Simply

Visualizzazione post con etichetta miseria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta miseria. Mostra tutti i post

domenica 21 febbraio 2016

Andare a gatta, andare alle ballodole | Parole e verbi in disuso

ANDARE A GATTA: andare in cerca di donne di malaffare. Anche andare dalla fidanzata presupponendo un certo petting.

ANDARE ALLE BALLODOLE: è uno dei tanti modi fiorentini per significare morire e, per traslato, ridursi in miseria. Le Ballòdole era una località presso Firenze vicino al cimitero di Trespiano, che è il più grande della città; è probabile che in antico il cimitero fosse proprio alle Ballòdole, perchè il detto è vecchissimo. Il nome deriverebbe da Valle delle Lodole: ormai a ricordare la località è rimasta solo la Via delle Ballòdole. In genere i toscani, per superstizione, per sdrammatizzare e anche per un innato amore dissacratorio, preferiscono usare il verbo  morire il meno possibile. Sono stati contati più di duecento modi popolari per significare morire senza mai dirlo. Eccone alcuni  fra i più curiosi e frequenti:
Andare a babborivéggioli cioè a rivedere il babbo morto
Andare a Patrasso cioè ad patres suos
Andare a Trespiano, il luogo, appunto, dove si trova il cimitero di Firenze 
Andare da Boscarìno, la trattoria di Boscarìno era vicina al cimitero di Firenze
Andà a pallétte, è usato nel Pisano


 

domenica 8 novembre 2015

Ammazza il tordo, a miccino, ammoscarsi, andare a gallina

AMMAZZA IL TORDO: si dice di una persona con l'alito cattivo. Iperbole tanto più curiosa in quanto il tordo passa per uno degli uccelli più sani e robusti ("grasso come un tordo")

AMMICCINO o A MICCìNO: con economia. "Fare a miccìno". Deriva da mica, briciola, ed è usato soprattutto a Firenze nel linguaggio familiare

AMMOSCARSI: significa insospettirsi, accorgersi di qualcosa. E' una espressione furbesca che sembra richiamarsi a chi non vuole mosche al naso. Si dice anche AMMASCàSSI, specialmente a Livorno

ANDARE A GALLINA: ridursi in miseria; andare in rovina. Anche morire



domenica 13 settembre 2015

Il Merovingio

Caro Merovingio, 
sento la necessità di scriverti per dirti ciò che penso di te. Sei una di quelle persone che può farmi solo pena per la povertà e la miseria della tua anima (anche se ho seri dubbi sul fatto che tu ne abbia una). Il tuo unico scopo, in questa arida vita che conduci, è quello di mortificare il prossimo con cui hai a che fare, sottolineandone i difetti (difetti per te, naturalmente, e per la tua ottusa visione del mondo), offendendone l'intelligenza, ergendoti a giudice del suo modo di essere, criticandone l'aspetto e il comportamento, e provando quel sottile e crudele piacere nel metterlo in cattiva luce davanti agli altri. 

Ti esprimi urlando, il solo ed unico modo che conosci (retaggio suppongo di un'infanzia piena di complessi, sensi di inferiorità, e prese in giro), gesticolando in modo da far pensare agli altri che stai per prenderli a schiaffi, sbatacchiando porte, gettando a terra oggettistica varia (l'unica ragione che esiste è la tua, anche quando hai torto marcio). Elogi te stesso e le tue imprese (per altro di ordinaria amministrazione, niente di eroico, perchè più volte ti sei dimostrato un vigliacco difronte a chi dimostrava di avere potere) e sei convinto delle tue doti di leadership, ma leadership non significa sbatacchiare i pugni sul tavolo. Definisci amici persone che ti sfruttano solo per scopi personali, e che poi se ne vanno in giro parlando della tua taccagneria. Nessuno ti stima, nessuno ti sopporta. 

Adori sfruttare gli altri, e se puoi cerchi di far sbrigare loro le più basse mansioni. Ma ti sei  guardato bene? Il tuo aspetto non è altro che l'immagine di ciò che sei dentro,  e ti assicuro, dentro sei davvero brutto, sporco e puzzolente. Scrivi e parli facendo dei grossolani errori grammaticali e sintattici, vorresti fare citazioni in latino e non ne dici una giusta, per non parlare delle tue (inconsapevoli?) manifestazioni di misoginia, ma tu pretenderesti anche di essere circondato da celestiali  creature pronte ad adorarti (adorarti per cosa? per la tua taccagneria? per il disprezzo che elargisci con generosità? per i tuoi modi che nulla hanno a che fare con la galanteria?).

Ma qualche domanda te la sei mai fatta? Ti sei chiesto perchè sei sempre solo come un cane e perchè mai nessuno richiede la tua compagnia?  Ah scusa, sei troppo preso da te stesso, dal convincerti che sei una persona forte, quando invece non sei altro che un'ameba insicura e debole, che vive vampireggiando la vita altrui perchè una tua tu non la possiedi. 

Anche io sono fra coloro che hai umiliato, offeso, tiranneggiato, ma a differenza di tutti gli altri io la mia piccola vittoria su di te me la sono presa, con una semplice arma: l'indifferenza a tutto ciò che rappresenti, costringendomi ad un autocontrollo fuori dal comune, lavorando su me stessa pagando un prezzo a te ignoto, ma mandando la tua mente in pezzi. Attento Merovingio, la vita poi, quando meno te lo aspetti, ti presenta il conto.


sabato 23 agosto 2014

Metti da parte qualcosa | Seneca, Lettere a Lucilio | Varie

Ecco un'altra perla di saggezza di Lucio Anneo Seneca. Quale sia la vera ricchezza, e non si tratta di beni materiali, se non quelli sufficienti al vivere quotidiano, bensì ricchezza d'animo e sua tranquillità. Sapersi accontentare, saper stare con se stessi, conservare nella propria mente la ricchezza che ci proviene dalle nostre letture. Una saggezza la sua che è universalmente valida per tutti, per tutti i tempi, da cui prendere esempio per far sì che la nostra vita non si fondi su meri principi materialistici.

"Caro Lucilio,
mi scrivi e mi riferiscono cose che mi fanno ben sperare per te: non sei irrequieto e non ti agiti in continui spostamenti. Chi si agita sempre vuol dire che è malato nell'anima: per me il primo segno di un temperamento equilibrato è la capacità distare tranquilli in compagnia di se stessi. Però stai attento perchè anche leggere molti scrittori e molti libri di genere diverso può essere segno di volubilità. Bisogna approfondire gli scrittori che valgono davvero e nutrirsi di loro, se vuoi ottenerne qualcosa che ti rimanga.

Chi è dovunque, finisce per non essere da nessuna parte. Chi passa la vita a girare senza mai fermarsi conosce molte persone ma non avrà un vero amico. La stessa cosa succede a chi sfoglia tanti libri ma non si sofferma mai su nessuno. Non giova e non si assimila il cibo che viene vomitato subito dopo averlo ingoiato. Niente impedisce la guarigione quanto cambiare continuamente medicina: non si cicatrizza la ferita quando si cambia continuamente la pomata, non cresce bene l'albero che viene continuamente trapiantato.

Niente può dare giovamento se non gli si concede il tempo necessario perchè abbia effetto. Troppi libri sono inutili: se non hai tempo per leggere tutti quelli che puoi avere, tieni solo quelli che puoi leggere. Ma a me piace sfogliare ora questo ora quel libro, dirai. Ora è proprio di uno stomaco malato degustare tanti cibi, e così essi invece di far bene fanno male. Leggi sempre, allora, buoni libri, e se a volte ti piacerà di conoscerne di nuovi, non dimenticarti di quelli vecchi.

Ogni giorno metti da parte qualcosa che ti serva contro la miseria e contro la morte e dei tanti libri che leggi conserva una frase o un pensiero sul quale riflettere ogni giorno. Anche io faccio così, di tante cose che leggo salvo sempre qualcosa. Oggi ho fatto un incursione in un accampamento nemico, non da disertore, ma da esploratore, era l'accampamento di Epicuro e sono tornato con questo pensiero: "La povertà accettata con gioia è buona cosa".

Ma se l'accetti con gioia non è più povertà. Non è povero chi ha poco, ma chi desidera avere di più. Che cosa importa quanto uno ha in cassaforte o nel granaio, quanti capi di bestiame possieda e quanti soldi da prestare a usura, se non riesce a staccare gli occhi dalle altrui proprietà facendo sempre i conti non di quello che ha ma di quello che vorrebbe avere? Mi domandi quale sia la misura giusta della ricchezza? Primo avere quanto è necessario, poi quanto è sufficiente".


lunedì 7 luglio 2014

Andare alle murate, andare a Montedomini, andare a San Salvi | Parole e verbi in disuso


ANDARE  ALLE MURATE: a Firenze è sinonimo di andare in galera. Il nome di Murate venne dato a un antico convento di monache, detto anche Convento delle recluse, che il popolo chiamave appunto "murate" per il loro stato di segregazione. Nel 1835 il monastero fu trasformato in carcere e quantunque si fosse prima provveduto a smurare le suore il nome gli rimase senza neppure cambiare genere, nonostante che i detenuti siano soltanto uomini.

ANDARE A MONTEDòMINI: a Firenze è sinonimo di finire in miseria. Monte Domini era infatti un ospizio per gli indigenti: prese questo nome dalle clarisse che fino al 1813 occuparono quello stesso edificio dove erano state trasferite nel 1528 dal convento, appunto, di MOnte Domini nella periferia a nord della città.

ANDARE A SAN SALVI: a Firenze è sinonimo di andare al manicomio, impazzire anche in senso metaforico. L'ospedale psichiatrico si trovava infatti presso l'antica chiesetta di San Salvi, un tempo fuori dalle mura urbane. Con lo stesso significato si disse anche "andare ai tetti rossi" poichè il complesso spiccava, in mezzo al verde della campagna.

Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.