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martedì 26 gennaio 2016

Conquidere, cordoni, corollo, corpo disabitato

CONQUIDERE: usato sempre nel senso di dar noia, disturbare, far confondere: "M'hai conquiso tutto il giorno con le tu' lagne"

CORDONI: eufemismo per zebedei, IL verbo che si fa derivare è usato quasi soltanto nell'espressione "e nun cordòno!", cioè " e non scherzo, no nfaccio per burletta".

COROLLO: dolce casalingo a forma di cimbella fatto con farina, uova e zucchero. Così si chiama in molte zone della Toscana, da Pistoia a Piombino, da Pisa all'entroterra di Livorno.

CORPO DISABITATO: si dice di uno che mangia molto, come se non avesse mai nulla in pancia

lunedì 25 gennaio 2016

Come la campana del Bargello, Come la campanella dello Strozzi

COME LA CAMPANA DEL BARGELLO: si dice di persona maldicente. A Firenze la campana del Bargello, o Palazzo del Podestà, suonava ogni volta che i condannati venivano esposti alla gogna o condotti al patibolo, e si diceva che suonava sempre a "vituperio"


COME LA CAMPANELLA DELLO STROZZI: "Che la doveva venire ma la 'un veniva mai". Si dice di qualcosa tanto attesa ma quasi impossibile a realizzarsi. Questa proverbiale campanella è una di quelle penzoloni all'esterno del Palazzo Strozzi, a Firenze.

Si racconta che un tale, una volta, si mise a tirarne una con tutte le sue forze, aggrappandosi con le due mani esclamando di tanto in tanto: "Eppure l'ha a venire!". Naturalmente si raccolse una piccola folla incuriosita per questo tipo strambo che pretendeva di sbarbare il grosso arnese di ferro da una delle più massicce costruzioni della vecchia città; e intanto alcuni, sempre pronti alla battuta e ad approfittarne di un divertimento alle spalle altrui, lo incoraggiavano a tirare  di più. Finalmente questo ometto, che sembrava al massimo dello sforzo, sparò una fragorosa scoreggia.

E mentre tutti quanti, colti di sorpresa, erano ammutoliti, esclamò trionfante: "Lo dicevo che la doveva venire!".


sabato 23 gennaio 2016

Come dare il concio alle colonne, come fanno a Faenza, come i ladri di Pisa

COME DARE IL CONCIO ALLE COLONNE: equivale all'azione più inutile che si posssa immaginare; peggio ancora che "pisciare in mare". Anche se "concio" per letame è voce comune in tutta la Toscana, il modo di dire è diffuso soprattutto nel Casentino

COME FANNO A FAENZA: cioè "se non ce l'hanno fanno senza". E' una frase scherzosa che si dice quando bisogna rinunciare a qualcosa, o quando si cerca una consolazione per la mancanza di soldi

COME I LADRI DI PISA: che di giorno litigavano fra loro e la notte andavano a rubare insieme. Si dice di quelle persone che litigano continuamente ma non sanno stare lontane; oppure di quelli che litigano per finta per raggiungere un certo scopo.

venerdì 22 gennaio 2016

Coccolone, cocimi l'ovo, col tempo e con la paglia si maturan le sorbe, comebere un ovo

COCCOLONE: un accidente; un colpo apoplettico. "Se t'un ti regoli co' i' mangiare, una vorta o l'altra ti viene un coccolone". L'etimologia è incerta: forse da accoccolarsi, cioè ripiegarsi su se stesso; ma ormai è semplicemente un eufemismo familiare quasi scherzoso, che spaventa meno di untermine medico

COCIMI L'OVO: modo, specialmente senese, per indicare una persona indolente, abulica, inetta

COL TEMPO E CON LA PAGLIA SI MATURAN LE SORBE: cioà la pazienza, sapendo aspettare e con i mezzi appropriati si ottiene lo scopo. Se però dopo "sorbe" si aggiunge "la canaglia", cioè "si maturan le sorbe e la canaglia", il modo di dire assume lo stesso significato del "tutti i nodi vengono al pettine"

COME BERE UN OVO: cioè facilmente; dato che per bere un uovo basta farci un forellino


giovedì 21 gennaio 2016

Ciucco, ci vuole del bello e del buono

CIUCCO: aggettivo molto diffuso nella zona di Empoli per definire scemo, grullo, qualcuno; si ritrova a Pisa, Siena e Lucca. Significa anche ubriaco, da ciucca, sbornia. I dizionari di lingua lo registrano sotto "giucco" con etimologia dall'arabo Giuha, tipo di balordo, Sanminiatelli scriva di un pomeriggio di festa: "E' un'aria mezza balorda. E' un'aria ciucca".

CI VUOLE DEL BELLO E DEL BUONO: si dice di una cosa difficile da ottenere. C'erano una volta a Firenze due amici per la pelle, il Del Bello valigiaio e proprietario di una locanda, e il Del Buono lurandaio (lavandaio) di Corte. Tutti igiorni la gente li vedeva passare insieme a passo svelto come se dovessero andare a concludere qualche affare o si affrettassero per qualche impegno pressante. E infatti così rispondevano a chi li interrogava: "Andiamo a sistemare un negozio un po'astruso". Inrealtà andavano a prendere i lcaffè all'Arco Demolito. La gente l osapeva e per questo, quando c'era da fare  qualcosa di difficile si prese a dire scherzosamente che ci sarebbe voluto il Del Bello e il Del Buono. La frase è rimasta, anche se pochi sanno diquei due bontemponi.

martedì 19 gennaio 2016

Cipollone, cirillo, citto e cittino

CIPOLLONE: è il periodo dell'anno in cui il commercio ristagna; in genere luglio e agosto, comunque in estate, quando la gente va in vacanza e proprio allora, con il caldo, germogliano le cipolle. In Versilia si chiama "Il tempo delle pere cotte"

CIRILLO: a Siena è il sesso dei maschietti. E anche, accostamento antropofago, un salsicciotto cotto sui carboni

CITTO E CITTINO: così, psecialmente a Siena, chiamano i bambini. Probabilemnte deriva dal centesimo che in dialetto veniva aapunto chiamato "citto". Citto lo troviamo anche in dialetto aretino (qui si fa derivare da exiguus, piccolo) insieme con zito, zitto e zitino.

Babbo mangia la salsicca;
mamma tribola co' la citta.
Babbo beve i' vin d'i'ttino;
mamma tribola co' i' cittino 

lunedì 18 gennaio 2016

La Cioncia

CIONCIA: si potrebbe definire una ghiottoneria più da linguisti che da gastronomi. La cioncia è la pietanza più tipica della cucina di Pescia; piatto umile, fatto con le parti di scarto della macellazione (naso, coda, guance) che un tempo i macellai lasciavano attaccate alla pelle dell'animale ucciso. A scarnirle ci pensavano poi gli addetti al trasporto alle concerie, vendendo questi pochi scarti alle massaie pesciatine le quali poco a poco perfezionarono una gustosa ricetta per sfruttarli nel modo migliore.


Ora, ovviamente, gli "scarti" per la cioncia si vendono in macelleria. Passando dalla cucina alla linguistica, l'umiltà della pietanza è coerentemente rispecchiata in alcune espressosi dialettali toscane, come il nomignolo di cioncio che viene dato all'uomo miserello e dappoco; come cioncina che nel PIsano indica la donna buona a nulla; e come la locuzione "pie' ccionci" che indica chi cammina male o faticosamente a causa, per esempio, dei calli.

sabato 16 gennaio 2016

Ciabare, ciaccio, ciardo, ciccia e ciliegie, ci dice, ci farei la scritta, ci ha caato al mosca

CIABARE: da ciabattino, detto anche, per sincope, ciàba. Parlare con insistenza e petulanza, forse dice il Calmaiti "i ciabattini chiacchierano molto fra loro, mentre lavorano, non abbisognando di alcun raccoglimento"

CIACCIO: in Versili è il neccio (ocastagnaccio) fatto con la farina dolce di castagne, disciolta a freddo in acqua, con poco sale, e cotta fra due testi riscaldati a fiamma viva.

CIARDO: in Valdichiana si dice in senso disperegiativo di chi è sazio, pieno di cibo o d'altro; anche in senso figurato

CICCIA E CILIEGE: si dice, specialmente e Pisa, quando le ciliegie hanno il baco. Per estensione, a "ciccia e ciliegia" significa "alla disperata", senza limitazioni: forse un avanzo del modo di dire ormai in disuso "fare ciccia e ciliegie" per indicare scontri cruenti

CI DICE:  ci sta bene insieme; è bene intonato.

CI FAREI LA SCRITTA: accetterei fin d'ora; ci farei la firma perchè fosse così

CI HA CAATO LA MOSCA: è un modo di dire pisano quando un tranello viene scoperto o quando qualche cosa nonriesce nonostante le aspettative

venerdì 15 gennaio 2016

Chi sei il mangia?, chi 'un piange 'un ha puppa, chiusocchi

CHI SEI, IL MANGIA?: è così apostrofato chi fa il gradasso, quasi volesse mangiare il prossimo. Il Mangia, che è un po' il simbolo di Siena, era l'automa di bronzo che batteva le ore sopra l'omonima torre del Palazzo Comunale. La statua aveva sostituito i campanari che anticamente battevano le ore agli ordini di un certo Giovanni di Ducci, detto Mangiaguadagni.

CHI 'UN PIANGE 'UN HA PUPPA: modo di dire pisano e lucchese: chi non chiede insisitentemente non ottiene nulla. A Lucca le puppe (ciocce a Firenze) si chiamano pùppore e fanno anche parte della toponomastica popolare: la PIazza del Salvatore è infatti più conosciuta come "PIazza della pupporona" a causa della statua marmorea di una naiade a seno scoperto che adorna la fontana neoclassica

CHIUSOCCHI: a occhi chiusi; senza esitare. Frequente nel dialetto versiliese: "Quéla giovenotta lì io la sposerei a chiusocchi".

mercoledì 13 gennaio 2016

Chi nun beve nulla sulla minestra non russa dopo morto, chi rinnova non mangia ciccia

CHI NUN BEVE SULLA MINESTRA NON RUSSA DOPO MORTO: lo dicono nel Pisano, dando quasi ad intendere che il vino bevuto pasteggiando salva dalla morte (s'è mai sentito dire di qualcuno che russi dopo morto?). E', naturalmente, uno dei molti pretesti scherzosi per concedersi delle belle bevute a cuor leggero, anzi, come se l'ordinasse il medico. Ce n'è un altro, sempre pisano: "chi beve sulla minestra guarda 'r dottore dalla finestra; e chi lo beve stietto lo guarda disul tetto".

CHI RINNOVA NON MANGIA CICCIA: modo di dire delle campagne fiorentine; specie di quando, nella società non ancora consumistica, per comprarsi un paio di scarpe nuove, un cappello o un vestito occorreva talvolta fare a meno di qualcos'altro, e quasi sempre della carne che era l'unico "lusso" della festa. "Chi rinnova 'un mangia ciccia" era la frase scherzosa con la quale gli amici accoglievano chi aveva appena incignato un capo di vestiario

martedì 12 gennaio 2016

Che becio, che buco, cheche

CHE BECIO: che schifo! Lo dicono a Siena

CHE BUCO: che fortuna! "Aver buco" significa essere fortunato. Sono modi di dire non offensivi, anzi, cordialmente invidiosi, anche se BUCO; in altro contesto, significa pederasta. A Pisa e a Livorno: "Che ppo' di buo!"

CHECHE: paturnie, malumore. "Lacialo stare, oggi gli ha le cheche". E' un modo di direfiorentino e senese, sebbene sia considerato un lucchesismo. Il Nieri, però, nel suo Vocabolario lucchese lo registra come gheghe e spiega che "le gheghe propriamente sono la glandole sotto il mento". "Che hai? Le gheghe?" Come dire: "Che stranezze sono queste?". Anche nel PIsano, con lo stesso significato, gheghe. A Buti (Pisa) "fa' lla cheha (checa)" significa far la festa, cioè ammazzare, e si usa specialmente quando si tira il collo ai polli. A Pisa "fa' lla chea" (senza aspirazione fra la E e la A) vuol dire far la cresta sulla spesa, ovvero fare un guadagno illecito. Per estenzione "Sur conto mio la chea un ci si fa", su di me non c'è propri onulla da dire.

lunedì 11 gennaio 2016

Frescume, fritta è buona anche una ciabatta, frusone, fuffigno, fufi, fumino

FRESCUME: in versilia è quel cattivo odore che le uova e il pesce lasciano sui piatti

FRITTA E' BUONA ANCHE UNA CIABATTA: forse il più popolare e sperticato elogio del fritto considerato sempre un piatto da signori non tanto per una sua particolare nobiltà quanto per il costo dell'olio


FRUSONE: in vernacolo fiorentino è il giovanotto che la corte alle ragazze. "L'ha un monte difrusoni". In lungua è un uccellino dal piumagio graziosamente variegto: l'accostamento poteva andar bene quando i damerini erano tutti azzimati; oggi un po' meno

FUFFIGNO: sottterfugio, specialmente in Lucchesia

FUFI: rabbia, bile. A Pisa "Avè e fufi" vuol dire essere imbelvito

FUMINO: persona permalosa o che si arrabia con facilità e per  poco

domenica 10 gennaio 2016

Cencio dice male di straccio, ce n'è per tutti se l'oste ne coce, cent'ori, ceralacca e spago

CèNCIO DI CE MALE DI STRACCIO: è l'equivalente di "da che pulpito viene la predica". Si dice di chi critica nelgi altri gli stessi difetti suoi

CE N'è PER TUTTI SE L'OSTE NE COCE: ognuno cioeè, ha i prori guai. E' un modo di dire pisano

CENT'ORI: molto migliore. "Gli è cent'ori", è assai meglio

CERALACCA E SPAGO: come "trabaralla", ovvero quasi la stesssa cosa. Si usa per indicare che fra due oggetti o fra due persone, in genere di scarso valore, c'è poca differenza




mercoledì 6 gennaio 2016

Calcinculo, candire, canina, capaccina, capameno, capirotti, carrozzine

CALCINCULO: è quella giostra con tanti sedili appesi e oscillanti all'esstermità di lunghe catenelle. Rimane ancora una delle maggiori attrattive delle fiere paesane

CANDìRE o INCANDìRE: tenere una cosa a candìre significa tenerla in serbo, ma scioccamente, quasi che stando lì inutilizzata potesse diventare migliore

CANìNA: nel Senese è la fortuna. "Gli si è ricoltata la canìna", la buona sorte gli ha voltato le spalle

CAPACCìNA: leggero mal di testa, specialmente dopo aver mangiato troppo o troppo bevuto

CAPAMèNO: persona stramba, estrosa

CAPIRòTTI: merce di scarto; avanzi di magazzino venduti sotto costo. Termine usato soprattutto al mercato della frutta

CARROZZìNE: a parte il gergo dei giocatori di tombola per i  quali l'uscita del numero 22 è sempre accompagnata dall'esclaamazione "le carrozzìne!", in diverse zone della Toscana si chiamano così le giostre, il "Luna Park", nel suo complesso. Altrove questi divertimenti da fiera sono indicati col nome generico di "cavallini, la guidòna (in Versilia  e a Pontasserchio di Pisa), 'r girone (a Orenatano di PIsa), la california (a Pistoia)

martedì 5 gennaio 2016

Cacciucco

CACCIUCCO: è la famosa zuppa di pesce di Livorno e della Versilia, e non ha nulla a che vedere nè col brodetto adriatico, nè con la bouillabaisse marsigliese, nè con la romana "zuppa alla marinara". E' una specie di succulenta opera e ballo, minestra-pietanza-contorno tutto insieme; un trionfo di sapore di profumo con una nome dialettale livornese (qualcuno dice CACIUCCO, derivato dal turco kukut che vorrebbe dire "minutaglia").


La sua ricetta è antichissima (i Foci la esportarono in Provenza, Petronio la fece conoscere a Nerone) e da Livorno a Viareggio, lungo il litorale tirrenico, può variare a vantaggio o a svantaggio dell'aggressività piccante e del potere infocante, a seconda dell'uso locale.

Com'è fatto il vero cacciucco dei pescatori lo rivela una vecchietta viareggina nel Tìramo a campà  di Anotnio Morganti, e vale la citazione. In dialetto naturalmente:

"Il cacciucco è 'l cacciucco e basta, Quando si vol di' di tante 'osce mescolate, o 'un dimo che era cacciucco? E allora ci vole anco il miscuglio di pesci se vol esse' cacciucco. Se lo voglino fa' senza 'ppescai co' le lische, ni mèttino un antro nome e 'un offendino il nostro cacciucco. Per fa' bono l' cacciucco ci vole la su' triglia, la su' boga, il su' fraulino, il pescio capponem il capocchione, la storzola, una bella tràcina, e po' la seppia, il polpo, il gronzo, un po' di palombo, le ceàle e più quand'eno 'ncorallate.

"Ma ne lo fai col peporone?
"E se no di 'he ssa? Mario di Bombetta bon'anima diceva che peporone rinfresca e che fa meglio del pepe
"La mi' nòra un celo vole.
"Però n'ai a ddì alla tu' nòra, annanzi che avecci d'intorno le' ci vorèi, bello pezziente, un peporone laggiù in duve 'un ci batte 'l sole! Lo voi fa' bono il cacciucco? Mètte al foo il laveggio, coll'olio assai e un bel battuto fino fino d'aglio e di peporone di vello rosso. Quando smette di schioccà, titici mezzo bicchiere di vino bono, ma sta' attenta che 'un sii di vello dolce; quand'è ritirato il vino, buttaci la seppia e 'l polpo tagliati a pezzi; le granfie io ne le lasso saneperchè po' mi garba ritrovaccele; vesta seppia e il polpo devino arosola' ammodo e quando t'accorgi che eno arosolati addoci tutto co' una tazza o due d'acqua calda e conserva, giusta, di vella bona o il pumidoro ma di vello fresco quando c'è. Qunad'è sull'olio, burra giù 'ppesci, un quarto d'ora e' l cacciucco è fatto. Inatanto a parte, devi avè preparato nella zuppiera le fette del pane, di vello che pare fatto 'n casa, abbustolite e agliate; ci tiri sopra il cacciucco, aspetti che 'l pane sia 'nzuppato e po' serviti e mangia con pro che mangi bene"



domenica 3 gennaio 2016

Buttalo a i'rossino, buttàssi sull'imbraca, caabasso, caapranzi, cacàcciola

BUTTALO A I' ROSSINO: lo dicono a Prato per indicare una cosa che non serve a nulla. L'espressione è presa direttamente dal gergo dei cenciaioli della zona i quali chiamano ROSSìNO, per il colore incerto, il mucchio di stracci di scarto dopo la cernita.

BUTTàSSI ALL'IMBRàCA: fare il poltrone; battere la fiacca, secondo l'immagine del cavallo restìo che dando indietro aderisce col posteriore all'IMBRàCA, che è un finimento

CAABàSSO: sta per cacabàsso. Così a Livorno e a Viareggio la persona di bassa statura, detta anche CAàCCIOLO e a Lucca SCAàNDIO se oltre ad essere bassa è di gracile costituzione

CAAPRANZI: termine scherzoso, più che volgare, per indicare il sedere: ovvero la funzione per l'organo

CACàCCIOLA: nel Casentino è la diarrea, a Firenze CACAIòLA, provocata dalla paura o da una forte emozione

giovedì 31 dicembre 2015

Buristo in cuffia

BURISTO IN CUFFIA: specialità gastronomica senese: sangue e grasso suini insaccati nello stomaco del maiale e cotti. Questa specie di salame la cui composizione  può turbare molte persone, ma non i buongustai, è nota in altre zone della Toscana come BURìSTIO, MALLEGàTO, SANGUINACCIO, SAMBUDELLO. La ricetta è assai vecchia e può variare in qualche dettaglio.

Il Giacchi (1878), per esempio, lo descrive così: "Sangue di maiale imbuzzecchiato con finocchi, uve passe e aromi, tutto stretto in budella purgate e parimente di maiale. Si cuoce e si affetta o freddo o caldo".

BURìSTO, sempre a Siena, significa anche persona goffa e mal vestita; un salame, insomma. Così come a Massa BIROLDO indica in senso figurato lo sciocco, l'inetto; pur essendo il solito insaccato popolano.

sabato 26 dicembre 2015

Buffo come un lume a mano, buggerìo, bùgio, buo céo, buone mosse

BUFFO COME UN LUME A MANO: o anche "più buffo d'unlume a mano", si dice di una persona fuori moda, ridicola

BUGGERìO: ha il duplice significato di baccano, fracasso ("senti che buggerìo") e  di una grande quantità ("un buggerìo di gente"). Buggeròne, invece come sostantivo significa "birbante", "bugiardo"; come aggettivo serve a rafforzare "caldo buggeròne", cioè eccezionale.

BùGIO: in dialetto versiliese significa vuoto, cavo. BOCCA BùGIA, senza denti

BUO CéO: a Viareggio vuol dire oscurità completa e anche: a tentoni; a occhi chiusi

BUONE MOSSE: buon principio, "speriamo che le sian buone mosse" si dice di una cosa che tarda a prendere l'avvìo. Deriva dalle corse dei cavalli

martedì 22 dicembre 2015

Brigidini

BRIGIDINI: dice Pellegrino Artusi: "E' un dolce o, per meglio dire, un trastullino speciale alla Toscana ove trovasi a tutte le ferie e feste dicampagna e lo si vede cuocere in pubblico nelle forme da cialde".

Antenato dei passatempi gastronomici ispirati al principio delle ciliegie che una tira l'altra, il brigidino è una cialda sottile e croccante a forma rotonda (uova, farina, zucchero, anici) la cui ricetta è attribuita alle monache del Convento di Santa Brigida a Pistoia.

I brigidini, anche se li fanno a Firenze o ad Arezzo, sono sempre di "Lamporecchio", il paese in provincia di Pistoia, appunto, dove ci sono le fabbriche più illustri e da dove i brigidini sono sempre partiti per dilagare in tutta la Toscana. A Livorno li chiamano "cialìni".
Brigidino si chiamò ironicamente il distintivo fascista che gli uomini portavano, volenti o nolenti, all'occhiello.

domenica 20 dicembre 2015

Bischero

BISCHERO: è il più familiare insulto fiorentino, ed è anche la parola che ricorre più frequentemente per le strade di Firenze. Bìschero è l'ABC del vernacolo: la prima parola dei neonati invece di "mamma"; il primo essenziale insulto che i turisti devono imparare. Può essere un'offesa cocente e un'espressione affettuosa ("Viam un fare i' bischero!"; "o bischeraccio!"), tutto dipende dal contesto e dal tono di chi lo dice. Ogni fiorentino, bambini compresi, almeno una volta al giorno "dà dì bischero" a qualcuno, magari a se stesso: se tutti si mettessero d'accordo e dicessero il loro BISCHERO quotidiano in coro, contemporaneamente, sarebbe un boato impressionante.

I dizionari italiani spiegano che i bìscheri sono quei piroli o legnetti sagomati che reggono le corde del violino e della chitarra e servono per l'accordatura; per un fiorentino e per un toscano, bìscheri sono gli ingenui , i grulli, gli sciocchi. L'etimo è incerto: in genere si cita l'antica e illustre famiglia fiorentina dei Bìscheri, all'angolo dell'atuale Via dell'Oriòlo. Ma veramente nulla prova che qualcuno della famiglie Bìscheri si sia distinto per qualche clamorosa e storica bischerata; anzi, sotto questo sfortunato nome gli annali della Repubblica fiorentina registrano quattro Gonfalonieri e quindici Priori.

Presso il campanile di Giotto esiste addirittura una iscrizione  che ricorda il sepolcro di Lotto Bìscheri. Come se non bastasse l'insulto, BISCHERO è sinonimo di membro virile. E si capisce come i moderni dicìscendenti di quella povera famiglia abbiano fatto di tutto per cambiare almeno l'accento del loro cognome, in Bischèri. Però nessuno, nominandoli, ha mai potuto rinunciare al risolino maligno.

A Pontasserchio, in provincia di Pisa, il 28 Aprile si svolge la Festa del Crocifisso, meglio conosciuta come Fiera 'o' Bìscheri, fiera con i bìscheri. Nulla di blasfemo, comunque: è solo che per l'occasione c'è l'usanza di mangiare un dolce che si chiama, appunto, torta co' bìscheri. In questo caso i BISCHERI sono cannelli di pasta dolce disposti giro-giro a zig-zag. Data la curiosità del nome, ecco appagata anche la curiosità del sapore:

Ricetta per una torta co' bìscheri:

"Fare una pastafrolla con treetti di farina, un etto di zucchero, mezz'etto di burro, due rossi d'uovo, due cucchiai di marsala e farla riposare al fresco per tre ore avvolta inun panno. IL ripieno si confeziona con un etto di riso bollito nel latte con un po' di sale, un etto di canditi e altrettanto dicioccolata, mezz'etto d'uvetta, altrettanto di pinoli, un etto di zucchero, due uova intere e due chiare montate, noce moscata, un po' di liquore. Si stende la pastafrolla nella teglia in modo che i margini stiano rialzati e vi si versa l'impasto. I b'scheri si fanno ritagliando la pasta torno-torno e arricciandola. Poi, in forno"

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