Simply

Visualizzazione post con etichetta silenzio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta silenzio. Mostra tutti i post

domenica 26 giugno 2016

Non siate come Don Chisciotte

Ricordate il nome di Don Chisciotte, l'affascinante e patetico eroe del romanzo di Miguel de Cervantes. Gentiluomo amabile e inoffensivo, Don Chisciotte aveva letto troppe avventure di focosi cavalieri armati. Immaginò di essere uno di essi. Vestito d'una armatura arrugginita, a cavallo di un magro ronzino, partì alla ricerca dell'avventura. Povero don Chisciotte! Attaccò un mulino a vento credendolo un gigante. Caricò un gregge di montoni, immaginando che fosse un'armata nemica. Egli era tanto sincero che la sua confusione mentale gli permetteva l'errore. In realtà non poteva vedere le cose tali e quali erano realmente. Il peggio era che non sapeva chi era in realtà [Immagine mentale 52]


Molti uomini sono  nella stessa infelice situazione. Malgrado la fretta di avventurarsi alla conquista del mondo, tutto va di traverso. Non riescono a vederne le cause. Non è il mondo che è cattivo ma la visione che noi ne abbiamo. E quando la nostra visione è negativa, anche le emozioni lo sono.

Noi temiamo altre persone perché pensiamo a torto che esse abbiano il potere di nuocerci. Temiamo il silenzio ed allora continuiamo a parlare, sperando di sotterrare questa paura del silenzio. Non ci accorgiamo che questa paura si può sconfiggere guardandola in faccia. Don Chisciotte non sapeva chi era. Nella paura del suo nulla inventò quadri immaginari.

Nell'immaginazione era un prode cavaliere, un grande amante e un valente avventuriero. Ma quando queste figure immaginarie si urtarono con la realtà, cadde dal suo cavallo. Allora come scoprire chi siamo? Non cerchiamo di scoprire chi siamo realmente. Cerchiamo di sapere cosa non siamo. Non siamo i ritratti immaginari di noi stessi. Quando sapremo cosa non siamo, sapremo anche chi siamo. E' miracoloso. Ci sentiamo completamente diversi. In altri termini, ci sentiremo bene.


sabato 20 febbraio 2016

Lungo il canaletto

Cammino lungo l'argine di un canaletto per l'irrigazione, dove l'erba ormai trascolora nei colori dell'autunno. E' ancora morbida. I miei passi sono attutiti e intorno c'è un piacevole e musicale silenzio, la compagnia che preferisco. Accanto a me trotterella Sissy, con la sua pettorina rossa, tutta presa dagli odori che si spandono intorno ai vigneti, dove i grappoli dell'uva matura pendono pesanti fra i pampini dalle sgargianti sfumature.


Un passo dietro l'altro senza pensieri, forse è il mio modo di meditare, di staccare la mente, di fermare l'impertinente e sfacciato flusso di pensieri, parole, immagini che turbinano come una tempesta confusa nella mia mente sempre sull'attenti, come un soldatino ben addestrato agli inganni del mondo. Ma qui no, posso lasciarmi andare, calare il ponte levatoio fortificato con cui blindo l'ipersensibilità che mi appartiene, radice troppo forte che affonda le sue braccia dentro la mia anima.

Getto via questa pesante armatura, mi va bene solo ciò che mi circonda: l'erba del canaletto, le occhiatine di Sissy, in perfetta armonia con se stessa, perchè nulla chiede se non quello che ha, i vigneti sobri e gli alberi da frutto. In questo camminare senza pensiero alcuno, libero il mio essere e giungo in una raduretta solinga. Sorrido,  perchè la mia introversione mi ringrazia di questo isolamento che concedo a me stessa da tutta la confusione umana che non sopporto da sempre.

C'è un bellissimo albero di nocciolo, l'albero di Cenerentola, dei rabdomanti, simbolo di saggezza e della Luna. E così come per caso gli canterello dei versi:

"Presto alberello scuotiti al vento,
in fretta ricoprimi d'oro e d'argento"

Dette queste parole trovo una bella nocciola fuori stagione, che metto felice in tasca, ringraziando il nocciolo per aver udito le mie parole. Poco più avanti incontro l'imponente noce, dal secolare tronco, simbolo delle divinità femminili, legato a storie di streghe e simbolo di rigenerazione. L'ho ammirato in tutto il suo splendore e anche a lui ho canticchiato una canzoncina, per ricordargli i fasti medioevali di cui godeva:

"Sotto l'acqua e sotto il vento,
vicino al noce di Benevento"

Ai suoi piedi c'erano infatti delle noci ancora intatte nel verde mallo che le racchiudeva, e che ho accettato volentieri come segno di duratura amicizia. Sissy invece, aveva trovato alcune giuggiole. Nel misticismo magico in cui ero immersa sapevo che dovevo tornare sui miei passi, pur a malincuore e così sempre rivolgendomi al mio amico noce, ho canticchiato la canzoncina al contrario:

"Sopra l'acqua e sopra il vento
lontan dal noce di Benevento"

E passo passo, con la mia soddisfatta introversione, senza pensieri e il ponte levatoio ancora calato, accompagnata dal ritmico trotterellio di Sissy son tornata lungo il canaletto, le vigne e i frutteti là nella casa con il giardino di dove non so.




mercoledì 6 gennaio 2016

Riflessione post Capodanno

Ed è passato anche il Capodanno, e milioni di persone guidate dalla mania collettiva dei festeggiamenti si sono riversate nelle piazze, nei locali, nelle discoteche, in nome di una frenesia improntata al divertimento per forza. Guidata dalla mia secolare introversione mi chiedo cosa vada a cercare la gente in questo stordirsi al freddo, sotto la pioggia o la neve, stipati gli uni accanto agli altri, immersi nei frastuoni prodotti dalla musica ad alto volume, le voci, le urla che si mescolano insieme in uno stonato mix stridente.


Come sempre si contano gli incidenti dovuti agli incauti usi di giochi pirotecnici mal gestiti o acquistati nel posto sbagliato, o fatti in casa, danni vari per vandalismo di ubriachi festeggiatori che si sono aggirati insieme al gelo nelle strade delle città, qualche rissa scoppiata a causa di troppa eccitazione degli animi e potrei continuare. Io confermo la mia controtendenza ai soliti e triti costumi della società, imposti da convenzioni accettate senza nemmeno porsi una domanda: cerco la pace e il silenzio e in pace e silenzio me ne sono stata, lasciando che i rumori di questa notte si perdessero lontano dalla mia stanza.

Sono una che rimane volentieri con se stessa, al contrario di chi invece ama far gruppo e chiasso forse perchè star soli con se stessi li induce ad ascoltare un vuoto che non riescono a colmare, perchè il valore predominante continua ad essere un mero materialismo che non lascia spazio a pensieri diversi da ciò che ha un prezzo. Mi chiedo poi cosa ci sia da festeggiare, credo che il nuovo anno dovrebbe essere accolto in altro modo, in particolare questo. Non mi pare che vi siano grandi cose a cui brindare se non alla speranza che questo 2016 possa essere foriero di cambiamenti concreti.

Sinceramente è questo che mi sono soffermata a pensare nella mia pace e nel mio silenzio, questa scorsa notte, accompagnata da una fetta del panettone che ho fatto e da un calice di spumante, fra le mura di una casa che posso definire tale perchè piena dell'amore della mia famiglia a cui devo quello che sono e che ringrazio ancora per avermi dato i valori che alimentano la mia esistenza e il mio pensiero scevro da ogni consumistica dipendenza.

domenica 13 dicembre 2015

Il Silenzio della Neve

Sono uscita dal mio sonno aprendo gli occhi in un irreale silenzio, e dagli scuri una luce fra il grigio e l'indaco danzava sul piumone. Nessun tipo di suono, nemmeno il canto degli uccellini sui rami ancora spogli del pruno rosso, che, eleganti e sottili, quasi toccano il davanzale della finestra. 

Dalla porta accostata si affaccia il musetto curioso della bambina pelosa che salta sul letto e mi tocca delicatamente con la zampa. Ci coccoliamo un po', un paio di grattini e decido di trascinarmi fuori dal letto cercando di trovare il modo di srotolarmi dal piumone in cui mi sonno avvolta come un salame. Uff, che fatica! Apro gli scuri, richiamata dal suono del silenzio e, a falde larghe come margherite, cade lenta la neve. Il giardino è bianco,  i rami del melo si son vestiti a  festa,  e continuano ad adornarsi di cristalli di ghiaccio, algoritmi in perfetto accordo con il silenzio e il leggero gelido vento che li fa ballare sospesi fra terra e cielo.

Brividini mi attraversano la schiena, al pensiero di mettere il naso fuori, ma non posso resistere e dopo una corroborante colazione, mi trasformo in una sorta di omino Michelin: scarponcini da montagna, scaldamuscoli, giaccone imbottito, cappello e cappuccio. Ora posso andare a sondare l'esterno. 

La neve continua a cadere e il mio impatto con l'aria fa diventare la punta  del mio naso rossa e fredda. Sarà meglio camminare ed esplorare i dintorni, nulla è come sembra quando la neve ricopre tutto, nemmeno San Filippo. Nessun segno di vita, nessun rumore. I frutteti e le vigne dormono in un letargo antico e i miei passi sul manto bianco producono un buffo cigolìo, mentre alle mie spalle lascio una lunga scia di orme tutte uguali, la strada da seguire per il ritorno. 

Ai bordi della via, qualche verde foglia ancora fa capolino, resa traslucida dal ghiaccio che l'ha avvolta e ha scattato un'istantanea ai fiori di campo chiusi nella rigida trasparenza del gelo, che come l'ambra, ne ha immortalato un particolare istante. Sento solo il mio respiro e sono l'unico essere colorato nei dintorni, colorato ancora per poco, perchè i fiocchi ballerini si stanno accumulando sul giaccone uniformandomi all'irreale paesaggio, e con ragione, perchè in effetti in tutta quella candida purezza ci stono solo io.


mercoledì 9 settembre 2015

Cipresso, olio essenziale

Nome botanico: Cupressus sempervirens
Famiglia: Conifere
Provenienza: bacino del Mediterraneo
Estrazione: dai frutti
Profumo: balsamico, dolce
Azione energetica: yin
Pianeta governatore: Saturno, Plutone
Proprietà: vasocostrittore,antispastico, deodorante, astringente, antisudorifero, diuretico, epatico, riequilibratore, antireumatico
Principali applicazioni: edemi, insufficienza circolatoria, emorroidi, cellulite, ipersudorazione, seborrea, reumatismi, squilibri ovarici, tensione nervosa, bronchite, tosse


Per gli antichi il cipresso era considerato un albero sacro, il suo legno profumato era ritenuto incorruttibile; pianta magica, assolveva a una doppia funzione: custode di vita, sacro a Zeus, a Venere e ad Apollo, ma anche pianta sacra a Plutone, dio del mondo sotterraneo dell'Ade, pertanto simbolo di vita e di morte. Con il suo protendersi verso il cielo e lo sviluppo prevalentemente ascensionale, rappresenta la tensione spirituale, è la pianta del silenzio, del raccoglimento e la si ritrova nei chiostri, nei luoghi di preghiera, presso i cimiteri, come simbolo di immortalità.

Ma il cipresso è tutt'altro che una pianta che rattrista: i medici antichi consigliavano a coloro che erano ammalati nell'anima o nel corpo, di passeggiare e di sostare vicino ai cipressi, toccandoli e accarezzandone la chioma, per liberarsi delle proprie angosce e per sopportare meglio i dolori della vita. Il cipresso aiuta l'uomo a riprendere il contatto con se stesso, invita alla calma e alla riflessione e fa buona guardia alla salute. Albero amico dell'uomo, si pensava potesse "dialogare" e trasmettere la propria forza alle persone provate dalla vita e in cerca di serenità. Il suo profumo eleva lo spirito: le porte delle basiliche erano costruite in cipresso.

Come tutte le piante sotto l'influenza di Saturno, limite di demarcazione tra l'immateriale e il materiale, il cipresso ha un potere profondo, di coagulazione, di purificazione e di trasformazione che agisce anche sulla psiche, a un livello superiore di coscienza. Dal punto di vista delle proprietà, l'essenza di cipresso ha un forte potere emostatico e astringente che si esplica bene nei disturbi della circolazione venosa quali varici, emorroidi, mestruazioni abbondanti. In questi casi sarà utile utilizzarne qualche goccia unita a olio di germe di grano o a una crema lenitiva alla calendula o in una crema da massaggio per la cellulite. Significativa è la somiglianza tra i coni del cipresso e le ovaie (la "segnatura" degli antichi, cioè la somiglianza di una pianta con specifici organi del corpo umano dava una preziosa indicazione per la sua azione terapeutica su quella parte a cui somigliava).

In effetti è dimostrata l'azione di questa essenza nei disturbi mestruali specie con mestruazioni abbondanti e dolorose e nei disturbi della menopausa. Per la sua azione astringente è indicato anche nell'enuresi notturna dei bambini, applicandone qualche goccia per un lieve massaggio a livello della vescica, nella parte bassa dell'addome. Qualche goccia sul cuscino calma la tosse spasmodica, per fumigazioni è indicata nella bronchite. Nell'eccesso di sudorazione utilizzarla nell'acqua del bagno o per maniluvi e pediluvi. Per il suo potere antiparassitario può essere applicata anche sul pelo di animali domestici. L'essenza di cipresso è molto potente e va usata in piccole quantità.


domenica 28 giugno 2015

Psicopittografia, cercare di essere sempre diversi

Facciamo dunque un esempio. Se il nostro problema riguarda il nostro modo di esprimerci, se siamo imbarazzati, balbettiamo, diciamo cose insignificanti, ci accorgiamo di non saper parlare con sicurezza o abbiamo la sensazione di dire delle sciocchezze davanti al nostro datore di lavoro o nei nostri rapporti con gli altri, come possiamo trovare più sicurezza?

Il primo passo è non essere troppo sottili nella discussione, non cercare di essre buoni oratori, poichè finchè la mente resterà a questo livello di ansia ci esprimeremo sempre con imbarazzo. Una mente ansiosa esprime parole ansiose. E' meglio occuparsi del nostro stato ansioso piuttosto che del proprio modo di pensare. Non anticipiamo le scene verbali, non cerchiamo di essere abili. Agiamo in maniera differente, non cerchiamo per forza di fare buona impressione. Se le parole ci vengono spontaneamente parliamo, altrimento stiamo zitti. Il silenzio nella conversazione non deve far paura. 

Rifiutando l'influsso del nostro Io ansioso, noi denunciamo la sua azione su di noi. Lo sfidiamo. E' l'inizio del cambiamento e la fiducia in noi stessi crescerà gradualmente.
Non si deve cercare di essere migliori, bisogna essere diversi.


mercoledì 25 giugno 2014

LA CASCATA DI SCINTILLE

Il mare, per averlo a me basta solo attraversare la strada.  Il mare devo viverlo in solitudine, quando la spiaggia è deserta e lo specchio dell'acqua riempe in toto il mio sguardo.

E' all'alba che vivo il mare, in quel silenzio in cui solo è possibile sentire il lieve borbottìo delle onde, e l'acqua è uno specchio calmo e placido la cui trasparenza mi trasporta al regno delle Nereidi.

Qualche giorno fa sono andata prestissimo al mare.
Ho adagiato sui gradini sdentati di una "baracca" i miei effetti personali, e ho lasciato che l'acqua mi accogliesse per la mia consueta passeggiata. Cammino sempre con l'acqua che mi arriva alla vita, sono passi lenti e costanti, ritmici direi, una danza dei miei piedi sul fondo del mare, che osservo dallo specchio trasparente che mi avvolge.


Non penso, sono solo assorta nella contemplazione di qualche guizzo di pesciolini rivieraschi, delle morbide ondulazioni del fondale sabbioso, di qualche tondo movimento dell'acqua e della metà del mio corpo lievemente distorto da quel meraviglioso specchio liquido.

Rabbrividisco un po' alle correnti fredde che si alternano a quelle tiepide e che ogni tanto mi fanno camminare involontariamente in punta di piedi, ma neanche me ne accorgo se non a tratti, tanto ho svuotato la mente in quel paradiso silenzioso dove l'unico essere umano sono io. Tutto tace, tutto è fermo.

Un guizzo di luci improvviso attira la mia attenzione, non un riflesso del sole sulla superficie dell'acqua,  riflessi caldi, ma una luce più fredda, più accecante. Mi volto, e accanto a me una cascata di scintille, come di diamanti, che a grappolo cade sull'acqua e al contatto con essa quasi tintinna, lasciando sulla piatta superficie marina tanti piccoli cerchi concentrici, come quelli che si formano quando si lanciano sassi piatti sull'acqua.

Rimango lì, ferma, immobile, a osservare i cerchietti concentrici che mi circondano, fra l'attonito e lo stupito, forse a cercare una risposta senza aver formulato una domanda. Sorrido a quel miracolo a cui ho assistito, benevola e generosa concessione del cosmo.

Riprendo a camminare avviandomi verso la riva, immagazzinando dentro di me la luce di quelle scintille. Mi asciugo con calma, immersa ancora nelle immagini di quella cascata, quando mi trovo di fronte mamma, che era rimasta a camminare sulla battigia.
"Ti ho visto completamente circondata da un'aura di luci scintillanti" mi dice un po' turbata "brillavi di una luce particolare, cos' era?"
"Non lo so mamma, ma è stato comunque un bel regalo dell'universo non credi?"








giovedì 5 giugno 2014

Come non risolvere un problema | Psicopittografia

Uno dei migliori procedimenti per chiarire una situazione confusa è di vedere ciò che non è possibile fare. Un atteggiamento che non produce assolutamente nulla è la distrazione. La distrazione impedisce di considerare un problema con uno spirito pronto a risolverlo. Consideriamo una forma comune di distrazione: il rumore. Siamo nell'età del rumore. Esso sovrasta ogni cosa, ogni amhiente. Ovunque andiamo, vediamo gente che vocifera. Non vi è nulla di strano nel fatto che non riusciamo a sentire la verità che ci libera. Voler risolvere i nostri problemi distraendo noi stessi coi rumori è come se si volesse sciogliere la circolazione stradale sonando il corno.

Ma una via d'uscita esiste. Possiamo renderci coscienti di tutti i rumori che spossano i nostri nervi, e constatare come ci distolgono dalla ricerca del vero Io. Dobbiamo gradualmente cessare di ascoltare questi rumori. Ciò restaura la percezione naturale della realtà; cominciamo a vedere le cose come sono e non come un mondo vociante le proclama. Ci accorgeremo che l'assenza di rumore, come la tranquillità interna, non è uno stato di vuoto sconcertante, come prima si pensava.

È esattamente l'opposto. È una nuova bellezza. È come se foste in un parco, a metà strada tra due orchestre, l'una che suona una dolce armonia e l'altra che produce un frastuono assordante. Mano a mano vi allontanate dal baccano della seconda orchestra, l'atmosfera si riempie delle meravigliose sinfonie che sentivate prima. L'idea del silenzio interiore non è un'idea sentimentale né realistica, ma reale. È qualcosa che possiamo utilizzare fin d'ora.

sabato 22 marzo 2014

L'INCUBO DELLA SCUOLA MATERNA

A scuola sono sempre andata volentieri, alle elementari, alle medie, al liceo e infine all'università. Mai avuto problemi di socializzazione con i miei compagni, mi sono inserita con facilità in tutti i contesti sociali. 
Ma non potrò dimentichare mai il periodo della scuola materna, antecedente l'inizio della scuola dell'obbligo. Avevo all'incirca quattro anni e come tutti i bambini di quell'età, fui iscritta. La scuola non distava molto da casa, anzi, al tempo la sua sede, era tranquillamente visibile dal balcone di casa mia. In quella scuola però, io proprio non volevo andare, non mi piaceva affatto, il solo pensiero di dovervi passare delle ore mi ripugnava. Non ero una bambinetta capricciosa, non mi lamentavo e non piangevo mai, mi limitavo a mostrare il mio disagio con l'epressione seria del mio volto. Ciò naturalmente non portò a cambiamento alcuno, e ogni santo giorno venivo imbarcata sul giallo scuolabus che passava davanti a casa.  I miei coetanei vociavano e si muovevano, comportamento questo che mi infastidiva notevolmente: le loro assordanti voci e tutti quei movimenti incosulti mi davano ai nervi (io, naturalmente, restavo immobile al mio posto per tutta la durata del tragitto). 
L'arrivo alla scuola era altrettanto traumatico: tutti che si precipitavano fuori dallo scuolabus spinteggiandosi a vicenda, era al di là della mia comprensione. Per me era inconcepibile un tale caos di teste, gambe e braccia. Lasciavo che uscissero tutti, e in ultimo, mi avviavo cauta fuori, dove le maestre ci attendevano all'ingresso. I nostri cappottini venivano sistemati in fila sull'attaccapanni, quindi entravamo nelle classi. Mi guardavo intorno e osservavo tutti quei bambini, genere al quale la mia mente sentiva di non appartenere,  presi a rovesciare sui banchi matite e colori, a giocare con il pongo o il das, a spinteggiarsi, mentre io mi sentivo sempre più estranea a quel contesto. Non riuscivo a capire come potessero  interessare loro, quelle inutili attività ricreative: il mio mondo era quello degli adulti, calmo, educato, intellettivamente stimolante; nella mia mente un unico pensiero: tornare a casa, stare in silenzio, sfogliare i miei libri, giocare per mio conto, e conversare con i grandi. Persino il linguaggio di quei marmocchi spesso mi era totalmente incomprensibile, non sapevano usare le parole nè tantomeno pronunciarle bene, ma come cavolo parlavano (se parlavano)?
Il momento del pranzo era l'apoteosi della disperazione: odiavo gli odori di quella cucina e il refettorio mi dava la nausea, mentre gli altri non se ne curavano. Ci facevano sedere tutti accanto  e poi ci portavano i piatti con le pietanze: avevo il senso del vomito, e di solito non toccavo nulla, il cibo rimaneva nel mio piatto, mentre  i miei occhi assistevano al bestiale spettacolo di tutti quei pupi che affondavano le loro mani nei piatti, portandosi il cibo alla bocca con le mani e spargendo il resto su se stessi o sugli altri, ignorando le posate. In quei momenti desideravo solo scomparire, se mi avessero sparato ne sarei stata felice. Ma perchè dovevo stare lì? A che scopo? 
Alla fine le assistenti della mensa ci portavano in classe, dove le maestre avevano preparato delle piccole sedie a sdraio sulle quali ci facevano sedere e ci incitavano a dormire. Ovviamente l'unica ad avere gli occhi spalancati come fanali ero solo io, il resto della classe ronfava beatamente. Io non potevo chiudere occhio, ma si poteva star tanto rilassati e tranquilli? Il mio istinto di conservazione era come se mi dicesse che dovevo tenere tutto sotto controllo; mi sembrava strano che gli altri si assopissero, io non dormivo mai, nemmeno a casa, ero capace di stare sveglia anche per giorni. 
L'unica consolazione che avevo era che dopo quell'inutile riposino, si tornava finalmente a casa, dove avrei ritrovato il silenzio, la tranquillità, la mia amata famiglia e la mia solitudine meditativa. Tutti quei bambini erano come estranei per me, erano semplicemente altri,  guidati dai loro istinti, privi di logica e di ragionamento, non erano la mia realtà e non erano il mio mondo. Fortuna che sono cominciate le scuole elementari.


giovedì 13 febbraio 2014

AD OCCHI CHIUSI













Filamenti di luce,
dietro il velo delle palpebre,
come liane semoventi,
stami,
danzanti nell'oscurità.
Giungla  d'alberi di luce,
intermittenti fari del mio
incerto incedere.
Guardo e non vedo,
ascolto e non sento,
silenzio della coscienza interrotta.

domenica 27 ottobre 2013

AL SILENZIO

 








Silenzio,
ambrosia della mente,
che acquieti anime strapazzate dal caos moderno,
da quelle urlanti folle
che si accalcano in piazze e vie,
nei locali, nei negozi,
sui mezzi di trasporto.
Io ti bramo, e
Molti ti temono, Silenzio,
il tuo giantesco rimbombo è troppo forte per chi ha paura del vuoto.
Assenza di suono?
Eppur una voce hai, Silenzio,
che risuona interna a se stessa
e dentro il cuore,
bussa alla mente,
tracima,
esplode,
si innalza,
riempe lo spirito,
violentato da artificiali note.
Sii la mia cura,
elisir del mio riposo,
potere della meditazione.





venerdì 25 ottobre 2013

ALL'ANIMA MIA









Io,
animula, dolce e vagabonda,
ospite del corpo,
cosa sono adesso?
Fuori da questo mondo che corre corre,
io, che non amo gli orologi,
incessante ticchettio,
inesorabile trascorrere di giorni
amo il suono delle campane,  il sorgere e  tramontar del sole.
Io, 
amo il silenzio e i suoni suoi,  
mi soffermo sul volo di una coccinella.
Io, 
odoro i libri vecchi,
polverose testimonianze di versi semplici, 
e non conosco invidia,
mi commuovo alla guancia tonda di un bimbo.
Io,
errabondo essere di luce,
in vuote stanze della vita,
cerco te,
anima mia.



mercoledì 16 gennaio 2013

COME I FELINI










Ho duellato e sono rimasta ferita. a leccare le mie ferite in disparte,
come i felini.
Aspetto che passi,
ferma, immobile,
con lo sguardo perso nel vuoto.
Mi ascolto,
il restare immobile
aiuta le mie ferite a rimarginarsi.
E come i felini,
mi allontano,
mi distacco,
nel silenzio e nella solitudine,
aspetto, che tutto torni ad essere.
Mi mimetizzo per non farmi trovare,
non voglio condividere.
Sono nel folto della selva,
in una tana buia,
e lì mi curo,
e da lì ascolto la vita,
quella che viene da fuori.
Aspetto che passi,
come i felini.

lunedì 29 ottobre 2012

Vorrei

Vorrei riposare,
tranquilla in riva al mare.
Solo il lento e caro ciaf delle ondine sulla battigia.
Vorrei ridere,
il riso degli stupidi che non hanno pensieri.
Vorrei galoppare,
le galoppate sulla spiaggia dei miei dodici anni.
Vorrei energia vitale,
la carica d'entusiasmo dei miei vent'anni.
Vorrei calore,
l'abbraccio caldo dell'amore profondo.
Vorrei il silenzio,
eterno, del deserto.

Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.