, ma vi permetterà di conoscere melgio la persona che ve l'ha suggerita e vi mosterà quando è grande la sua natura spirituale
  • Alla fine della settimana, rileggete la vostra lista delle cose di cui essere riconoscenti: mettete un asterisco di fianco alle voci che condividete con qualcun altro e pensate alla persona che ve le ha indicate. Le vostre guide spirituali vi mostreranno che lui o lei è un'anima gemella e possiede un'energia simile alla vostra. Vi sorprenderete di scoprire quante ce ne sono
  • Rendete partecipe della vostra scoperta gli amici, i familiari e tutti coloro che vi circondano: appendete la lista in un punto ben visibile della casa, in modo che costituisca un promemoria per ogni giorno dell'anno
  • Diffondete la gratitudine nel mondo! Condividete la gioia di dire grazie assieme alle guide spirituali e sentirete la loro energia discendere su di voi e riscaldarvi l'anima

sabato 19 marzo 2016

DI ALCUNI VENDEMMIATORI E DI UN PENNUTO

I vendemmiatori hanno sistemato un tavolo ed alcune sedie sotto il gelso, così vi si accomodano durante la pausa pranzo dalla vendemmia. Si portano dietro una borsa frigo con delle vettovaglie, il vino, il pane che poi sistemano sul tavolino e ivi mangiano di gusto. Son belle giornate e l'aria al quanto tiepida favorisce una piccola siesta sotto il gelso che, con i suoi rami forma uno splendido ombrello verde, una sorta di gazebo naturale.

Stanno lì, placidamente seduti, con la calma tipica di chi conosce da tempo immemore questo rito antico, senza che nulla turbi i loro gesti. Ma nella calma rurale in cui tutti sono immersi, qualcuno spia curioso la novità di questi giorni. Dall'alto dei rami del gelso, o ancor più in alto dalla quercia ai margini del giardino, che confina con la vigna, la ghiandaia studia ogni gesto, ogni movimento; ascolta ogni parola e ruota il capo.


Terminato il frugale pasto, i vendemmiatori ritornano alle fatiche usate, lasciando sul tavolo sotto il gelso qualche mandarino e chicco d'uva. Tutto tace intorno, e nella quiete del meriggio autunnale, solo qualche farfallina svolazza inquieta sulla lavanda. Ma per qualcuno è invece il momento di agire, profittando del fatto che tutti sono occupati in altre faccende.

Mi son nascosta dietro la tenda che potegge l'ingresso di casa dalla comunità di cimici che prospera felice in questi giorni in giardino, la porta è aperta, perchè il tepore possa entrare e riscaldare questi spessi muri di pietra. Velata come sono, non son visibile dall'esterno e lo sciocco pennuto plana placido sul tavolino abbandonato dai vendemmiatori, accompagnandosi con il sommesso gracchiare della sua voce roca.

"Ve l'ho fatta umani!" sembra dire con sarcasmo. Ma per prudenza scruta a trecentosessanta gradi la zona, e dopo il giro di ricognizione, si appropria dei mandarini e dell'uva che becca con gran gusto e soddisfazione, tacchineggiando felice sul tavolino, petto in fuori e lampo maligno negli occhi.

Dato che niente e nessuno distuba il lauto pasto, il pennuto sotto le mentite spoglie di una ghiandaia, si è rilassato ed è andato ad accomodarsi su una sedia e poi ha tentato di infilarsi nella borsa frigo rimasta incustodita, ma purtroppo essa era chiusa.

Nel frattempo io sono uscita da dietro il mio osservatorio, e mi sono recata con grande indifferenza a prendere del coriandolo dal lato opposto rispetto a dove si trovava il pennuto in meditazione. Ho preso il coriandolo e sempre con indifferenza, come se in giardino non ci fosse nessuno, mi sono recata verso casa. Callido come il ladro di Baghdad il pennuto si è nascosto dietro la borsa frigo e mi ha fatto una gracchiatina.

"Niente paura" gli ho detto "è il periodo della tregua autunnale!" E annusando il coriandolo sono rientrata in casa.




domenica 13 marzo 2016

TEMPUS EDAX RERUM

Le feste non mi sono mai piaciute molto, ho amato e amo solo le riunioni di famiglia. Era il giorno del mio nono compleanno e avevamo semplicemente festeggiato con un pranzo di famiglia, insieme a zii, cugini e nonni. Una di quelle giornate in armonia, felicemente insieme, con qualche chiacchiera, i giochi, e un brindisi accompagnato da una fetta di torta.

Ma arrivò la sera e con la sera i saluti, ognuno doveva tornare a casa. Fu allora che per la prima volta un'angoscia lancinante mi strinse il cuore. Ebbi come un fremito interno, una sensazione di strappo che mi percorse come una scarica elettrica. Mi controllai a fatica, per non piangere, deglutendo più volte per ricacciare in fondo allo stomaco quella dolorosa palla che mi stringeva la gola.
Quando tutti se ne furono andati, rivolsi a mamma una riflessione: "Il tempo scorre troppo velocemente, si porta via tutto come una valanga, e io non riesco ad afferrare gli attimi importanti della nostra vita. Sto male per questo".

"Tempus edax rerum", mi rispose mamma, "il tempo divora ogni cosa, purtroppo Silvia è così, il tempo scorre e non possiamo fermarlo".
Per me fu come una condanna a morte, ebbi la certezza che quell'angoscia non mi avrebbe più lasciata in pace. E così fu. Ritrovarmi ad oggi è stato un lampo, e io lo sapevo, l'ho sempre saputo, dalla consapevolezza di quel giorno, che mi sarei sentita addosso l'alito del tempo, alito pesante come uno schiacciasassi. Da quel lontano istante, ho sempre cercato di trattenere ogni singolo momento di ogni giorno, di tutte le settimane, di tutti i mesi, di tutti gli anni della mia vita, ma con quella straziante sensazione che tutto stia per finire, con la quasi certezza di non riuscire ad assimilare il presente perchè è pesante come il piombo  solo l'angoscia della fuggevolezza e della fine, il termine di tutto, e non vi sono appigli per rallentare questa corsa.

E così  alla verde età di nove anni seppi che tutto ciò che amavo prima o poi  sarebbe scivolato dalle mie dita, come granelli di sabbia che si vogliono trattenere fra le mani.  Quella frattura non si poteva riparare, non esisteva mastice, nè punti. Potevo solo cercare di abituarmi, concentrarmi sul momento presente, sull'oggi, ora, adesso, ma con una dolorosa spina: tutto ciò che mi appartiene oggi potrebbe trasformarsi domani, nel ricordo di qualcosa che ho perduto per sempre.
Sono ancora qui, a guardare le mie mani, fra le cui dita sono scivolati via i momenti, gli animali e le persone amate.


sabato 12 marzo 2016

CLIENTI SERPENTI

Ci sono giorni in cui una speciale congiuntura astrale, dovuta probabilmente ai cambiamenti climatici in atto, o forse ad un karma di cui non riesco a liberarmi, o magari ad un bieco gioco del caso, in cui mi ritrovo a contatto con gente i cui neuroni sono totalmente fulminati. Vado a spiegare meglio. Un paio di giorni fa, prendo il mio mezzo a due ruote, il mio fantastico biciclone corredato di un lucido e solido cestino, per andare a fare alcune commissioni.

Dato che cerco di programmare tutto, anche in questo caso provo a concentrare le svariate commissioni nell'arco di una mattinata, effettuando anche un itinerario ad hoc, partendo quindi dai negozi o uffici più lontani per andare via via verso quelli più vicini e quindi, al termine del giro, tornare a casa. Eccomi dunque ad inforcare la bici e partire: prima tappa erboristeria.


Sono cliente da molto tempo e c'è una certa confidenza con la titolare. Entro e ci scambiamo i soliti convenvoli, poi mi accingo a chiedere alcune informazioni in merito ad un infuso e mentre la titolare comincia a darmi alcune spiegazioni, entra un signore di una certa età, con in mano un foglietto sul quale compariva un elenco (suppongo di prodotti, come in genere si fa quello della spesa).  Senza nemmeno dare il buongiorno e senza curarsi del fatto che prima di lui  c'ero io, mi si piazza di fianco e, leggendo sul suo magico foglietto esclama: "Olio di fegato di merluzzo, MegaRed, per il cuore".

Dopo un secondo di silenzio, dovuto ovviamente alla maleducazione del signore in questione, la mia erborista di fiducia, esercitando su di sè un certo controllo, spiega gentilmente che lei non ha quella marca specifica, ma un altra. Il signore dal canto suo esordisce: "Ma a questo fanno una bella pubblicità!". Ecco che la mia mente comincia ad elaborare i soliti introversi pensieri: dunque il fatto che al prodotto facciano una bella pubblicità è forse indice di qualità? Lo vedi in Tv e pensi che sia il migliore prodotto sul mercato?

Ma non ho fatto in tempo ad andare oltre perchè questo strano personaggio, incurante di ciò che gli veniva detto va oltre e chiede: "Già che ci siamo vorrei il Gaviscon per l'acidità di stomaco". A questo punto sono io che non sono riuscita a stare zitta, visto che il bamba proprio dimostrava di essere duro di comprendonio e ho esordito: "Guardi, il Gaviscon lo trova in farmacia, qui siamo in un'erboristeria, in cui sono presenti prodotti naturali che sono utili anche all'acidità di stomaco, ma non sono sintetizzati chimicamente".

Per contro il plagiato dalla pubblicità dice: "Ma in Tv dicono che fa bene". Avrei voluto uscire e andare a fare un giro, ma non avevo tempo da perdere e oltretutto stavo tollerando un imbecille che mi era passato avanti senza neanche chiedere il permesso. La mia erborista dava segni di squilibrio, perciò ho risposto io al posto suo: "Capisco che la televisione sia per lei fonte di ispirazione per la scelta dei prodotti per la salute, sappia che qui, ci sono prodotti per il naturale curativo e non farmaci da banco, ora, sta a lei riflettere e scegliere, se affidarsi totalmente a ciò che le propina la pubblicità, avallando anche il business farmaceutico o informarsi su prodotti alternativi, di sicura provenienza e che di chimico non hanno nulla, e se permette visto che ero qui prima di lei, e sono ben venti minuti che attendo i suoi comodi, vorrei terminare ciò che avevo cominciato e andare a concludere i miei servizi prima di notte".

Probabilmente queste mie paroline hanno scosso dal coma il cervello dell'omino, il quale, come ritornato in sentimenti, ha comunicato che sarebbe andato a riflettere sui consigli avuti. Buon per noi. Ma evidentemente i miei incontri non erano finiti lì, perchè la seconda tappa era il negozio dove per la terza volta,  avevo lasciato il mio cellulare che aveva deciso di por fine alla nostra relazione collaborativa. Entro per avere notizie dell'agonizzante device, e avanti a me c'è un cliente molto preoccupato. La proprietaria gli stava ponendo alcune fondamentali domande, per capire quale fosse il problema.

"Non funziona" è stato tutto quello che il cliente preoccupato ha detto, nè più, nè meno. La ragazza mi guarda, io mi chino su un espositore di accessori, facendo finta di nulla. Dato che altro non si poteva sapere, la ragazza prende il dispositivo, rilascia al tizio una ricevuta e gli chiede il suo numero di cellulare per poterlo avvisare (la sim nel frattempo era stata inserita in un altro cellulare). Ma il tizio candidamente sottolinea: "E che ne so io che numero ho?". Mah....... A quel punto ho preso le mie gambine, la mia bici e me ne sono andata in pescheria, dove dovevo ritirare delle alici fresche, per farne un tortino gratinato.

Entro e mi metto in fila, aspettando il mio turno. Mentre attendo entra una coppia, che chiede chi sia l'ultimo. Rispondo che sono io e tutti ci mettiamo in attesa che la fila si smaltisca. Ecco che tocca a me, il pescivendolo prende le alici ben riposte in una bustina e me le porge dicendomi: "Ecco le alici Silvia, freschissime, fammi poi sapere come è venuto il tortino gratinato". Non faccio in tempo a prendere fiato per rispondere che la coppia alle mie spalle esclama: "Non ti piace il pesce anelli?"

"Pesce anelli?" chiedo. "Sì", replicano dandosi di gomito (come a dire, vedi questa ignorantona), "il pesce fatto ad  anelli, è così buono fritto". A quel punto il pescivendolo è stato più veloce della mia lingua (che in quel momento si stava mutando in una lingua biforcuta) e ha apostrofato i sapientoni: "Il pesce anelli, come lo chiamate voi, non esiste, forse voi vi riferite agli anelli di totano, un mollusco cefalopode, che è questo (e glielo ha sbattuto davanti), da cui si ricavano gli anelli di cui voi parlate". Silenzio di tomba.

Ero piuttosto tramortita, ma gli incontri ravvicinati non erano terminati, perchè dovevo passare dalla ferramenta per chiedere di una vernice antimuffa. Anche qui, arrivo e faccio la mia richiesta, e mentre uno dei commessi comincia a darmi alcune utili spiegazioni, entra un tipo che si rivolge ad un altro commesso in quel momento libero: "Hai mica quei cosini fatti a panna cotta per le viti?"

Era troppo per me, ho salutato il commesso, dicendo che sarei tornata in un altro momento, con la scusa di dover riferire a chi di dovere le  caratteristiche della vernice antimuffa. Ho inforcato la bici, e pedalando veloce mi sono ritirata nei miei appartamenti facendo gli scongiuri e improntando un sacrificio ad Ecate per propiziarmi incontri migliori. 





venerdì 11 marzo 2016

Antartide: i ghiacci nascondono nuove forme di vita

La vita vince sempre su ogni cosa, anche là dove sembra impossibile per le condizioni estreme del clima. In Antartide occidentale infatti, i ricercatori del programma Wissard (Whillans Ice Stream Subglacial Access Research Drilling), hanno fatto una scoperta davvero interessante, relativa appunto alle forme di vita sotto i ghiacci.


Il team, coordinato dal professor Slawek Tulaczyk, un glaciologo presso l'Università della California di Santa Cruz, perforando con una trivella la calotta del lago Whillans, sepolto sotto quasi 800 metri di ghiaccio,  hanno osservato specie che mai avrebbero potuto immaginare.


Oltre alle già note 4mila specie di batteri chemiosintetici già scoperte nel 2013, durante alcune spedizioni a capo delle quali c'era un italiano, Carlo Barbante dell'Università Ca' Foscari di Venezia e dal professor John Priscu della Montana State University, grazie ad un piccolo robot, chiamato Deep SCINI, calato nel foro non più ampio di una ventina di centimetri, sono stati fotografati circa trenta pesci di almeno tre specie differenti.

Dovrebbe trattarsi di esemplari appartenenti al genere Nototheniidae, famoso perchè nel suo sangue sono state trovate proteine antigelo, che gli permettono di vivere in condizioni e temperature estreme. Oltre ai pesci, Deep SCINI ha fotografato anche crostacei di colore rosso ed altri organismi sui quali i ricercatori al momento mantengono uno stretto riserbo, ma che sicuramente verranno presentati al più presto in apposite pubblicazioni scientifiche.

Saranno fatte inoltre altre analisi, sia sull'acqua che sui sedimenti recuperati nelle operazioni di carotaggio. Gli studiosi hanno predisposto tutto il necessario per mantenere inalterato il remoto ed incontaminato habitat sommerso, utilizzando accortezze come l'acqua bollente, filtrata con raggi UV,  per evitare il passaggio di microorganismi dalla superficie. I dettagli della scoperta sono stati pubblicati sul sito ufficiale del progetto WISSARD.

domenica 6 marzo 2016

ERO UNA BAMBINA DISAPPETENTE

Sono stata una bambina disappetente, così diceva il pediatra. Per me lo stimolo della fame non esisteva affatto, fame non ne avevo mai. A dire il vero, a chi mi aveva intorno, apparivo come un derviscio (benchè fossi paffutella, nessuno a vedermi avrebbe detto che ero una che non mangiava) in continua meditazione, capace di digiuni prolungati per giorni. A mangiare naturalmente venivo forzata, con mio grande disappunto. Ovviamente crescendo le cose sono cambiate, sono diventata una buona forchetta e una grande buongustaia, adoro la buona cucina e i piatti ben cucinati che apprezzo con tutto il mio essere. Nonostante tutto però, non sopporto di stare a lungo a tavola, mangio volentieri, con gusto, ma il tempo deve essere limitato, questo suggerisce il mio istinto.


Una riflessione la mia, che è maturata recentemente, forse perchè mi è stato fatto più volte notare e soprattutto in famiglia, che ho la tendenza a togliere, con fulminea velocità, i piatti da tavola, talvolta mentre i malcapitati familiari stanno ingoiando l'ultimo boccone. Così, mi son messa a pensare a questa sorta di mania. Perchè mi comporto così?  Ripensando ai miei trascorsi infantili, a quando per me il verbo "aver fame, essere affamati" non aveva alcun significato, mi sono riaffiorati alla mente dai vecchi cassetti della memoria, i pensieri di un tempo: mangiare uguale perdita di tempo prezioso.

Tempo tolto ai miei pensieri, ai giochi, alla lettura, alla mia voglia di stare da sola nella mia cameretta senza essere disturbata da nessuno, quindi gli orari dei pasti (oltre al fatto che la fame non si faceva mai sentire), sottraevano tempo. Ripensando a ciò, ho rivisto anche il mio modo di essere adesso, ancora legato a quegli istinti. Mangiare mi piace, ma nella mia mente continua ad essere una perdita di tempo, tempo sottratto, tempo mancante, pericolo forse? Se sono sola, per me diventa inutile persino sedermi a tavola, mangio in piedi, comodo e veloce; se sono con i miei familiari, sosto a tavola solo il tempo necessario a masticare, deglutire, complimentarmi per la bontà delle pietanze (siano esse cucinate da me o da loro) e poi via, prepararsi a sparecchiare, fare la cucina e togliere tutto di mezzo, andare in altra stanza. 

Per me è una totale assurdità che si stia a tavola una volta finito il pasto semplicemente per chiacchierare, con la tavola ancora da sparecchiare e i piatti da lavare, il mio solito atavico istinto mi dice che si deve sbarazzare tutto e poi dedicarsi alla conversazione in un luogo più consono ad essa. Mi chiedo se non vi sia una sordida sensazione di paura, il pasto come sosta, come pausa, il fermarsi chissà, in un luogo pericoloso, sotto il tiro dei cecchini, con il pericolo di un agguato, quindi, sbrigarsi e marciare per andare in un luogo sicuro. L'unico pasto che per me vale la pena godersi è la colazione, illuminante momento di delizia. Sola o in compagnia, per colazione siedo, e sosto (mai troppo), ma sosto; respiro l'inizio della giornata come fosse una sorta di nascita, un nuovo affacciarsi al mondo, giorno, metafora della vita, tutto da vivere.


sabato 5 marzo 2016

NON C'E' PEGGIOR SORDO DI CHI NON VUOL SENTIRE

Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, è come cercare di far prendere a qualcuno una palla, che inevitabilmente rimbalza su un muro trasparente e torna indietro. Cerco invano di far capire che la mia vita è totalmente cambiata da un anno a questa parte e che vi sono cose che forse, non potrò fare mai più. Spiego, cercando le parole più semplici affinchè il ricevente comprenda che la mia vita è su una strada diversa, ma son parole buttate al vento.

Quando il tuo corpo subisce un trauma importante a seguito del quale si è dovuto intervenire chirurgicamente, ne scaturiscono alcune conseguenze, inevitabilmente. Tutto ciò che eri abituato a fare, tutto quello che caratterizzava la tua vita cambia, e di conseguenza, si è costretti a cambiare le proprie abitudini. Coloro che ci circondano dovrebbero essere in grado di capire, anche solo osservandoci, ma non sempre è così. Se sei  costretto a convivere con il dolore fisico tutti i giorni, se devi stare attento ai movimenti che fai, se devi costantemente tenere una speciale tabella di marcia di esercizi fisici, se quando devi alzarti dal letto devi mettere in atto una serie di azioni particolari, la tua vita non è più quella di prima. Ma con alcune persone è come parlare al vento. La loro mente è predisposta a pensare che fatto l'intervento tutto è risolto. Si può essere così ciechi e ottusi? Come far capire che anche la nostra mente e non solo il corpo subisce le conseguenze di tale radicale cambiamento? 

E' semplice: non si può. Si potrebbero usare tutte le lingue del mondo,  fare un disegnino,  usare il linguaggio più basso ed elementare, questo non porterebbe assolutamente a niente. 
In principio è incredulità, poi rabbia, quindi delusione, e infine rassegnazione
E' come trovarsi di fronte ad un bivio,  la biforcazione di una strada familiare che si si divide e ti costringe a scegliere, o da un lato o dall'altro, è la via di mezzo che manca.

L'obbligatorietà di questa scelta, comporta l'acquisizione e la perdita. L'acquisizione di nuove abitudini, di una nuova visione della vita da parte del soggetto agente, la perdita di ciò che era prima e di coloro che non accettano questo cambiamento. 
La mia strada adesso è nuova, profondamente diversa, ed esclude sordi e ciechi all'evidenza. Il mio percorso adesso lascia alcuni ed acquisirà altri, perchè su questo treno, che è la vita, fatto di stazioni, nel nostro scompartimento ci sono viaggiatori che salgono, altri che scendono, ma solo pochi che ci accompagnano fino in fondo.


sabato 27 febbraio 2016

ANTONIO E LO SPOLVERINO BLU

Antonio indossa uno spolverino blu, uno spolverino che mi ricorda quelli indossati dai vecchi vetrai, intenti nel loro lavoro in ampie botteghe, dove le schegge di specchi e vetri colpite dal sole, si trasformavano in prismi diffondenti arcobaleni di luce colorata. Erano botteghe dove odori di colla e polvere si mischiavano in armonico profumo, proprio di quell'attività. Ma lo spolverino di Antonio non è adibito a quell'uso.

Egli lo indossa per un ben preciso scopo: andare sotto l'albero del gelso a raccogliere le scure more, che sugose occhieggiano dietro le larghe foglie, vestito di rami flessibili. Le more del gelso cadono nelle mani di Antonio, che le ripone sapientemente in una grande ciotola di plastica bianca; sono così mature che a volte il loro sanguigno succo gli tinge le mani e le gocce purpuree macchiano lo spolverino blu.


Le mani di Antonio sono grandi e forti, costellate di qualche legnoso nodo come il tronco del gelso, ma pur nella loro ampiezza, esse sono delicate e leggere, tanto che le fragili more vi trovano morbido letto. Da sotto il gelso si sente Antonio che parla con il merlo, che un po' indispettito si sente deufradato di tanto cibo e saltella nevoso da un ramo all'altro, mentre un gelosa ghiandaia lancia qualche roco avvertimento perchè il suo territorio è stato invaso da un gigante blu.

Io mi godo la scena dalla finestra, osservando i movimenti, ascoltando in silenzio i dialoghi fra Antonio, il merlo, la ghiandaia, nella pace spirituale di un giardino di cui mai rivelerò le coordinate, dove tutto è possibile, dove si fa il pane fatto in casa e torte che odoran di forno.

Con Antonio e il suo spolverino blu si parla di pesca, di tartufi,  delle piantine di pomodoro, di alberi da frutto e della situazione internazionale. Ci si siede in giardino a guardare il tramonto, mentre un batuffolo di pelo nero corre sull'erba con le sue zampette corte, regalando ad Antonio, al suo spolverino blu e a me, un attimo di paradiso.

domenica 21 febbraio 2016

La ghiandaia: furbo pennuto

Su una giovane quercia al confine del giardino, abita una prepotente ghiandaia. Il suo roco richiamo mi avverte della sua presenza nelle più svariate ore del giorno. E' un asso del mimetismo fra i folti rami della quercia, e in base a come le foglie si muovono, è possibile capire su quale dei piani della sua villa si trova.

Questo furbo pennuto non ama veder gente che transita per il giardino, che di fatto non le appartiene,  poichè è convinto che gli si portino via le cibarie, consistenti in more di gelso, peschenoci e susine, che puntualmente becca, fa cadere a terra e lascia lì, svolazzando e gracchiando felice.


Gracchia felice fino a che, dall'alto del suo appartamento, non vede qualcuno che transita attraverso il giardino per andare a lavorare nell'orto, duro lavoro di estirpazione manuale delle erbacce, sotto il caldo sole estivo, fra le verdi pianticelle che con fatica son state piantate e  che con altrettanto faticoso impegno, son state fatte crescere. Ma a lei quel via vai non va bene, quella è casa sua e tu o chiunque altro, siete ospiti  indesiderati.

Perciò, mentre tu cammini ignaro del pericolo che stai correndo, lei spicca il volo e plana a folle velocità sulla tua testa borbottanto offese in "ghiandese", sfiorandoti e riprendendo quota alla stregua di un cacciabombardiere, o forse dovrei dire come un missile aria- terra. E questo è il raid dell'andata. Se si è passati indenni, si può accedere all'orto, dove con impegno ti metti a lavorare, pur tenendo un occhio al cielo (non si sa mai).

Essere giunti  nell'orto non significa essere al sicuro, si è sotto tiro comunque, anche perchè il feroce pennuto, deve nutrire un morbido, lamentoso pulcino che, affamato, ci "guata" dalla vigna. Il piumino piange, e la pennuta madre, decide di rinfrescarlo con una pesca. Un moto d'ali e prima che tu possa rendertene conto, due pesche cadono a terra beccate a morte.

Cerchi di finire l'estirmapemento delle piantine infestanti, raccogli da terra le pesche cadute dopo una breve resistenza al becco del pennuto, e madida di sudore ti avvii verso casa, anche per darti una rinfrescata........ma ecco che, callida come la volpe del deserto, la molestatrice pennuta  approfitta del fatto che hai le mani occupate.

In picchiata ti svolazza sulla testa, blaterando improbabili minacce, e per farti vedere che lei può e tu no, intreccia acrobazie sui rami del gelso solo ad un metro di distanza da te, mettendosi anche a testa in giù, mentre il merlo, che aveva approfittato dell'assenza della tirannica occupatrice di territori, manifesta indispettito il suo nervosismo.

Varchi a fatica la soglia di casa, finalmente al sicuro da qualunque attacco, felice di non esser stata beccata da quell'impudente, e pur di dimostrarle che tu appartieni allo stabile e a quel pezzetto di terreno che coltivi anche per sfamare lei, ti affacci sulla soglia e le urli: "Sciocco pennuto! Esisto anche io!"




sabato 20 febbraio 2016

Lungo il canaletto

Cammino lungo l'argine di un canaletto per l'irrigazione, dove l'erba ormai trascolora nei colori dell'autunno. E' ancora morbida. I miei passi sono attutiti e intorno c'è un piacevole e musicale silenzio, la compagnia che preferisco. Accanto a me trotterella Sissy, con la sua pettorina rossa, tutta presa dagli odori che si spandono intorno ai vigneti, dove i grappoli dell'uva matura pendono pesanti fra i pampini dalle sgargianti sfumature.


Un passo dietro l'altro senza pensieri, forse è il mio modo di meditare, di staccare la mente, di fermare l'impertinente e sfacciato flusso di pensieri, parole, immagini che turbinano come una tempesta confusa nella mia mente sempre sull'attenti, come un soldatino ben addestrato agli inganni del mondo. Ma qui no, posso lasciarmi andare, calare il ponte levatoio fortificato con cui blindo l'ipersensibilità che mi appartiene, radice troppo forte che affonda le sue braccia dentro la mia anima.

Getto via questa pesante armatura, mi va bene solo ciò che mi circonda: l'erba del canaletto, le occhiatine di Sissy, in perfetta armonia con se stessa, perchè nulla chiede se non quello che ha, i vigneti sobri e gli alberi da frutto. In questo camminare senza pensiero alcuno, libero il mio essere e giungo in una raduretta solinga. Sorrido,  perchè la mia introversione mi ringrazia di questo isolamento che concedo a me stessa da tutta la confusione umana che non sopporto da sempre.

C'è un bellissimo albero di nocciolo, l'albero di Cenerentola, dei rabdomanti, simbolo di saggezza e della Luna. E così come per caso gli canterello dei versi:

"Presto alberello scuotiti al vento,
in fretta ricoprimi d'oro e d'argento"

Dette queste parole trovo una bella nocciola fuori stagione, che metto felice in tasca, ringraziando il nocciolo per aver udito le mie parole. Poco più avanti incontro l'imponente noce, dal secolare tronco, simbolo delle divinità femminili, legato a storie di streghe e simbolo di rigenerazione. L'ho ammirato in tutto il suo splendore e anche a lui ho canticchiato una canzoncina, per ricordargli i fasti medioevali di cui godeva:

"Sotto l'acqua e sotto il vento,
vicino al noce di Benevento"

Ai suoi piedi c'erano infatti delle noci ancora intatte nel verde mallo che le racchiudeva, e che ho accettato volentieri come segno di duratura amicizia. Sissy invece, aveva trovato alcune giuggiole. Nel misticismo magico in cui ero immersa sapevo che dovevo tornare sui miei passi, pur a malincuore e così sempre rivolgendomi al mio amico noce, ho canticchiato la canzoncina al contrario:

"Sopra l'acqua e sopra il vento
lontan dal noce di Benevento"

E passo passo, con la mia soddisfatta introversione, senza pensieri e il ponte levatoio ancora calato, accompagnata dal ritmico trotterellio di Sissy son tornata lungo il canaletto, le vigne e i frutteti là nella casa con il giardino di dove non so.




domenica 14 febbraio 2016

Non sapevo ancora leggere

A volte ritornano, vividi, i ricordi dei primi anni della mia infanzia, così all'improvviso, scatenati da non si sa cosa. E così, lucido come non mai, si è aperto a me quel tempo che mi appare tanto lontano e felice, di quando mi mettevo di fronte ad una delle librerie di casa e prendevo un libro dell'enciclopedia, una lettera per volta, l'ordine non era importante. Erano libri grandi e pesanti, che quasi erano alti quanto me, profumavano di pelle e inchiostro e avevano quella sfumatura color tabacco un po' marmorizzata, che amo tutt'ora.


Con quei libroni mi accomodavo sul divano, e con un rito quasi religioso li aprivo, assaporando il profumo di quella carta pregiata e traslucida, su cui si susseguivano in ordine alfabetico tutte le parole dello scibile, cose, nomi, personaggi, città, stati, monumenti, animali, piante, fiori...Pagina dopo pagina  i miei occhi divoravano quei caratteri e quelle rare foto che disseminavano le pagine di quei tomi, alcune a colori, molte in bianco e nero.

Sul quel divano, con quei tomi così grandi, io mi astraevo da tutto e tutti, non c'era nulla che potesse distogliere la mia attenzione da quelle pagine, su cui lievemente passavo le mie piccole dita, come se attraverso i polpastrelli quella conoscenza passasse a me. Trascorrevo ore a sfogliare quelle pagine, osservando attentamente i volti di musicisti, poeti, scrittori, attori, personaggi politici, iperscrutando i loro occhi, le linee dei volti, chiedendomi cosa stessero pensando in quel preciso momento, e il valore delle loro esistenze.

Erano tante le domande che mi ponevo, una però mi martellava più di altre: perchè io mi trovavo lì in quel momento e non invece in altro tempo ad osservare quelle vite di cui l'enciclopedia era una testimonianza? Perchè a me era toccata quell'epoca, non quella dei Greci o degli Egizi, che tanto affascinavano la mia mente? Perchè ero nata in Italia e non in un altro paese del mondo? Non ricordo di aver esternato queste domande, di aver chiesto spiegazioni in merito, ma ricordo che a parte i miei familiari, erano diverse le persone cui risultava strano che una bambinetta di circa quattro anni, stesse delle ore a sfogliare libri che ancora non sapeva leggere o tantomeno capire.

Non sapevo leggere, non nel senso comune del termine, ma sentivo, attraverso i miei polpastrelli quello che quei caratteri d'inchiostro contenevano, ciò che quelle pagine significavano, e assimilavo luoghi, edifici, civiltà, molecole, invenzioni, animali e piante, fatti e persone. Non sapevo leggere, ma sapevo dove trovare quello che cercavo, perchè vedevo dentro quei libroni anche quando erano chiusi e riposti in ordine sulla libreria. E quando una domanda mi assillava, io andavo, e scorrendo con un dito le grosse costole di quei tomi mi fermavo su quello dove, pur se non coscientemente, trovavo la risposta.


giovedì 11 febbraio 2016

Chiediamo un regalo angelico, un consiglio a settimana per migliorare la propria vita e quella altrui

In alcuni momenti la vita è piuttosto impegnativa, e anche se le ricompense ciripagano di tutti i nostri sforzi, ogni tanto è bene concedersi un premio speciale extra, che ci sproni ad andare avanti. Chiediamo alle guide spirituali il regalo che secondo loro meritiamo per il lavoro che abbiamo compiuto finora.


  • Come sappiamo bene, un regalo spirituale può assumere forme diverse: il sorriso di un bambino, l'emozione di un nuovo giorno, i primi segni della primavera, il cinguettio degli uccelli che nidificano, la prima nevicata dell'anno, una bella giornata trascorsa in compagnia, p il sussurro di una voce dal mondo dello spirito
  • Questa settimana dovremo pregare le nostre guide di farci un regalo. E' un po' come chiedere alla fata madrina di esaudire tre desideri: l'importante è ricordarsi che non bisogna sprecarne nemmeno uno
  • In questo caso abbiamo un solo desiderio a dsposizione, perciò prima di decidere pensiamo attentamente a quello che vogliamo: non sciupiamo l'opportunità scegliendo qualcosa di frivolo o irrealizzabile. Sappiamo che qualsiasi dono chiediamo alle guide è sempre alla nostra portata, tutto ciò che dobbiamo fare è convincerci di meritarlo
  • Questa azione ci mette davvero alla prova. Vorremmo l'impossibile: che le persone che non ci sono più tornassero da noi, oppure che ci fosse garantita la felicità eterna, o un corpo e un cuore inattaccabili. Qualunque sia la nostra richiesta, ricordiamo che stiamo chiedendo un dono non un miracolo
  • Pensiamo ai regali che le creature celesti hanno concesso agli altri e ai tanti doni con cui hanno già arricchito la nostra vita. Quando avremo deciso, rivolgiamo al Cielo la nostra preghiera
  • Richiediamo il dono tutti i giorni della settimana. Non temiamo di essere egoisti, ma stiamo attenti a non sciupare questa occasione. Aiutiamo le nostre guide ad aiutarci, e così potremo dare na mano a noi stessi
  • Questi regali ci vengono concessi affinchè cresciamo nello spirito. E lungo il cammino, tutti quelli che incrociano la nostra strada godranno dei doni  che il Cielo ci ha inviato.

domenica 7 febbraio 2016

Spirito e materia non sono opposti

Dobbiamo dire che spesso si commette l'errore di associare le tinte pastello più delicate alla natura "spirituale", mentre le sfumature più vive e dense sono ritenute indicazioni dell'aspetto "terreno" della personalità. Ma questa è un'opinione errata. E' vero fino ad un certo punto, ma spesso dà un'idea totalmente falsa del carattere della persona.

Innanzitutto, questa idea accetta la concezione che "materiale" e "spirituale" siano nettamente contrapposti come l'oriente e l'occidente che, nella poesia di Kipling, " non s'incontreranno mai". Era questo l'errore degli gnostici, o almeno di alcuni di essi, nella Chiesa protocristiana, e in una forma o nell'altra è persistito nel corso dei secoli. Secondo molti di noi è più giusto affermare che "spirito" e "materia" sono le espressioni di una realtà suprema, i due poli della batteria cosmica, tra i quali è intessuta la rete dell'universo.


In quel "campo di energie" vivono ed esistono la vita e la coscienza. Vi sono istituzioni in cui tutto questo è simboleggiato dalle due Colonne del Tempio di Salomone: tra esse  si estende il pavimento di mosaico a riquadri bianchi e neri, e il nostro pellegrinaggio umano significa che in realtà non camminiamo mai interamente su un riquadro nero o su uno bianco.

Ciò si riflette nel nostro universo privato individuale, e si rivela nell'aura. E' una semplificazione eccessiva dividere l'umanità in "buoni" e "cattivi" come nei film western. Noi siamo più sfumati, e in ciascuno di noi vi ammonisce: "C'è tanto bene nel peggiore di noi, e tanto male nel migliore". Ed è verissimo.

Vi sono aspetti della nostra natura che appartengono alla parte più elevata, e altri alla parte inferiore; e c'è una porzione della nostra struttura emotivo-mentale che rispecchia un miscuglio di questi due aspetti;  e secondo l'attività generale di tali fattori noi costruiamo quello che possiamo chiamare lo sfondo permanente dell'aura. E' questa colorazione generale che solitamente dimostra quali siamo, ed è piuttosto stabile, cambia lentamente mentre progrediamo sulla strada della vita.

Tuttavia, vi sono momenti in cui entrano improvvisamente in attività le parti più elementari della nostra natura; e tale attività appare evidente dalle tinte ardenti e torbide che appaiono nell'aura. Allo stesso modo, vi sono momenti in cui entra invece in attività il nostro aspetto etico e spirituale, e questo produce sfumature di colore più delicate. Ma entrambe le condizioni possono essere (e molto probabilmente sono) di breve durata, e la loro apparizione non offre una chiave del vero carattere della persona nella cui aura vengono viste.

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