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domenica 15 maggio 2016

Mettere a lettiera, mettere la cesta in capo, mettere l'asino a cavallo, mettici un toppino

Mettere a lettiera, mettere la cesta in capo, mettere l'asino a cavallo, mettici un toppino. Li avrete di sicuro sentiti, almeno una volta, altrimenti significa che non siete stati in Toscana.


METTERE A LETTIERA: lo stesso che sistemare per le feste, ridurre a mal partito

METTERE LA CESTA IN CAPO: modo di dire senese: incoraggiare un incontro fra due giovani che si amano, ma sono troppo timidi per farsi avanti. L'origine è campagnola; le contadine, per fare acoppiare le coniglie un po' retinenti, le mettono col maschio sotto una cesta capovolta, in modo che prima o poi, per amore o per forza, la prigionia, la vicinanza e la mancanza di distrazioni producono l'effetto sperato


METTERE L'ASINO A CAVALLO: modo di dire figurato molto efficace quando si vuole accoppiare il bello e il brutto e mettere una cosa di poco valore sopra una pregiata. le applicazioni, sempre sarcastiche, sono numerosissime; per esempio nel Giusti, che l'usa più volte: "Che volete che facessi, io, alla testa d'un battaglione? Era proprio un metter l'asino a cavallo"

METTICI UN TOPPINO: lo dicono a Livorno per commenare ironicamente una cosa inverosimile o per chiudere una discussione. "A me mi ci metti un toppino"



domenica 27 marzo 2016

HANNO ASSALTATO LA BANCA DI SANTA CRUZ

Ho una passione per i film western di Sergio Leone, li conosco a memoria, battuta per battuta. Non mi stanco mai di vederli e rivederli se ne ho il tempo e la possibilità. 
Ne adoro le colonne sonore, così abilmente composte da Ennio Morricone, adatte ad ogni scena, e profondamente coinvolgenti.

Quando ero ancora una giovane e spensierata ragazza, piena di energie e di fantasia, e andavo selvaggiamente a cavallo, solevo, dopo gli allenamenti in campo con quell'inquisitore del mio istruttore, andare con il mio Lifar a rilassarmi passeggiando in campagna, lungo sentieri collinari, attraverso vigne, campi di girasoli e prati lasciati a maggese. Era come lasciarsi tutto alle spalle, una meditazione naturale, fatta del ritmo dell'andatura del mio cavallo, di luce del sole, di odori, di suoni di campagna, di siepi con i fagiani. Sola con Lifar e i nostri pensieri.

Il suo mantello color rame brillava come oro rosso, e il rumore dei suoi zoccoli sulla terra battuta o sul muschio, un mantra rilassante.
In questo nostro errare senza meta, c'era spazio per il gioco, e per qualche sosta a favore di uno spuntino, a base di frutta staccata dagli alberi (staccare una mela da un albero senza scendere di sella e gustarla insieme al tuo cavallo non ha prezzo), oppure di un riposino sotto una quercia, io con la schiena attaccata al tronco dell'albero e Lifar vicino che assaggiava qualche margheritina.

I nostri giochi erano semplici, a volte approfittavo di una sua distrazione per nascondermi e chiamarlo da dietro un cespuglio, ridacchiando nel vederlo con le orecchie dritte che, seguendo la mia voce, lo portavano al mio nascondiglio. Altre volte gli raccontavo che avremmo potuto avventurarci per un Marlboro Country, e fingerci cacciatori di taglie. Queste storie lo emozionavano, e io facevo finta che i campi da noi attraversati fossero canyons e praterie.

Ma più di ogni altra cosa, mi accorsi che era una frase che lo eccitava tantissimo, e lo faceva galoppare nitrendo allegro. Fu per caso un giorno, mentre eravamo di passaggio su un campo appena mietuto, che gli raccontai appunto la trama del film "Per qualche dollaro in più" di Sergio Leone, e presa dalla foga pronunciai a voce molto alta, una celebre battuta del film: "Hanno assaltato la banca di Santa Cruuuuuzzzz!"

Fu come aver schioccato la lingua, Lifar partì al galoppo con un gran nitrito, e via.....a salvare la banca dai banditi, attraverso quel campo canyon, con il poncho sulle spalle e il cinturone a sinistra (sono mancina io), gli ultimi raggi del sole morente sul viso, e il mio rosso destriero librato nell'aria magica di quella favola.


sabato 1 agosto 2015

Il primo ruggito, Zoe parte dodicesima

Gli stivali rossi avevano socchiuso la porta, e Zoe cominciò a stare meglio. Continuò a cercare gli strumenti attraverso i quali poter fondere le sue due anime, gli stivali rossi da soli non bastavano. Erano stati il primo passo, aveva varcato la soglia, ma il cammino era lungo, la strada piena di insidie.

Quella parte leonina doveva venir fuori in maniera delicata, altrimenti avrebbe bruciato anche lei stessa. Sapeva di essere troppo silenziosa, ascoltava troppo e troppo poco esprimeva se stessa, il suo pensiero, le sue opinioni. Se ne era accorta improvvisamente un giorno, durante uno dei suoi interminabili allenamenti a cavallo.

Ricordava perfettamente  il suo istruttore, uomo poco incline alla pazienza, men che meno alla gentilezza, fanatico portavoce della disciplina militare da cui proveniva e di cui metteva in pratica le infinite sfumature. Era un gigante, alto e ben piazzato, dagli occhi penetranti, così penetranti che bucavano, dai quali Zoe si sentiva sempre trafitta. Il suo sguardo era vigile, attento e scrutatore, come quello di un agente del KGB, nulla gli sfuggiva, nemmeno la sfumatura di una smorfia di disappunto sul volto dei suoi allievi. Zoe ingoiava tutto, e ingoiare le urla e le critiche del suo istruttore sarebbe stata una ginnastica faticosissima anche per Giobbe.

Quel giorno Zoe era sfiancata, la lezione era incentrata sull'assetto perfetto in sella e si svolgeva senza l'aiuto delle staffe. I muscoli delle gambe di Zoe, che aveva ormai perso la cognizione del tempo, si contorcevano in crampi dolorosi, e le ginocchia che fino a quel momento erano rimaste saldamente aderenti ai quartieri della sella, come se i suoi piedi avessero poggiato sulle staffe, stavano cedendo.

Le arrivò dritto nelle orecchie un feroce richiamo: "Quelle maledette ginocchiaaaaa! Stai diritta, non vedi che stai andando avanti con le spalle? Svegliati bella addormentata!"
Zoe si morse le labbra fino a farsi male, mentre un fiotto di sangue le saliva alle tempie e il leone dentro di lei mostrava i canini;   cercò alla meglio di rimettersi diritta senza perdere il ritmo del trotto, ma i crampi si facevano sempre più dolorosi.

Ovviamente il suo istruttore se ne accorse, e la chiamò a centro campo. La fece smontare, tirò fuori di tasca quattro puntine e le attaccò (punta rivolta in alto naturalmente) alla paletta della sella con del nastro adesivo. Poi la fece rimontare e le disse: "Per punizione trotto sollevato senza staffe e ricordati, se ti siedi, ti ritroverai le puntine conficcate nella carne"
Zoe deglutì tutto il veleno che le era salito in bocca, non avrebbe mai abbassato la testa, mai! Piuttosto preferiva crepare ma dare un segno di cedimento, no!
Cominciò così a trottare stando sollevata, sostenendosi solo con la forza delle ginocchia, contraendo tutti muscoli del corpo, e non ve n'era uno che non le facesse male.
Il tempo che trascorse le parve infinito, il dolore era diffuso in tutto il corpo, e Zoe non piangeva semplicemente perché non ne aveva la forza, se avesse pianto le sarebbe venuto un infarto.
Improvvisamente un crampo le contorse tutta la coscia e Zoe si accasciò sulla sella; già, si accasciò, e le puntine le si conficcarono nella carne.

L'istruttore a quel punto disse: "Ti sta bene, non saprai mai stare in sella, vai a lavare i piatti!"
Fu a quel punto che Zoe non riuscì a trattenere il leone ruggente che le dilaniava le viscere, ma prima smontò di sella, dolorante, sanguinante, perché sapeva che apostrofare il proprio istruttore da cavallo le sarebbe costato essere appiedata per del tempo.
" Mi hai sfrantumato, brutto negriero, ma che t'hanno preso per il culo quando eri piccolo? Ma con chi ti credi di aver a che fare! I piatti forse dovresti lavarli tu che non conosci nemmeno le regole della buona educazione e la tua perfidia non conosce limiti!"

"Finalmente è uscita allo scoperto, la parte che mai si farà schiacciare, allora sei una guerriera, proprio come avevo sospettato ora sei proprio come il tuo cavallo. Ma quanto c'è voluto per farti uscire allo scoperto!" queste furono le parole dell'istruttore, che, da rigido militare, le voltò le spalle e aggiunse: "E ora dissella il tuo cavallo e preparalo per il box, ci vediamo domani".
Da quel giorno i capelli di Zoe diventarono del colore del mantello del suo cavallo: fulvi. E così il rosso diventò parte integrante della sua persona, e il leone interiore si rafforzò.
Ma non era finita, o meglio, era appena iniziata...



sabato 13 giugno 2015

La settimana equina, Zoe parte sesta

Zoe era rientrata da quella che lei  chiamava "la settimana equina", una settimana che aveva passato al Podere Manzinello, presso il suo istruttore di equitazione Claude e famiglia. Era stata una settimana davvero emozionante. La mente si era riposata,   il fisico aveva ceduto alla stanchezza, ma lei era tanto, tanto tempo che non si sentiva così viva e partecipe.

Era stata una settimana calda, molto calda, e lavorare al maneggio era stato sfiancante, la sera Zoe non vedeva l'ora di andare  a letto, addirittura la stanchezza le aveva fatto passare l'appetito....era tutto dire.

Eppure aveva respirato ogni istante, ogni attimo della giornata alla Ginestra e delle ore al podere.
Ogni mattina verso le cinque, una rondine entrava nella stanza di Zoe e roteava sulla sua testa, per darle il buongiorno e la buona levata, poi volando, si avvicinava al viso di Zoe che sdraiata a letto aveva aperto gli occhi al suo garrire, si guardavano un pochino, poi Zoe si alzava e la rondinella tornava ai suoi voli.

Al maneggio si lavorava duramente, ci si divideva fra i box da rifare, la preparazione dei pastoncini per i cavalli, le lezioni di equitazione, la gente che andava e veniva. Poi c'erano gli allenamenti, e vai a montare almeno cinque cavalli al giorno, ma che soddisfazione!
Fortuna che il suo istruttore, non le aveva lasciato il tempo di abituarsi nuovamente alla vita di casa, l'aveva chiamata nuovamente, perché aveva bisogno di una mano, e Zoe avrebbe potuto stare con tutta la famigliola equestre e i cani Duda, Gastone e Alfred.

Le spiaceva solo che i giorni sarebbero trascorsi velocemente e che sarebbe poi dovuta partire per assistere ad una laurea, e di sentire tutti quei discorsi pieni di vento non aveva voglia. La sua laurea le sembrava ormai passata da tanto e non le aveva dato tutta questa importanza.
Sapeva che avrebbe dovuto assistere a tutta una serie di recite con tanto di comparse e canovacci per la regia del papà della laureanda. Tutti quei discorsi pieni di vento, quella retorica che non portava a nulla, quel bla bla bla inutile che non aveva nulla di costruttivo. Sapeva inoltre che avrebbe dovuto discutere con F. i perché e i percome di quello che secondo F. era il suo comportamento indifferente e privo di sentimento, ma Zoe era certa di questo: stare con il suo cavallo non aveva prezzo, perché con lui si sentiva appagata, amata, protetta. Non aveva intenzione di stare  un giorno di più, con il caldo opprimente, ad aspettare chi? Zoe sapeva che dietro il mal celato sentimentalismo di F. e il suo falso spirito di sacrificio, faceva capolino una natura egoistica che pretendeva solamente di essere accontentata e servita in ogni suo capriccio.

Ma lei non era nata per abbassare la testa e a quel tipo di rapporto non si sarebbe piegata mai, se lei bastava a F., F. non bastava a lei, che aveva bisogno anche di altro, di momenti in cui voleva stare sola con se stessa, con le sue cose, con i suoi animali, senza che nessuno cercasse di entrare in quella sfera così intima e privata, a meno che non lo avesse voluto lei stessa.

Ma lui non lo capiva e lei andava in bestia, soprattutto quando lui pretendeva di mettersi dalla parte della ragione, e parlava ex chatedra sblaterando principi e argomenti di cui non sapeva nemmeno il significato. Lui non era capace di stare da solo con se stesso, forse perché non aveva niente su cui riflettere, o forse perché non aveva niente da dire a se stesso, o forse perché i neuroni del suo cervello erano in sciopero, ma che poteva farci Zoe? Più volte lo aveva invitato a riflettere sui suoi desideri, sui suoi obiettivi, sulle sue priorità, ma invano. Questa volta sarebbe stata più breve del solito, lo avrebbe invitato a studiare un po' di filosofia, così avrebbe messo in moto quella parte del cervello che è adibita al ragionamento e che giaceva nella sua testa completamente arrugginita e inutilizzata.

Così facendo Zoe aveva messo in moto il meccanismo che decretava l'inizio della fine di quel rapporto, avvizzito come un frutto secco, e lei non intendeva avvizzire con esso.  Ormai si avviava verso il mondo del lavoro, F. doveva ancora laurearsi e ancora si beava fra i corridoi della facoltà, accusandola di pensare solo a cercarsi un posto di lavoro. Zoe avrebbe pagato a caro prezzo l'essere coerente con se stessa e con i suoi principi, ma ancora non lo sapeva.


lunedì 7 gennaio 2013

4 GENNAIO 2009










Filo sottile legame delle nostre vite,                                                     
binomio,
gemelli siamesi,
nel cuore,
nell'anima,
nella mente,
nel corpo.
Mi hai aspettato quel freddo mattino,
eri lì, fermo, immobile,
guardavi lontano,
sguardo su un altro mondo mi parve.
Al suono della mia voce si mossero le orecchie,
trasalisti,
e io con te.
Mi guardasti, ma eri già lontano,
non avevi più equilibrio,
mi venisti incontro lo stesso,
corsi verso di te,
cadesti esausto ai miei piedi,
caddi in ginocchio,
presi la tua bella testa e
piansi.

martedì 30 ottobre 2012

Ricordi nelle gocce di pioggia

27/10/2012
Piove, il cielo sembra riversare su di noi la sua disperazione. Tutto assume le sfumature del grigio: le nuvole plumbee, l'acqua che cade, le strade, i palazzi, gli alberi. L'acqua che bagna la terra ha il suo caratteristico odore e all'improvviso ho chiuso gli occhi e ho pensato che in giornate come queste sono tre le cose che si possono fare: infilarti sotto le coperte con qualcuno e morire di coccole, farti una scorpacciata di film cult a "baco" sul divano; o liberare la mente. La mia è partita da sola ed è andata indietro nel tempo e nei ricordi proprio ad una giornata d'autunno come questa.
Nonostante il diluvio ero andata al maneggio dal mio cavallo (sperando di poter montare) , ma, data l'inclemenza del tempo, optai per regalare al mio rosso destriero una seduta di toilettatura personalizzata, scopo: totale rilassamento.

Lifar

Così mi infilai nel suo box, accolta da un sommesso e accogliente nitrito (mai musica è stata più gradita alle mie orecchie) e spiegai a Lifar le mie intenzioni. Cominciai dagli zoccoli naturalmente, pulendo accuratamente l'interno del fettone e assicurandomi che fosse morbido, i glomi e, passando alla parte esterna, spazzolai con energia fino alla corona dando poi la consueta mano di grasso. Accoccolandomi accanto alle sue gambe per eseguire al meglio la mansione, Lifar mi posò sulla testa il suo naso, respirandomi sui capelli e facendomi un lieve solletico con i peletti della barbozza (nemmeno un massaggio ayurvedico poteva rilassarmi tanto). Passai dunque ad una profonda strigliatura per togliere polvere e peli in eccesso, alla brusca per lisciare e al panno per lucidarlo e mi venne in mente che, fra le sue cose avevo lasciato dell'olio di arnica per massaggi (che ogni tanto usavo per me quando si presentava qualche contrattura muscolare) e decisi di fare un bel massaggio al mio focoso equino, partendo dal garrese lungo la colonna vertebrale fino alla groppa e alle reni. Fu efficace al massimo perchè Lifar fece un gran sospiro e chiuse gli occhi. 

Gli massaggiai dunque anche collo e gambe, soffermandomi sempre a controllare i tendini dello stinco e i nodelli. Con una spugna appena umida pulii delicatamente gli occhi e il naso e constatai che era giunto il momento di passare a coda e criniera. La coda di Lifar era color rame scuro con qualche crine bianco e nero, tutta ondulata e lunga fino a terra. Per strigarla meglio presi l'olio per neonati e la pettinai con il pettine a denti radi, ciocca per ciocca fino infondo: non aveva neppure un nodo.

Feci lo stesso con la criniera, mi ero sempre rifiutata di tagliarla più corta, a me piaceva lunga, ondulata e selvaggia. Il respiro regolare e profondo di Lifar che si godeva questo inaspettato regalo da SPA di lusso mi aveva calmato e addolcito (riusciva solo a lui), c'era solo il suo respiro, il mio respiro e le mie parole per lui, e il rumore della pioggia. Basta. Nient'altro.

Lifar guardava la pioggia cadere dalla finestra del box, e il suo sguardo, di solito così focoso, brillante, presente, sembrava guardare su un altro mondo. Ma quale? Glielo chiesi (io con Lifar parlavo sempre) e lui mi leccò il mento. Questa volta non mi rispose come faceva di solito e io per un attimo ebbi la sensazione che tutto stesse per finire, forse semplicemente perchè se qualcuno mi avesse chiesto se ero felice, non avrei potuto rispondere che sì, perchè non mi mancava nulla, avevo tutto quello che desideravo: Lifar, non esisteva altro.
E ora mio rosso destriero tu, galoppi da solo in verdi praterie di luce e io per poterti toccare ancora una volta, non posso fare altro che annusare ad occhi chiusi una ciocca della tua criniera che poggia delicatamente sullo scaffale più nascosto e protetto della mia camera.


lunedì 29 ottobre 2012

LIFAR

02/04/2009

La tua criniera, i miei capelli;
i tuoi occhi, il mio sorriso;
il tuo nitrito, la mia voce;
il tuo respiro, il battito del mio cuore;
i tuoi zoccoli, le mie gambe;
il tuo cuore, tutta la mia anima




domenica 28 ottobre 2012

Lifar

Lifar ha condiviso con me gli eventi e gli attimi più importanti della mia vita. Ci siamo "innamorati" subito, al primo incontro, divisi solo dalla porta scorrevole del suo box.
Oltre ad incarnare la mia più grande passione, quella per l'equitazione, Lifar è l'incarnazione del mio profondo. Assurdo per qualcuno che possa crearsi una simbiosi tanto stretta fra un cavallo e la sua padrona, ma non è vero.

Lifar e me un solo respiro, le stesse intuizioni,  stessi gusti,  conoscenza senza bisogno di parole, amore per amore,  binomio perfetto in gara. Liberi nel cuore, intolleranti per vocazione, io faccio le boccacce, lui schiaccia le orecchie sulla nuca, io mi faccio prendere dalla stizza, lui spalanca minacciosamente la bocca come per mordere (e a volte lo fa, dipende chi gli capita a tiro).

Terrore di tutte le scuderie, quando entravo in campo per allenarmi o per gareggiare mi si è sempre fatto il vuoto intorno ("arriva lo stallone, arriva lo stallone!!!!"); perfetto e professorino se lo montavo io, bisbetico con i miei colleghi sportivi. Grande amante del panettone e dei biscottini, è golosissimo di mele e pellet.
Ora siamo in pensione, lui è sferrato e abita nel paddock sotto l'ufficio, io per ora non gareggio più e cerco di vivere con lui la più totale immersione nella natura, a parte le sue fughe d'amore con Nerina durante il lampo di una notte d'oriente.
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