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domenica 29 novembre 2015

Il respiro del Tiglio


Il suono dei miei passi era attutito da una leggera nebbia mattutina, grigia e umida, ma non così fitta da impedirmi la vista. Seguivo a testa bassa il ritmo regolare dei miei passi lungo la stradina stretta e solitaria che costeggiava i verdi e muscosi canali sul cui greto, sassoso e vuoto, occhieggiavano splendide conchiglie di fiume, le cui valve aperte mostravano la lucida madreperla. 

 Era freddo, e certo rimanere al calduccio era stata una forte tentazione, ma dovevo camminare, e quella solitudine agreste consolava in parte il disagio stagionale.
Sapevo inconsciamente dove ero diretta, ma preferivo non prestarvi attenzione, e mi aiutavo in questo sbirciando i casolari lungo la strada, dove razzolanti e grasse galline, si riposavano appollaiate sui pioli di una scala che metteva in comunicazione la fredda terra con il fienile. Ogni tanto un solitario e dondolante papero mi accompagnava per qualche tratto. 

Svoltai a destra e continuai la mia marcetta, era la strada che in primavera avevo percorso in bici, una di quelle biciclettine fuori moda, un po' gracchiante, con le ruotine piccole, che nulla aveva a che fare con le moderne mountainbikes e i loro cambi sequenziali, una biciclettina su cui puoi pedalare con i jeans e le scarpe da ginnastica senza abbigliamento tecno e integratori. Mi accorsi che stavo sorridendo e mi compiacqui. Istintivamente rallentai, e alzai la testa, che fino a quel momento guardava imperterrita la stradina e i piedi: eccolo!

Allargai le mani e le tesi verso le volute delle molteplici braccia del verde Briareo dormiente: il mio amico tiglio. Andai ad abbracciare il suo enorme e nodoso tronco, rifugio di piccole e indifese creature, e vi appoggiai l'orecchio per sentire il suo respiro. Mi accostai, chiusi gli occhi e lasciai andare a lui i miei pensieri, nel cui turbinio colsi i versi di una filastrocca che recitai: 

"Bel vitellino accucciati,
sta' con la tua pastora 
e non l'abbandonare,
come quel giovin principe
che la sua dolce sposa,
sotto il frondoso tiglio
lasciato ha lagrimosa"

Feci fluire tutte le mie sensazioni, e mi guardai intorno: la casa del mio amico tiglio aveva delle particolarità cui non avevo fatto gran caso prima. Non tanto il bel prato, letto delle sue profonde radici, ma la casa abbandonata a poca distanza da lui, sul tetto della quale spuntava in ferro battuto, l'orizzontale falce della luna araba. Lì vicino in pietra grigia, un mezza piramide su piedi di leone. Baluardo segreto di un moro in fuga in una campagna totalmente estranea ai fasti dell'Alhambra? 
Solo la secolare presenza del mio amico tiglio ne custodiva la storia, ma non feci domande, mi accontentai della sua benevola accoglienza. Indugiai ancora un poco, indi presi congedo e, ripresi i miei passi, tornai.

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