In questa lettera Seneca supera in modernità se stesso e forse anche noi. Elogio il suo dal diffidare della
folla, oggi più vero che mai, appartarsi, come scrive, non tanto dalla gente quanto dagli
affari. E in più fa sfoggio di una grande
consapevolezza, forse del suo proprio destino: l'essere utile ai posteri. Egli afferma infatti che con le sue lettere manda ai posteri avvetimenti salutari, e ora più che mai secondo me essi sono consigli spassionati e salubri. Evitare le cose che piacciono alla massa, mi fa sospettare che avesse anche lui la televisione e che fosse consapevole del bombardamento che ne riceviamo, di quanto le nostre menti siano manipolate. Non illudiamoci di tenere in pugno ciò che la fortuna ci ha dato, noi non possiamo controllare nulla. Ciò che può essere dato, può essere tolto.
"Caro Lucilio,
mi inviti a star lontano dalla
folla, a stare per conto mio, pago della mia coscienza? Che fine hanno fatto i principi della vostra filosofia che ingiungono di morire nell'azione? Ma come? Pensi che io voglia incoraggiare a lasciarti andare? Io sto da solo chiuso in casa per tornare utile alla gente. Non passo i miei giorni in ozio: parte della notte la dedico agli
studi; non mi abbandono ma soccombo al sonno e tengo gli occhi, cadenti e affaticati dalla veglia, puntati sul lavoro.
Mi sono appartato non tanto dalla gente quanto dagli
affari, soprattutto quelli personali. Sono al servizio dei posteri. Scrivocose che possono tornare loro utili. Con le mie lettere mando loro avvertimenti salutari, come se fossero ricette di buone medicine. Ne ho sperimentato la bontà sulle mie ferite che, se non sono guarite del tutto, certo non sono peggiorate.
Indico agli altri la strada giusta che ho conosciuto tardi e dopo molto errare. Grido: "Evitate tutte le cose che piacciono alla massa e che provengono dal caso, fermatevi sospettosi anzi paurosi davanti alle cose che il caso vi mette davanti. Anche gli animali e i pesci si fanno ingannare dalll'esca. Li credete doni della fortuna? Sono
tranelli. Se volete una vita sicura, evitate il più possibile questi doni vischiosi, che ci tradiscono, poveri noi, anche facendoci illudere di tenerli in pugno, quando è vero il contrario.
Così andiamo alla
rovina: il destino di chi sale troppo in alto è quello di cadere. E poi quando la fortuna comincia a farci deviare è difficile resistere: o si riprende la strada diritta oppure si va a fondo prima o poi. La fortuna non ci fa solo deviare ma ci fa cadere e precipitare. Seguite questo saggio e sano stile divita: date al corpo quanto gli basta per essere in salute. Bisogna essere duri con il corpo altrimenti disubbidisce alla mente: il cibo deve saziare la fame, le bevande la sete, gli abiti devono proteggere dal freddo, la casa dal maltempo.
Non importa se sia di terra o di marmo variegato d'importazione, un tetto di paglia copre altrettanto bene di uno d'oro. Disprezzate tutte le cose fabbricate, con inutile lavoro, solo a scopo ornamentale o per la bellezza. Nulla è più degno di ammirazione dell'anima e quando l'anima è grande non c'è nulla che la superi. Dico queste cose a me stesso e ai posteri e, secondo te, così facendo non rendo un servizio maggiore che facendo l'avvocato difensore o il notaio o impegnandomi nella campagna elettorale per conto di qualche aspirante senatore? Dammi retta, fa di più chi sembra non faccia niente, sono quelli che di solito rendono servizio agli uomini e agli dei.
Ma devo chiudere questa lettera e come è consuetudine devo pagare il mio debito. Non è roba mia, ancora una volta rubo a Epicuro. Oggi ho letto questa sua frase: "Per essere davvero libero devi farti schiavo della filosofia". Chi serve la
filosofia non deve aspettare neanche un giorno per essere
libero, lo è subito. Forse ti chiederai perchè cito sempre Epicuro invece dei nostri scrittori. Ti risponderò con una domanda: questi pensieri appartengono a Epicuro oppure a tutti? Quante volte i poeti scrivono cose che sono già state dette dai filosofi, o che a loro comunque toccherebbe dire. Senza parlare delle tragedie e delle commedie alla romana, che sono una via di mezzo tra tragedia e commedia: quanti versi molto aggraziati recitano i guitti.
Quante battute di Publilio meriterebbero un posto nelle tragedie e non nelle farse. Ti ricorderò un suo solo verso sulla filosofia e sulle cose che abbiamo appena detto. Lui pensa che non dobbiamo ritenere nostre le cose che ci succedono per caso: "Non ci appartiene quello che accade secondo i notri desideri". Ma ricordi che tu l'hai detto meglio: "Non è tuo ciò che la fortuna ha fatto tuo". Ma voglio citare un'altra frase, forse più bella ancora: "Ciò che può essere dato, può anche essere tolto". Questo non conta come pagamento, ti restituisco una cosa tua".