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sabato 12 dicembre 2015

Piccolo delirio cerebrale

Mi chiedo dove sia Apollo, e perché mi abbia abbandonata così presto, dato che lui è, di solito, piuttosto insistente. Credo che se Apollo non mi avesse piantata in asso, sarei stata più vitale. Comunque me la caverò anche senza di lui e la sua cetra (e pensare che qualcuno lo sfidò ad una gara di canto e poi è stato scorticato...).

In verità mi pare che questo brano sia totalmente slegato, forse non lo capisco nemmeno io, ma non me ne importa nulla. O forse dovrei dedicarmi totalmente all'arte mantica o addirittura alla filosofia, almeno vivrei solo di dottrina pura. Ma se è vero che le vie del Signore sono infinite, forse ce la farò anch'io a sopravvivere a questo olocausto che mi tortura l'anima e a sua volta il corpo.

Il decadimento fisico è la prova schiacciante che l'anima è sull'orlo dell'abisso della disperazione? Avrei fatto meglio a parlarne con il caro, vecchio, Giacomino Leopardi, parlare del senso della vita, del significato dell'essere e del divenire, per poi finire per buttare a mare chissà mai quanti orologi e il loro fastidioso ticchettio.

A volte mi chiedo perché  la mia educazione culturale non si è fossilizzata a quelle collane editoriali tipo Bluemoon o Rose Blu, piuttosto che rammaricarmi o stupirmi sulle gesta e le azioni di un Carlo V o di una Elisabetta d'Inghilterra o di papa Alessandro VI Borgia. A che cosa sono servite le loro abbuffate di potere, quando sul più bello hanno dovuto mollare tutto per passare a miglior vita? Del resto anche Verga nella novella "La roba" ce ne dà un caldo esempio. Meglio il focoso Boccaccio, e il raffinato Balzac delle "Sollazzevoli Istorie".
E allora qual è il senso del senso?


lunedì 9 novembre 2015

Tertium non datur

Quante volte traditi o offesi avete pensato se concedere o meno un'altra possibilità all'autore del torto? Di sicuro almeno il pensiero vi avrà sfiorato. Certo è che il dubbio rimane: concedere un'altra chance potrebbe voler dire esporre il proprio fianco ad un'altra offesa, ma non è detto che per forza sia così.

Tertium non datur: non si concede una terza possibilità. In Publio Siro abbiamo: Aut amat aut odit mulier: nil est tertium (una donna ama o odia, non c'è una terza possibilità).

In filosofia indica il principio del terzo escluso, derivato dalla logica aristotelica per cui una proposizione deve essere vera o falsa, senza che ci sia una terza possibilità. Detto questo, possiamo usare questo adagino come meglio crediamo.

domenica 1 novembre 2015

La piscina, scene dal precariato lavorativo, parte prima

Come già descritto nei posts precedenti, lo Uaisipiei era dotato di una bella piscina di acqua salata, intorno alla quale si snodava un bel bordo  in cotto.

I posti naturalmente, considerando i lettini e gli ombrelloni, erano limitati, e non tutti gli ospiti di Charlie potevano usufruirne contemporaneamente. Zoe si chiedeva spesso come ci fosse tanto accanimento per un posto in piscina, quando proprio lì a due passi si apriva una superba spiaggia e tutti gli ospiti di Charlie erano dotati di barca a vela, mezzo con il quale potevano veramente godersi il mare e navigare verso gli isolotti dell'arcipelago dove piccole calette di acqua limpida e verdazzurra li attendevano, fuori dalla confusione dei bagni, ma soprattutto, senza acqua artificiale.

Domanda questa che rimase senza risposta per tutti gli anni di permanenza di Zoe allo Uaisipiei.
Gli ospiti di Charlie potevano usufruire della piscina come e quando volevano, a partire dalle 10:00 del mattino fino alle 19:30 della sera, il bagnino Mitch vigiliava sulla loro incolumità, ma, come per tutti gli spazi comuni, vi erano alcune regole da rispettare.

Ed eccole di seguito: i lettini non potevano essere occupati permanentemente, ossia, se gli ospiti lasciavano il lettino per andare a pranzo, dovevano necessariamente liberarlo, e non lasciarvi i propri oggetti personali per tenerlo occupato ( secondo voi lo facevano?), in questo modo si poteva garantire il ricambio. Era vietato fare tuffi nel classico stile "mi butto in acqua come un selvaggio", o meglio, tipo palla lanciata da catapulta, prima di entrare in piscina era obbligatorio farsi la doccia, in piscina non si potevano portare bambini, e, se si usciva dalla piscina per recarsi al bar, era d'obbligo indossare un pareo (per le signore) o maglietta e bermuda (per i signori).

Chiunque volesse invitarvi amici o familiari estranei allo Uaisipiei, doveva necessariamente pagare un ticket per l'ospite aggiunto, passando, ovviamente, dal desk, quindi da Zoe.
Si dice che i napoletani siano maestri "nell'arte dell'arrangio", ma gli ospiti di Charlie, li superavano alla grande.

Del resto le regole sono fatte per essere infrante, molti ne fanno una filosofia di vita, e addirittura un lavoro (perchè non ci ho pensato mai?).
C'era in particolare un gruppetto di ospiti di Charlie che proprio non voleva saperne delle regole della piscina, e studiò i più fantasiosi sistemi per eluderle.


martedì 18 agosto 2015

Panem et circenses

 Cari lettori, i Romani erano un popolo di mattacchioni, e non perdevano occasione per divertirsi, anzi a dire il vero ne fecero una filosofia, che poi li portò alla decadenza tanto si erano rammolliti. 

Gladiatori
L'adagio di oggi nonostante il suo ermetismo, bene spiega questo loro rilassamento. Immaginate i numerosi ricchi, sdraiati comodamente sui loro morbini e luossuosi triclini, che gustano le pietanze del tempo su vassoi d'oro e d'argento, con accanto i tripodi che riscaldavano l'ambiente, la musica, e le cortigiane.

Panem et circenses, pane e giochi del circo, quel vecchio disinibito di Giovenale, nelle sue Satire, X, 81, sosteneva che pane e divertimenti erano tutto ciò che il decaduto popolo romano desiderava. La locuzione viene usata per indicaresia i gusti di un popolo sia un sistema di governo che miri a far contenti i cittadini soddisfacendone i bisogni elementari e assicurando loro facili distrazioni.

giovedì 23 luglio 2015

Sproloquio sulla filosofia

La filosofia è una materia difficile.
E la sua maggiore difficoltà, a mio parere, sta proprio nel fatto che è macchinoso "astrarre per astrarre" concetti così sfuggevoli e metafisici. E lo è ancora di più sforzarsi di immedesimarsi, calarsi nella mente di colui che li ha così (barbaramente? metafisicamente? evanescentemente?) espressi.

Quante volte, durante il mio percorso di studi, mi sono trovata, mentre scorrevo le pagine del libro di testo, a chiedermi: che vuol dire? che intendeva? perché ha usato parole così lontane dal mio vocabolario? perché non ha fatto un esempio?
Eppure se ci ripenso, e forse solo ora, intuisco l'abisso che corre tra i miei amati filosofi greci e gli autori contemporanei: chiari e limpidi gli uni, metafisici e trascendentali gli altri.
Per non parlare dei docenti che, a modo loro, tentano di farceli digerire.

Loro stessi a volte si tradiscono, usando forme e modi che confondono le idee già poco chiare degli studenti; mi e ci convincono che una spiegazione più chiara non l'avremo mai.
Nonostante abbia imprecato tante e innumerevoli volte, ho amato e amo la filosofia, perché colgo in essa l'eterno e immortale interrogativo umano di fronte all'imperituro perché.
E' un perché di tutti i giorni, di fronte allo Stato, ai governi, a Dio, alla violenza, alla perfezione, alla morte, ai secoli, alle tendenze....

Un ragionare-sragionare nell'affannoso tentativo di dipanare una matassa che invece è tenuta saldamente da un nodo gordiano.
L'uomo corre in un inestricabile labirinto costituito di possibilità e fatti, di soggettività, di cose relative, e cerca disperatamente di raggiungere la dea suprema: l'OGGETTIVITA'.
Agognata e pianta oggettività, noumeno e segreto della nostra misera esistenza da esseri umani, schiavi della vita e delle nostre stesse passioni.
Se solo fossimo più dotati di quella RATIO che invece non c'è, ben altri universi sarebbe dato a noi di vedere.

Forse è con l'ingenuità infantile che si può superare la muraglia! In ogni montagna apparentemente inaccessibile, c'è sempre un punto in cui la pietra si lascia sgretolare.


mercoledì 27 agosto 2014

Via dalla pazza folla | Seneca, Lettere a Lucilio | Varie

 In questa lettera Seneca supera in modernità se stesso e forse anche noi. Elogio il suo dal diffidare della folla, oggi più vero che mai, appartarsi, come scrive, non tanto dalla gente quanto dagli affari. E in più fa sfoggio di una grande consapevolezza, forse del suo proprio destino: l'essere utile ai posteri. Egli afferma infatti che con le sue lettere manda ai posteri avvetimenti salutari, e ora più che mai secondo me essi sono consigli spassionati e salubri. Evitare le cose che piacciono alla massa, mi fa sospettare che avesse anche lui la televisione e che fosse consapevole del bombardamento che ne riceviamo, di quanto le nostre menti siano manipolate. Non illudiamoci di tenere in pugno ciò che la fortuna ci ha dato, noi non possiamo controllare nulla. Ciò che può essere dato, può essere tolto.

"Caro Lucilio,
mi inviti a star lontano dalla folla, a stare per conto mio, pago della mia coscienza? Che fine hanno fatto i principi della vostra filosofia che ingiungono di morire nell'azione? Ma come? Pensi che io voglia incoraggiare a lasciarti andare? Io sto da solo chiuso in casa per tornare utile alla gente. Non passo i miei giorni in ozio: parte della notte la dedico agli studi; non mi abbandono ma soccombo al sonno e tengo gli occhi, cadenti e affaticati dalla veglia, puntati sul lavoro.

Mi sono appartato non tanto dalla gente quanto dagli affari, soprattutto quelli personali. Sono al servizio dei posteri. Scrivocose che possono tornare loro utili. Con le mie lettere mando loro avvertimenti salutari, come se fossero ricette di buone medicine. Ne ho sperimentato la bontà sulle mie ferite che, se non sono guarite del tutto, certo non sono peggiorate.

Indico agli altri la strada giusta che ho conosciuto tardi e dopo molto errare. Grido: "Evitate tutte le cose che piacciono alla massa e che provengono dal caso, fermatevi sospettosi anzi paurosi davanti alle cose che il caso vi mette davanti. Anche gli animali e i pesci si fanno ingannare dalll'esca. Li credete doni della fortuna? Sono tranelli. Se volete una vita sicura, evitate il più possibile questi doni vischiosi, che ci tradiscono, poveri noi, anche facendoci illudere di tenerli in pugno, quando è vero il contrario.

Così andiamo alla rovina: il destino di chi sale troppo in alto è quello di cadere. E poi quando la fortuna comincia a farci deviare è difficile resistere: o si riprende la strada diritta oppure si va a fondo prima o poi. La fortuna non ci fa solo deviare ma ci fa cadere e precipitare. Seguite questo saggio e sano stile divita: date al corpo quanto gli basta per essere in salute. Bisogna essere duri con il corpo altrimenti disubbidisce alla mente: il cibo deve saziare la fame, le bevande la sete, gli abiti devono proteggere dal freddo, la casa dal maltempo.

Non importa se sia di terra o di marmo variegato d'importazione, un tetto di paglia copre altrettanto bene di uno d'oro. Disprezzate tutte le cose fabbricate, con inutile lavoro, solo a scopo ornamentale o per la bellezza. Nulla è più degno di ammirazione dell'anima e quando l'anima è grande non c'è nulla che la superi.  Dico queste cose a me stesso e ai posteri e, secondo te, così facendo non rendo un servizio maggiore che facendo l'avvocato difensore o il notaio o impegnandomi nella campagna elettorale per conto di qualche aspirante senatore? Dammi retta, fa di più chi sembra non faccia niente, sono quelli che di solito rendono servizio agli uomini e agli dei.

Ma devo chiudere questa lettera e come è consuetudine devo pagare il mio debito. Non è roba mia, ancora una volta rubo a Epicuro. Oggi ho letto questa sua frase: "Per essere davvero libero devi farti schiavo della filosofia". Chi serve la filosofia non deve aspettare neanche un giorno per essere libero, lo è subito. Forse ti chiederai perchè cito sempre Epicuro invece dei nostri scrittori. Ti risponderò con una domanda: questi pensieri appartengono a Epicuro oppure a tutti? Quante volte i poeti scrivono cose che sono già state dette dai filosofi, o che a loro comunque toccherebbe dire. Senza parlare delle tragedie e delle commedie alla romana, che sono una via di mezzo tra tragedia e commedia: quanti versi molto aggraziati recitano i guitti.

Quante battute di Publilio meriterebbero un posto nelle tragedie e non nelle farse. Ti ricorderò un suo solo verso sulla filosofia e sulle cose che abbiamo appena detto. Lui pensa che non dobbiamo ritenere nostre le cose che ci succedono per caso: "Non ci appartiene quello che accade secondo i notri desideri". Ma ricordi che tu l'hai detto meglio: "Non è tuo ciò che la fortuna ha fatto tuo". Ma voglio citare un'altra frase, forse più bella ancora: "Ciò che può essere dato, può anche essere tolto". Questo non conta come pagamento, ti restituisco una cosa tua".
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