Sulla parete dove si accosta l'armadio, è appesa una bella fotografia, vi si vede la cupola blu di una chiesa dell'isola di Santorini, in Grecia. E' uno splendido tramonto d'oro rosso, a picco sul mare, attraversato da un ponte di diamante. Zoe respirava spesso quell'aria, aria di estati lontane e intense, di spezie orientali e canti antichi, di sonagli e feste in costume caratteristico, di notti di vento caldo e cieli stellati, di piccoli vicoli e case bianche, di palme.
Respirando quest'aria e tenendo gli occhi chiusi, Zoe si lasciava cullare nel luogo da lei privilegiato, e questo suo cullarsi in quell'aria era per lei tale, che a volte credeva realtà ciò che invece era un sogno disperato. Questo la scuoteva, tanto che al suo risveglio, vedeva attorno a sé le usate cose, quelle che riempivano la sua camera e il suo sogno così bello appeso al muro.
Non poteva dirsi un dolce risveglio il suo, ma era stato un viaggio gratis e questo per il momento le bastava. Il risveglio però, la lasciava sempre turbata per tutto il tempo, anche se faceva altro durante la giornata, era distratta, assente, a volte sospirava; il suo sguardo vagava ancora laggiù, in quell'oasi felice. Gli eccessi della sua anima vagabonda spesso la infastidivano. Zoe si guardava intorno, eppure di tutte le persone che conosceva, nessuna si perdeva come lei. Che fosse malata? Le sembrava di non essere riuscita a liberarsi da quel mondo che l'aveva sempre accompagnata dall'infanzia, e lo sentiva come un handicap, non riusciva spiegarsi il perché di questa indissolubile unione tra fantasia e sogno, che le impedivano di vivere normalmente la realtà, come tutte le persone che la circondavano. Che cosa avrebbe potuto fare per mettere a posto le cose? Non sapeva da dove cominciare perché forse non c'era neppure un inizio!
Le sembrava inutile persino parlarne, per paura di non essere capita, ma le domande si affollavano nella sua mente e la loro voce si faceva sempre più forte. Questo suo modo di essere avrebbe, in quale modo, condizionato la sua vita e le sue relazioni? Perché proprio lei? C'era una via d'uscita? E se sì quale?
Le pareva certe volte di sforzarsi, ma questo sforzo, in cui metteva tutta la sua volontà, le logorava la mente e dolori lancinanti la attraversavano. Girava lo sguardo e si chiedeva ancora una volta cosa ci facesse mai al mondo una come lei e quale fosse il suo ruolo. Avrebbe forse avuto una vita disgraziata a causa di questo suo essere? Era questo che più la preoccupava e in fondo in fondo aveva anche paura.
"Aiuto" diceva, "aiuto", ma le parole non le uscivano dalla bocca, non poteva muovere le labbra. E guardava, guardava e si sentiva lontana dagli altri che non la potevano sentire ed erano sempre più piccoli e sparivano pian piano dalla sua vista e lei voleva piangere, ma non le riusciva nemmeno quello. Stava impazzendo? No! Non voleva impazzire, che stava succedendo?
Zoe, Zoe, Zoe, diceva, ma Zoe non le rispondeva, ossia, voleva rispondere, voleva allungare una mano a se stessa e tirarsi su, ma si accasciava sempre di più. Sembrava che una mano misteriosa mettesse fra lei e gli altri un muro trasparente, ma insormontabile. Forse la sua unica fortuna era il fatto che era una grande idealista e questo le permetteva di pensare che avrebbe potuto cambiare la sua vita in meglio, e che sarebbe stata felice a lungo.