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sabato 6 settembre 2014

GLI UNTORI DEI SUPERMERCATI OVVERO ASSAGGIO SCONFEZIONAMENTO

Ed eccomi di nuovo qui, a dare seguito al post di ieri in cui ho espresso il mio disappunto nei confronti della maleducazione perpetrata all'interno dei supermercati. Fra le varie categorie di persone maleducate che vi si possono incontrare mi ero totalmente dimenticata di uno speciale gruppo che io definisco "gli untori".

Con il termine untori si definivano coloro che ammorbavano di peste intere popolazioni, ma in questo caso specifico per me sono coloro che, nei supermercati, utilizzano le loro mani a piovra per smarmicciare tutto. Si aggirano in ogni corsia, davanti ai banchi di frutta e verdura, a quelli della carne e del pesce e lì iniziano il loro instancabile lavoro.


Prendiamo i banchi di frutta e verdura: i nostri untori lavorano alacremente a maturare la frutta ammaccandola in vario modo o addirittura assaggiandola, quella che contribuiscono a maturare però poi non la comprano ma la lasciano in dotazione agli altri, quella che assaggiano appare invece semisbucciata, nel caso dell'uva si trovano ad esempio grappoli semi vuoti o addirittura i raspi, nelle cassette delle ciliegie noccioli, in caso di albicocche alcune metà e così via.

Lo stesso vale per la verdura, che appare defogliata, come i cesti d'insalata, i finocchi, i carciofi, anzi a molti cadono a terra e le reazioni sono due: o vengono lasciati a terra o raccolti e riposti nella cassetta ad uso e consumo di altri.

Passiamo alla carne confezionata: decine di mani che prendono le confezioni con i vari tagli di carne che vengono tastati a più non posso fino a creare un bel buco nella confezione e per tal ragione rimessi al loro posto per passare ad un'altra confezione. Ci sono stati casi di persone che hanno aperto la confezione e hanno messo il pezzo di carne in tasca (l'ho visto con i mei occhi). E la catena continua nella zona pescheria, dove i più tocchicciano il pesce fresco per assicurarsi che sia fresco davvero, che controllano cozze e vongole, alici e rane pescatrici, polpi e seppie.

Poi si passa allegramente alla roba confezionata, e parlo di mozzarelle fatte a pezzi, salumi confezionati semiaperti, forme o pezzi di fomaggio scartati, yogurt sbafati a ufo, latte bevuto fresco. Per non parlare di quelli che rompono i biscotti, spezzano pasta, rovesciano zucchero, mangiano patatine e poi lasciano la confezione sullo scaffale, si prendono solo qualche bustina di tè invece che l'intera confezione, qualche saccottino per uno sputino o i cioccolatini perchè non è fame, ma più voglia di qualche cosa di buono.

Questo è ciò che fanno molti senza rispetto alcuno per chi tiene sempre un comportamento corretto ed educato dimostrando agli altri le semplici regole del vivere civile.





martedì 2 settembre 2014

GLI STABILIMENTI BALNEARI: IL CONVEGNO DEI CERVELLI MINCHIA

Sono anni che non frequento gli stabilimenti balneari poichè non amo gli affollamenti umani sulle spiagge, ma questo è stato un anno particolare, e per andare incontro alle esigenze di mio nipote Leonetto, è stato necessario usufruire di attrezzature più consone alle sue esigenze.

Perciò sono approdata nuovamente agli stabilimenti. Niente da dire sulle strutture e sui servizi, con spazi appositi per i passeggini, docce e bagni, bar e ristorante, ma il trauma che mi hanno procurato le persone me lo sono dovuto metabolizzare.


Son terreni fertili per studi sociali in cui immergersi per capire dove stiamo andando a finire. Continuo a ripetermi che il terzo millennio non è l'epoca che fa per me, e parlo di mentalità, di mode, di cultura, di educazione, tutti aspetti della vita che sono tanto importanti quanto calpestati.

Giungo in spiaggia e sistemo i miei effetti personali presso l'ombrellone, sistemando tutto l'occorrente per mio nipote, ma mi sento osservata, e quindi, dietro i miei occhiali da sole, scruto tutto intorno e vedo gruppuscoli di bagnanti che ridacchiano della mia quasi inesistente abbronzatura, mentre si guardano compiaciuti un colorito di cui vanno fieri, ma che mette in risalto solo una pelle esposta nella maniera sbagliata al sole.

Rinnovo la protezione solare e, dal vicino ombrellone una signora di una certa età mi dice: "Se continui a usare codesta crema solare non prendi nemmeno un raggino di sole". Calo un attimo gli occhiali sulla punta del naso, la guardo. Non c'è stato fra noi alcun verboso scambio di parole, forse perchè l'energia del mio pensiero le è arrivata dritta dritta a rimbombare nella sua scatola cranica ormai vuota: " Signora, pensi alla sua pelle ormai distrutta, al suo ridicolo bikini tigrato, ai suoi cinquemila braccialetti e a quel tatuaggio che ha sulla spalla, ormai in declino come tutto il suo corpo, che lei vuol imporre alla mia vista come se fosse quello di una ventenne".

Porto mio nipote a sgambettare nell'acqua,  e sul più bello, mentre ci diverdiamo un mondo a fare i passettini sulla riva,  ecco l'amica della signora tigrata, che sfoggia una chioma rosso fuoco, un rossetto in tinta, un ombretto verde acqua che avrebbe spaventato anche Diavolozoppo e una cavigliera che (perdonatemi), si trovava su una gamba la cui muscolatura non esisteva più da tanto tempo e mi si piazza davanti. Cerco di aggirarla, ma nulla, lei si sposta, allora le giro le spalle e cerco di portare mio nipote altrove.

La sento aumentare il passo, sciacquettando,  mi si affianca e mi chiede: "Ho notato che ha una cicatrice sulla schiena, che ha fatto?". So di essere introversa, e nella mia introversione ci sto come un papa intronato, ma a lei signora che cavolo gliene frega se io ho una cicatrice sulla schiena?  Per caso io sono venuta  a chiederle perchè lei assomiglia ad uno scaldabagno vestito da zebra?

Prendo in braccio mio nipote stando attenta ad usare le ginocchia e non la schiena, la guardo e le rispondo: "E' evidente signora che ho avuto un intervento, necessita di altre informazioni?". Credevo avesse colto le sfumature sottintese, ma mi sbagliavo. Rincuorata dalla mia risposta ha continuato:
"Le ho visto fare una smorfia di dolore mentre camminava"

Se non ci fosse stato mio nipote, probabilmente l'avrei colpita con un pugno, così da farle ottenere gratuitamente l'intervento del giovane bagnino dietro al quale sbavava, ma conscia del fatto che i bambini sono attenti agli esempi che diamo loro, e che l'educazione viene prima di tutto, ho scartato questa ipotesi, ho respirato a lungo e poi ho risposto: "Vedo che non riesce a farsi gli affari suoi signora, quindi sarò breve: purtroppo il dolore me lo porterò dietro fino alla tomba, contenta?"

Indi mi sono avviata all'ombrellone credendo di trovare un po' di pace e di poter giocare con il mio adorato Leonetto, ed invece no, forse c'era stato un passaparola, o forse mi trovavo nel paese del pettegolezzo imperante, perchè dall'ombrellone difronte, ecco affacciarsi un'altro alto intelletto che non potendosi trattenere: "Con quegli occhiali che le coprono mezza faccia non riuscirà ad avere un colorito unifome sul viso".

Ma dove ero capitata, al convegno dei cervelli minchia? "Crede che sia troppo per lei farsi una palata di affaracci suoi?" rispondo tappando le orecchie a mio nipote. Silenzio di tomba. E finalmente, ho turato quei buchi dentati ricoperti di melanina.



giovedì 7 agosto 2014

L'APERICENA

Qualche giorno fa sono stata invitata all'inaugurazione di una bella terrazza sul mare, collocata all'interno di una folta pineta. Un location (oggi si dice così) davvero splendida. Non sono una grande amante della vita mondana, ma non ho proprio potuto rifiutare.

Per l'inaugurazione, la gestione aveva deciso di dar vita ad un apericena (altro termine che poco tollero) e relativa serata musico-danzante, rallegrata dalla presenza di un noto Dj della zona.
Così, eccomi in loco, ad ammirare un bel tramonto sul mare, con un cielo incendiato di rosso e il mare lievemente increspato dalla brezza serale. Mi trovo di fronte una piattaforma in legno piuttosto grande su cui erano stati sistemati divanetti bianchi in stile essenziale e piccoli tavolini scuri.

La postazione del Dj era già stata preparata e intanto l'aria intorno risuonava di canzoni anni '80. Poco distante dall'area musicale era stato approntato un lungo tavolo, pronto ad accogliere le "future" vettovaglie, che avrebbero dovuto rallegrare gli stomaci degli ospiti, poco più accanto un piccolo bar, cui lavoravano alacremente alcuni addetti alle bevande (attenzione, rigorosamente a pagamento, prendi e porta a casa).


Ad una prima occhiata mi sono accorta che i presenti manifestavano un certo nervosismo, quando sarebbe arrivata "pappatoria"? Nessuno lo sapeva, forse il fotografo, ingaggiato per l'occasione, che si aggirava tra i pochi presenti elemosinando sorrisi.
Voltavo le spalle al tavolone, perchè mi ero soffermata a parlare con alcuni conoscenti, quando d'improvviso, mi son ritrovata sola.

Beh? Mi son voltata cautamente, e cosa vedo? Un'orda di locuste affamate che si affollano al tavolone, spinteggiandosi, pestandosi, strattonandosi per accaparrarsi il contenuto di alcuni vassoi. Riesco solo a percepire che l'orda barbarica non si è nemmeno preoccupata di utilizzare le posate di servizio, ognuno usava la propria forchetta per infilzare il cibo e mangiarlo in piedi davanti al tavolone, così, direttamente dal vassoio. Pochi fugaci secondi e tutto ciò che era rimasto era una stanca, esamine patatina, sfugitta ai denti di qualcuno.

Nella mia mente un pensiero lampo: "Dovevo portarmi la "panierina" da casa....". Nel frattempo le locuste si erano lievemente allontanate per sedersi nei pressi, in attensa del secondo round, qualcuno intanto, meno inferocito, si scaldava per il ballo.

Ho messo in atto una strategia per cercare di prevenire gli orchi e vedere di mettere qualcosa nello stomaco, maledicendo la mia educazione nell'accettare l'invito. Così, con aria trasognata mi sono avvicinata a piccoli passi al tavolone facendo finta di prendere un tovagliolo di carta ( i tovaglioli erano intatti, nessuno li aveva toccati).

La strategia ha funzionato, infatti al secondo round mi sono trovata da lato giusto, quello da cui i vassoi venivano velocemente appoggiati sul tavolo. Questo mi ha sì, permesso di prendere del cibo, ma dato che usavo le posate di servizio, mi sono trovata poi a doverle usare per servire le locuste, stupite da tanta abilità. Anzi, una locustina mi ha anche chiesto: "Che sei giocoliere? O come fai ad usare forchetta e cucchiaio per prendere la roba?" Non ho risposto se non con un mezzo sorriso, mentre nella mia testa la risposta era ben chiara: "Tu ignori le regole basilari dell'educazione, animale!"

Pensavo di potermi rilassare un po' con la bella musica anni '80 tanto cara ai miei ricordi, sedendomi su uno dei divanetti, ma mi sbagliavo. La musica anni '80 arrivava come uno tsunami nelle mie orecchie, e le locuste rifocillate si apprestavano ad aprire le danze. Tutti in pista, nessuno escluso, tranne me, semi nascosta su angolo del divano. E sulle note del "Ballo di Simone", una foresta di tablet e smartphone pronti a registare video e scattare selfie, tutti posizionati in pericolosi intrecci di capelli, teste, braccia...e per stare più comode, le signore che fino a quel momento erano inguainate in scarpe tacco 15 con plateau, se le sono tolte per saltellare meglio.

Tutti a mostrare il meglio della loro abbronzatura, dei tatuaggi e di muscolature più o meno toniche, senza fermarsi mai, con i bicchieri in mano e via. Ho guardato me stessa, senza abbronzatura stile "Cioccoblocco nestlè", senza tatuaggio alcuno, con una muscolatura normale,  senza tablet e senza selfie, fiera di essere così.

Mi sono alzata dal divanetto, ho attraversato la piattaforma da ballo e con una sgommatina e lo stomaco semi vuoto sono tornata ai miei introversi silenzi.


mercoledì 11 giugno 2014

Come formulare la vostra dichiarazione d'indipendenza | Psicopittografia

La via che conduce alla pace e alla felicità esiste e voi dovete percorrerla. Come fare? Cominciate a cercarla semplicemente dal punto in cui vi trovate. Cercate di scoprire quella verità che è già nascosta dentro di voi. È a quella che dovete guardare. Non permettete a nessuno di intralciare la vostra ricerca. Si tratta della vostra vita.

Bisogna rinunciare volontariamente ad ogni forma di ambizione. Siate umili. Siate come i bambini aperti ad ogni esperienza. Imparate a distinguere la verità dall'illusione. Recuperate la vostra dignità individuale. Fate la vostra dichiarazione personale d'indipendenza.

Non abbiate paura di osservare costantemente e onestamente voi stessi. Non abbiate alcun senso di colpa. L'introspezione onesta è la luce che dissipa le tenebre. La verità alla quale opponete resistenza è la stessa che vi libera. Marciate con spirito gioioso ed entrate nella grande avventura della vita. La verità che si sveglia gradualmente in voi, guida e rende sicuri i vostri passi. Mettetevi in cammino fin d'ora.

mercoledì 14 maggio 2014

Bianco, il colore scelto e il colore rifiutato | Cristalloterapia

Contiene tutti i colori dello spettro della luce e, come il nero, simboleggia un confine: quello iniziale della vita. E' abbinato al settimo chakra. I cristalli bianchi esprimono speranza nel futuro e in ciò che di imprevisto può riservare, fiducia negli altri e nel mondo, desiderio di purezza e di sentimenti nobili, voglia di girare pagina, di iniziare una nuova vita che contiene tutte le possibilità; esprimono una certa tendenza al fatalismo; stimolano la fantasia, la creatività e l'immaginazione aiutando a vedere la realtà con il filtro della sensibilità e dell'intuizione.


Chi sceglie il bianco: desidera cambiare la propria vita e impostarne una nuova oppure desidera apportare nella vita quotidiana un ventaglio di nuove possibilità, tutti i colori dello spettro appunto, per rinnovarla in modo sostanziale; ha fiducia in ciò che riserva il futuro e si aspetta cose belle dal mondo, di conseguenza può peccare di ingenuità.

Chi rifiuta il bianco: non sifida molto degli altri e ritiene che il futuro vada sì scritto, ma tenendo ben salda in mano la penna, senza lasciare nulla al caso; non desidera cambiare vita e nemmeno modificare quella che conduce; prosegue lungo la via che ha fin qui persorso senza lasciare spazio all'immaginazione e alla sensibilità

sabato 22 marzo 2014

L'INCUBO DELLA SCUOLA MATERNA

A scuola sono sempre andata volentieri, alle elementari, alle medie, al liceo e infine all'università. Mai avuto problemi di socializzazione con i miei compagni, mi sono inserita con facilità in tutti i contesti sociali. 
Ma non potrò dimentichare mai il periodo della scuola materna, antecedente l'inizio della scuola dell'obbligo. Avevo all'incirca quattro anni e come tutti i bambini di quell'età, fui iscritta. La scuola non distava molto da casa, anzi, al tempo la sua sede, era tranquillamente visibile dal balcone di casa mia. In quella scuola però, io proprio non volevo andare, non mi piaceva affatto, il solo pensiero di dovervi passare delle ore mi ripugnava. Non ero una bambinetta capricciosa, non mi lamentavo e non piangevo mai, mi limitavo a mostrare il mio disagio con l'epressione seria del mio volto. Ciò naturalmente non portò a cambiamento alcuno, e ogni santo giorno venivo imbarcata sul giallo scuolabus che passava davanti a casa.  I miei coetanei vociavano e si muovevano, comportamento questo che mi infastidiva notevolmente: le loro assordanti voci e tutti quei movimenti incosulti mi davano ai nervi (io, naturalmente, restavo immobile al mio posto per tutta la durata del tragitto). 
L'arrivo alla scuola era altrettanto traumatico: tutti che si precipitavano fuori dallo scuolabus spinteggiandosi a vicenda, era al di là della mia comprensione. Per me era inconcepibile un tale caos di teste, gambe e braccia. Lasciavo che uscissero tutti, e in ultimo, mi avviavo cauta fuori, dove le maestre ci attendevano all'ingresso. I nostri cappottini venivano sistemati in fila sull'attaccapanni, quindi entravamo nelle classi. Mi guardavo intorno e osservavo tutti quei bambini, genere al quale la mia mente sentiva di non appartenere,  presi a rovesciare sui banchi matite e colori, a giocare con il pongo o il das, a spinteggiarsi, mentre io mi sentivo sempre più estranea a quel contesto. Non riuscivo a capire come potessero  interessare loro, quelle inutili attività ricreative: il mio mondo era quello degli adulti, calmo, educato, intellettivamente stimolante; nella mia mente un unico pensiero: tornare a casa, stare in silenzio, sfogliare i miei libri, giocare per mio conto, e conversare con i grandi. Persino il linguaggio di quei marmocchi spesso mi era totalmente incomprensibile, non sapevano usare le parole nè tantomeno pronunciarle bene, ma come cavolo parlavano (se parlavano)?
Il momento del pranzo era l'apoteosi della disperazione: odiavo gli odori di quella cucina e il refettorio mi dava la nausea, mentre gli altri non se ne curavano. Ci facevano sedere tutti accanto  e poi ci portavano i piatti con le pietanze: avevo il senso del vomito, e di solito non toccavo nulla, il cibo rimaneva nel mio piatto, mentre  i miei occhi assistevano al bestiale spettacolo di tutti quei pupi che affondavano le loro mani nei piatti, portandosi il cibo alla bocca con le mani e spargendo il resto su se stessi o sugli altri, ignorando le posate. In quei momenti desideravo solo scomparire, se mi avessero sparato ne sarei stata felice. Ma perchè dovevo stare lì? A che scopo? 
Alla fine le assistenti della mensa ci portavano in classe, dove le maestre avevano preparato delle piccole sedie a sdraio sulle quali ci facevano sedere e ci incitavano a dormire. Ovviamente l'unica ad avere gli occhi spalancati come fanali ero solo io, il resto della classe ronfava beatamente. Io non potevo chiudere occhio, ma si poteva star tanto rilassati e tranquilli? Il mio istinto di conservazione era come se mi dicesse che dovevo tenere tutto sotto controllo; mi sembrava strano che gli altri si assopissero, io non dormivo mai, nemmeno a casa, ero capace di stare sveglia anche per giorni. 
L'unica consolazione che avevo era che dopo quell'inutile riposino, si tornava finalmente a casa, dove avrei ritrovato il silenzio, la tranquillità, la mia amata famiglia e la mia solitudine meditativa. Tutti quei bambini erano come estranei per me, erano semplicemente altri,  guidati dai loro istinti, privi di logica e di ragionamento, non erano la mia realtà e non erano il mio mondo. Fortuna che sono cominciate le scuole elementari.


martedì 18 marzo 2014

IL CIELO HA CAMBIATO COLORE


Il cielo ha cambiato colore, l'ho visto stamattina, mentre con passo ancora incerto mi avviavo per la consueta passeggiata terapeutica. Ne ho avvertito l'odore, portato da una brezzettina che disegnava crespe trine sulla superficie del mare. Forse sta arrivando davvero la Primavera, foriera, nel mio immaginario, di cambiamenti. Già, essa è per me come un vascello antico di mercanti, che arriva da terre lontane con un carico tutto da scoprire. Blu cobalto il mare, azzurro chiaro il cielo, bel contrasto; e poi il sole, grande, come una gigantesca lumìa, percorreva il suo cammino infinito e sempre uguale.
L'aria aveva il gusto di erica e anemoni, speziata di iodio e verde, con un lontano e pur presente aroma di caffè. Un piccolo peschereccio solcava solitario il mare, inseguito da un dissidente gruppetto di gabbiani  forse in cerca di un pescetto fresco.
Ho sorriso, convinta che la mia espressione fosse nascosta totalmente dagli occhiali da sole e del tutto disinteressata ai rari passanti impegnati in esercizi ginnici e ai patiti dell'abbronzatura, somiglianti ad iguane intente a crogiolarsi al sole.
Un gatto sornione mi ha socchiuso languido gli occhi, spanciandosi sul verde margine costeggiante il lungomare, dove una solitaria  panchina mia ha accolta. Ai miei piedi un letto di margheritine, microcosmo di una vita brulicante; un coleottero verdino si arrampicava su uno stelo, le provvide formiche in formazione compatta avevano formato un'autostrada a doppio senso di marcia, due cavolaie si inseguivano allegre, vita inconscia di se stessa in perfetta armonia con le vibrazioni della natura, solo io sembravo emanare tutt'altra musica, nota stonata in quell'armonia, nella quale è entrata una coccinella, nella sua vermiglia livrea rossa a puntini neri, e se ci sono le coccinelle forse arriva la primavera. Esse son messaggere di novità, come il vascello antico di mercanti,  arca di pensieri nuovi, in questo mirabile accenno di primavera.

sabato 4 gennaio 2014

AVVENTURE DI ZIA E NIPOTE: LEONETTO IN ERBORISTERIA

Sono una zia fiera e felice, attualmente come molti già sanno, non al cento per cento delle mie possibilità, causa intervento chirurgico, il che significa che non posso spupazzare il rampollo come farei di solito. Ma le vie del Signore sono infinite, quindi se non posso tenerlo in braccio, perchè al momento in piedi non posso tenere pesi (del resto il Delfino cresce....), posso però usufruire del suo moderno mezzo di trasporto: l'ovetto a quattro ruote! Con questo speciale mezzo ho preso "due piccioni con una fava", intanto cammino e cammino come mi hanno prescritto per questa interminabile convalescenza e, nello stesso tempo, mi godo il piccolo zar.
Così l'altro giorno, sono passata a prendere il mio Napoleoncino e siamo andati a piccolo passo verso l'erboristeria presso cui dovevo fare alcune commissioni. L'ovetto funzionava alla perfezione e all'interno Leonetto era a suo agio: intanto aveva una nuova visione del mondo (nuovi punti di vista diciamo) ma allo stesso tempo era ben protetto, e con lo sguardo rivolto a me, sua zia, che, durante la bella passeggiata, gli ha sciorinato tutta una serie di filastrocche e canzoncine, elargito sorrisi, edificato il suo ego, alimentato la sua vanità (che per un bambino di quattro mesi e mezzo non è poco).
Al nostro ingresso in erboristeria le titolari, sono letteralmente impazzite, e prone su Leonetto, si sono profuse in sorrisi, complimenti, moine (mentre io pensavo che se fossero stati due bei giovanotti sarebbe stato fantastico per me), mentre il furbo Leonetto (già  tombeur de femmes) ricambiava a iosa, con precise e mirate vocalizzazioni. Quando poi per motivi di spazio ho sistemato l'ovetto più accosto a me, la luce del negozio ha illuminato il mio paffutello principe, mettendo in evidenza il blu cobalto dei suoi occhi ridenti, cosa che gli è valsa frasi d'eccezione (nel frattempo io, nel mio ruolo di zia, ero stata abbandonata a me stessa; se avessi sbaraccato gli scaffali, nessuno se ne sarebbe accorto). 
Per richiamare l'attenzione delle signore (fra l'altro sono anche una affezionata cliente), ho alzato la mano, come a scuola, calcolando che scoccato mezzogiorno, Leonetto pretende di mangiare senza attendere, attesa che, in caso di biberon non pronto, potrebbe scatenare l'inferno, la sindrome cinese, la nuova rivoluzione russa, uno tsunami, un'onda anomala, e si sa, sono fenomeni non facilemente arginabili (anzi diciamo non arginabili). 
Grazie ai miei influssi mentali, ho fatto in modo che le signore mi fornissero ciò di cui avevo bisogno e poi io e Leonetto ci siamo avviati a casa, non dopo aver fatto scorta di altri complimenti e lusinghe, ma  conscia del rischio tsunami per fame, ho avvertito con un sms del nostro rientro.
Come volevasi dimostrare.......siamo arrivati appena in tempo per infilare la tettarella in bocca a Leonetto: salvi per un pelo!



domenica 24 novembre 2013

SONO IO


 Se qualcuno mi chiedesse di descrivere me stessa credo che mi troverei in difficoltà. E' difficile per me dire chi sono, dare voce con parole alla complessa essenza di me stessa. Mi soffermo ad ascoltarmi, ad osservarmi dentro, e a volte "non so dove sono stata e non so dove andrò".
Aspetti contraddittori si coniugano nel mio carattere: sono solare, estroversa, luminosa, facile al sorriso, ma talvolta oscura anche a me stessa, e queste dicotomie fanno di me un personaggio dal carattere complesso, nel quale scopro sfaccettature che mi intimidiscono, perchè luce e buio nei miei pensieri si mischiano in grigi dai cromatismi sconosciuti.
Eppure sono così interessata a tutti gli aspetti della vita siano essi felici o meno, e rifletto, riflessione che mai si interrompe pur nei momenti peggiori, riflessione con ironia, riflessione con disappunto.

Amo la compagnia e adoro la solitudine, compagnia, non bagni di folla, il piacere semplice della condivisone con le persone che amo e che fanno parte della mia vita, ma poi c'è il bisogno di star sola, di ricerca di angoli silenti e appartati, della nicchia protettiva che mi isoli da voci e rumori, dove io sola posso sentire l'onda del respiro che scende dentro di me. E non v'è spazio per nessuno, solo io con sua maestà la solitudine, imperatrice dei miei sensi, carceriera di emozioni che vagano e vivono nella penombra del mio io.  Troppe le mie contraddizioni, come il bianco e il nero, la luce e il buio, il riso e il pianto, la bontà e la cattiveria, la rabbia e la calma.
E poi ci sono  il mare e la campagna, da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna, nelle onde, nelle foglie, nella schiuma e nella terra, nei mille blu dell'oceano mare e negli infiniti arcobaleni di alberi,  fiori, e abitatori.
E sono io ancora con l'amore per gli animali, cresciuti nel mio dna e vissuti con lo stupore di chi vede per la prima volta il miracolo della creazione, e i cavalli, angeli custodi delle anime tormantate dagli ossimori dell'esistenza come la mia.
Sono io, così come sono, viva, in questo mio universo in epansione, in tutti i mondi che ho creato, in  tutte le multiformi immagini che mi contraddistinguono. Sono io.

sabato 23 novembre 2013

LETTERA AL DOLORE

Fuggo, da te dolore che mi smembri il corpo, che da troppo tempo ormai usuri la mia esistenza e il mio fisico. Con te dentro al corpo non si scherza, perchè  succhi via tutte le energie che mi rimangono, porti via la mia forza vitale, la mia lucidità, parassita che non sei altro.
E' come trovarsi dentro una prigione, un sarcofago nel quale tu mi hai relegata a forza, fasciata in bende strette che impediscono ogni minimo movimento, e sto lì a fissare davanti a me,  un panorama fisso che i miei occhi  vedono, e ascolto il mio respiro, e i suoni intorno, e coloro che  cercano di starmi vicino, ma impotenti.
Non posso fare nulla perchè se non  rimuovo la  causa che ti ha fatto mettere radici dentro di me, mi inchioderai per sempre, mutilando il mio corpo, togliendomi la capacità sensitiva e ambulatoria. 
Allora non puoi far altro che pensare,  e mentri aspetti, guardi il telefono e speri che da un momento all'altro arrivi, quella telefonata, quella che significa almeno in parte la fine di questo incubo che perdura da non so più quanto tempo, ho perso il conto.
Voglio tornare a passeggiare, a correre, a camminare, a guidare, a far le scale saltellando, a viaggiare, a lavorare....il mondo è solo chiuso fra quattro mura adesso, le mura della mia stanza, dove il mio corpo è steso, sul letto, fermo. 
Mi hai fatto urlare  dolore, mi hai tolto il sonno, notti intere senza neanche poter piangere, ad anelare solo un minuto di assenza da te, solo un minuto per rilassare i muscoli sempre in tensione, per riposare il cuore che batte all'impazzata per la tensione che mi provochi e gli spasmi a cui mi sottoponi.
Rivoglio la mia vita, la pretendo, ho troppe cose ancora da fare, persone da amare, luoghi da vedere perchè tu, maledetto possa pretendere un prezzo così alto. 
E' meglio che ti prepari perchè manca poco alla resa dei conti, e questa battaglia nella quale fino ad ora hai avuto tu il vantaggio, la vincerò io, perchè ti ho studiato così tanto, di te so tutto, ho lasciato che tu barbaricamente vandalizzassi il mio regno e ti facessi vedere per quello che sei, e ora so, perfettamente cosa sei.
La mia battaglia l'ho pianificata, ho mandato ambasciatori, ho acquisito alleati, ho la mia strategia dolore, una strategia che ti farà soccombere, questa sarà l'ultima battaglia che scatenerò contro di te, e poi sarò libera, di rinascere e di rivivere, come meritano la mia tenacia, il mio coraggio, la mia costanza, la mia determinazione.  Questo è il mio ultimatum.

sabato 16 novembre 2013

LA DANZA DELLA MORTE














La Morte mi sfida,
la sua sfida è la vita,
vita,
arena in cui io e Morte duelliamo.
Mi muovo,
perchè essa incalza,
segna il tempo delle  azioni,
dei sentimenti.
Implacabile spinge,
al mio cedere vince,
al mio combattere arretra.
La sua falce prova ad affondare,
sulla fenditura del mio bozzolo.
E io danzo con Lei,
la danza del guerriero.





venerdì 25 ottobre 2013

ALL'ANIMA MIA









Io,
animula, dolce e vagabonda,
ospite del corpo,
cosa sono adesso?
Fuori da questo mondo che corre corre,
io, che non amo gli orologi,
incessante ticchettio,
inesorabile trascorrere di giorni
amo il suono delle campane,  il sorgere e  tramontar del sole.
Io, 
amo il silenzio e i suoni suoi,  
mi soffermo sul volo di una coccinella.
Io, 
odoro i libri vecchi,
polverose testimonianze di versi semplici, 
e non conosco invidia,
mi commuovo alla guancia tonda di un bimbo.
Io,
errabondo essere di luce,
in vuote stanze della vita,
cerco te,
anima mia.



lunedì 29 ottobre 2012

NUOVA VITA



02 Marzo 2007


Le mie ferie sono ormai terminate e sono rientrata al travaglio usato. Forse avrei avuto bisogno di un' altra settimana, ma sono comunque soddisfatta del mio periodo di riposo. Ora dovrò contare sull'energia accumulata durante le mie passeggiate ritempranti sulla spiaggia per arrivare alla fine della lunga estate calda.
Per fortuna il tempo è splendido dalle mie parti e le mie nuove giornate di lavoro sono comunque allietate dal sole e dall'inebriante verde degli alberi che, benevoli, muovono dolcemente le loro foglie davanti alla porta del mio ufficio.
Camilla e Petunia trotterellano allegramente intorno a me o riposano placide davanti alla scrivania della reception, mentre dalla cucina del ristorante arrivano i familiari rumori delle pentole. Respiro profondamente tutto e chiudo gli occhi come per interiorizzare la globalità di questi gesti che fanno parte del mio quotidiano.
Stranamente in questi giorni mi sento più serena e mi sembra quasi di essere sulla strada che mi riporterà a ritornare quella che ero un tempo.
Mi sento forte, piena di energia. Finalmente alcuni fantasmi del passato se ne stanno andando per sempre ed io sono come una pianta che rinasce a nuova vita.
Da questo momento come una fenice, la nuova e vecchia me stessa si sono ricongiunte: e via a "giocare " nei giorni di libertà, alle scorribande con gli amici, alle battute sarcastiche al lavoro....
Ero ridotta in uno stato tale da sentirmi vecchia, senza energie, senza entusiasmi e senza speranze, quasi qualcuno avesse succhiato via la mia energia vitale.
Ora ci sono solo io, il mio cavallo, il mio lavoro, gli amici e la vita che si dipana davanti a me e di cui riesco ad intravedere il roseo orizzonte.

CIELO GRIGIO




07 Gennaio 2007 

Cielo grigio,
lieve stormire di foglie.
Perchè mi trovo qui?
Inesorabile come lo scorrere di un fiume
il tempo passa,
lento, pesante.
Suonano le campane lontane,
Voglio tornare a casa, nel mio nido,
dove tutto ha un posto speciale, dove mi riconosco.
Che sto facendo della mia vita?

domenica 28 ottobre 2012

31 MAGGIO 2003

Socchiusi gli occhi, era presto, forse le sei del mattino. I raggi del sole curiosavano nella mia stanza, si appoggiavano lievi sulle canne di bambù della carta da parati e danzavano sugli scaffali come se fosse la prima volta che si affacciavano in quella cameretta: la mia.

Avevo dormito profondamente, un sonno senza sogni, uno di quei sonni che si fanno spesso da bambini, dopo che si è pianto molto. Mi guardai lentamente intorno, osservai la mia camera, la mia compagna di giochi dell'infanzia, il mio mondo di bambina, il mio studio durante il liceo, il mio luogo di riflessione prediletto. Amavo quella stanza, sulle cui mensole riposavano quiete e placide tutte le tappe della mia vita.

Rimasi per un po' a guardare incantata e ancora intorpidita dal sonno, il quadro con il branco di cavalli selvaggi che da sempre al mio risveglio mi salutava con un profondo e selvaggio nitrito (io quel nitrito lo sentivo tutte le mattine); nonno mi aveva regalato quel quadro, già… mi si strinse la gola e gli occhi mi si riempirono di lacrime (come vorrei che fossi qui, nonno, proprio oggi, un giorno così importante per me!).

Mi sollevai lentamente e altrettanto lentamente sgusciai silenziosa in corridoio, mamma e babbo stavano ancora dormendo e sulle punte dei piedi mi diressi in cucina; chissà se Nur, il mio gattone, era già sveglio. I felini non si ingannano, vidi i suoi occhi che mi fissavano interrogativi ('che fai non mi apri?') e un minuto dopo la sua coda di volpe mi avvolgeva morbidamente un polpaccio in perfetta sintonia con le sue fusa. Insieme entrammo finalmente in cucina, e senza por tempo in mezzo, offrii a Nur il suo consueto pacchettino di carne cruda (mai dare a Nur le comuni scatolette!…Lui si sente un piccolo leone e mangia solo carne di manzo cruda); poi preparai la colazione.

Mamma e babbo mi raggiunsero e mi baciarono, mi strinsero forte, e mi sentii al sicuro, avvolta da un amore infinito e inesauribile; eppure quel giorno la mia vita sarebbe cambiata per sempre, un capitolo della mia vita si chiudeva e uno nuovo di cui non potevo prevedere gli sviluppi, su cui non potevo fare previsioni, ma di cui conoscevo bene impegni e responsabilità, si apriva: stavo per sposarmi.
Cominciò la lenta e accurata preparazione, ma, per mio tassativo ordine, non volli nessuno a casa che mi piroettasse intorno (i pochissimi invitati mi avrebbero aspettato in chiesa) mentre immersa nei miei più profondi pensieri e riflessioni mi affidavo alle mani esperte della mia parrucchiera. Non volevo sentire chiacchiere inutili, non volevo ascoltare discorsi superficiali, volevo che il silenzio di quella mattina non fosse interrotto. Mi concentrai solo sulla luce del sole che ora, prepotente, inondava la mia stanza.

Ero pronta. Mi guardai allo specchio e non vidi né vestito né acconciatura né trucco, guardai solo dentro di me, mi parve di scorgere un velo di paura, l'ombra del dubbio
Uno sguardo al quadro con i cavalli, girai su me stessa al centro della mia camera.
Babbo era sulla porta e per la prima volta in tutta la mia vita vidi il bagliore di una lacrima nella rete delle sue ciglia; ci guardammo, non ci furono parole, mi porse il braccio al quale mi appoggiai con emozione e trepidazione e ci avviammo verso la chiesa: io andavo incontro all'amore della mia vita e lui mi accompagnava.


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