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mercoledì 7 ottobre 2015

Argenteria, consigli casalinghi

Con un minimo di attenzione, potrete proteggere la vostra argenteria da graffi, ammaccature e patina scura. Siate perticolarmente attenti agli oggetti placcati d'argento, perchè il rivestimento si deteriora facilmente.


  • Lavate sempre l'argenteria e gli oggetti in silver plated a mano con un sapone delicato, mai in lavastoviglie. Poi asciugateli con una pelle di daino oppure con un panno morbido.

  • Non lasciate le posate d'argento sporche di cibo per tutta la notte. Se non potete lavarle subito, almeno sciacquatele per eliminare i residui. Potete anche lasciarle immerse in acqua pulita durante la notte, ma senza aggiungere detersivo.

  • Se non avete gli speciali sacchetti di stoffa trattata o le apposite scatole foderate per riporre l'argenteria, asciugate bene ogni pezzo e poi avvolgetelo nella carta velina per rallentare l'ossidazione.

  • Evitate il contratto diretto della gomma con l'argento perchè provoca ossidazione.
  • Evitate il contatto prolungato dell'argenteria con uova, succhi di frutta, olive, profumo, acqua di colonia, condimento per l'insalata, sale, zolfo, o aceto: causano macchie e corrodono il metallo.

  • Pulite i coperchi d'argento delle saliere molto di frequente per prevenire la corrosione. Per asportare le tracce di corrosione causate dal sale, lasciate i coperchi a bagno in una soluzione di aceto caldo e sale per 5 minuti, poi lavate e asciugate.

  • Se usate vasi d'argento per i fiori recisi, cambiate spesso l'acqua per impedire la formazione di un anello di depositi minerali. Gettate i fiori non appena appassiscono.

  • Se mettete la frutta in un cestino d'argento, proteggetelo con carta o stoffa.

  • E' finito il liquido speciale per l'argenteria? Ecco alcune sostituzioni casalinghe: una pasta d'acqua e amido di granturco; bicarbonato di sodio; dentifricio. Lucidate l'argenteria con movimenti rapidi in su e in giù, non di traverso nè circolari. Per angolini difficili, usate un pennellino morbido.

  • Usate uno scovolino da pipa intinto nel liquido per pulire l'argenteria e passatelo tra i rebbi delle forchette. Oppure bagnate una cordicella e fatela passare più volte.  


sabato 22 marzo 2014

L'INCUBO DELLA SCUOLA MATERNA

A scuola sono sempre andata volentieri, alle elementari, alle medie, al liceo e infine all'università. Mai avuto problemi di socializzazione con i miei compagni, mi sono inserita con facilità in tutti i contesti sociali. 
Ma non potrò dimentichare mai il periodo della scuola materna, antecedente l'inizio della scuola dell'obbligo. Avevo all'incirca quattro anni e come tutti i bambini di quell'età, fui iscritta. La scuola non distava molto da casa, anzi, al tempo la sua sede, era tranquillamente visibile dal balcone di casa mia. In quella scuola però, io proprio non volevo andare, non mi piaceva affatto, il solo pensiero di dovervi passare delle ore mi ripugnava. Non ero una bambinetta capricciosa, non mi lamentavo e non piangevo mai, mi limitavo a mostrare il mio disagio con l'epressione seria del mio volto. Ciò naturalmente non portò a cambiamento alcuno, e ogni santo giorno venivo imbarcata sul giallo scuolabus che passava davanti a casa.  I miei coetanei vociavano e si muovevano, comportamento questo che mi infastidiva notevolmente: le loro assordanti voci e tutti quei movimenti incosulti mi davano ai nervi (io, naturalmente, restavo immobile al mio posto per tutta la durata del tragitto). 
L'arrivo alla scuola era altrettanto traumatico: tutti che si precipitavano fuori dallo scuolabus spinteggiandosi a vicenda, era al di là della mia comprensione. Per me era inconcepibile un tale caos di teste, gambe e braccia. Lasciavo che uscissero tutti, e in ultimo, mi avviavo cauta fuori, dove le maestre ci attendevano all'ingresso. I nostri cappottini venivano sistemati in fila sull'attaccapanni, quindi entravamo nelle classi. Mi guardavo intorno e osservavo tutti quei bambini, genere al quale la mia mente sentiva di non appartenere,  presi a rovesciare sui banchi matite e colori, a giocare con il pongo o il das, a spinteggiarsi, mentre io mi sentivo sempre più estranea a quel contesto. Non riuscivo a capire come potessero  interessare loro, quelle inutili attività ricreative: il mio mondo era quello degli adulti, calmo, educato, intellettivamente stimolante; nella mia mente un unico pensiero: tornare a casa, stare in silenzio, sfogliare i miei libri, giocare per mio conto, e conversare con i grandi. Persino il linguaggio di quei marmocchi spesso mi era totalmente incomprensibile, non sapevano usare le parole nè tantomeno pronunciarle bene, ma come cavolo parlavano (se parlavano)?
Il momento del pranzo era l'apoteosi della disperazione: odiavo gli odori di quella cucina e il refettorio mi dava la nausea, mentre gli altri non se ne curavano. Ci facevano sedere tutti accanto  e poi ci portavano i piatti con le pietanze: avevo il senso del vomito, e di solito non toccavo nulla, il cibo rimaneva nel mio piatto, mentre  i miei occhi assistevano al bestiale spettacolo di tutti quei pupi che affondavano le loro mani nei piatti, portandosi il cibo alla bocca con le mani e spargendo il resto su se stessi o sugli altri, ignorando le posate. In quei momenti desideravo solo scomparire, se mi avessero sparato ne sarei stata felice. Ma perchè dovevo stare lì? A che scopo? 
Alla fine le assistenti della mensa ci portavano in classe, dove le maestre avevano preparato delle piccole sedie a sdraio sulle quali ci facevano sedere e ci incitavano a dormire. Ovviamente l'unica ad avere gli occhi spalancati come fanali ero solo io, il resto della classe ronfava beatamente. Io non potevo chiudere occhio, ma si poteva star tanto rilassati e tranquilli? Il mio istinto di conservazione era come se mi dicesse che dovevo tenere tutto sotto controllo; mi sembrava strano che gli altri si assopissero, io non dormivo mai, nemmeno a casa, ero capace di stare sveglia anche per giorni. 
L'unica consolazione che avevo era che dopo quell'inutile riposino, si tornava finalmente a casa, dove avrei ritrovato il silenzio, la tranquillità, la mia amata famiglia e la mia solitudine meditativa. Tutti quei bambini erano come estranei per me, erano semplicemente altri,  guidati dai loro istinti, privi di logica e di ragionamento, non erano la mia realtà e non erano il mio mondo. Fortuna che sono cominciate le scuole elementari.


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